epatocarcinoma

Anime perse

Posted by Mentepreziosa on agosto 15, 2015
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foto di EP

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Quando è arrivata, nessuno ha scommesso una lira su di lei, “perché è una straniera”, “perché è sola”, “perché, se quella è una miriade di noduli di epatocarcinoma, la cosa migliore per lei è di tornare a bere, senza farsi altre crisi di astinenza e sperando di morire in coma etilico”, “perché le sue uniche persone di riferimento sono il Nano e il Magnaccio” che, mentre vagava per il reparto, con la borsetta in mano e chissà quali pensieri per la testa, in preda al delirium tremens, facevano a turno a tenersela sulle ginocchia.

Perché “non possiamo salvare il mondo” e “se la signora vuole andare al SERT, certo non la posso accompagnare io”, perché qui non esiste un servizio di assistenza sociale, perché “non so… forse al comune… forse il medico di famiglia… forse il CTM” ma, sicuro, nessuno.

“Solo tre giorni, dottoressa”, “oggi è come ieri”, “io bene, mangiato frutta”, “lei troppo buona”, “a casa, andare a casa, per favore, a casa”, “amici, solo amici ci sono, figlio lontano”, “solo dieci minuti, sulla porta, dermatologo detto che sole fa bene”, “mai più alcol, mai più”.

Perché “la signora non parla bene, non si capisce”, perché la probabilità stimata che al suo “mai più alcool” ci creda davvero anche lei è vicina allo zero, perché “la signora va a dormire presso i vecchietti cui fa da badante, non ha un domicilio fisso”, perché se non l’avessimo dimessa forse sarebbe scappata.

Anime perse: ciò che noi possiamo fare per loro, durante un ricovero, è meno di una goccia nell’oceano, meno di una fiala di diazepam mentre lei si strappa gli accessi venosi e buca le sacche dell’infusione continua. Anime il cui destino è segnato e che non hanno altre opzioni se non continuare a sopravvivere come già fanno; anime i cui desideri di bene finiscono sommersi in un fango di false promesse, di aspettative non corrisposte, di speranze malriposte, di solitudine e di orizzonti chiusi. Non si può giustificare l’alcolismo: si può solo tentare di comprenderlo e di calarsi, per il tempo di un ricovero, in quell’abisso di miseria umana e di sofferenza che molto spesso ne è il substrato. E tentare di tirarsene fuori, spolverandosi il camice, prima che la sua volta pesante si richiuda. Magari questa volta non per sempre.

Mentepreziosa

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