Ricordo ancora come quella parola rimbomba, simile a un’ombra scura nella mente, quando non ti aspetti di sentirla. Il mondo si ferma in un istante. Ancora un altro. Ricordo come sia impossibile dare una forma a quella parola. Allora la ripeto. Ma non cambia nulla. Non ha alcun senso. Ricordo il dolore associato ad essa di tanti piccoli spilli che penetrano ogni parte del corpo e lì si fermano, andando sempre più a fondo ad ogni respiro, e ad ogni pensiero nostalgico.
Ricordo quella parola madida di ferite, vuoti assordanti, logiche incomprensibili, urli soffocati, deliri di dolore, lacrime pungenti, brandelli di cuore. La ripeto, perché fino a un momento fa stavo lavorando, stavo portando a spasso il cane, stavo in viaggio, stavo studiando, leggendo, cantando … e poi tutto si è fermato.
La voragine, il buio, il silenzio eterno.
Dovrò imparare a chiamarla con il suo nome. La ripeto ancora quella parola, eppure non riesco mai a darle una forma. La morte.
Ricordo come sia inevitabile ricordare.
Ripensare ai momenti straordinari passati insieme, scintille di un passato che ora bruciano sulla pelle, perché ogni minuto, ogni giorno, ogni anno la ferita di quella perdita continua ad aprirsi, e la voragine si allarga.
Ricordo le parole di circostanza in quel momento di dolore. Le parole di odio contro u
n dio così ingiusto. Le parole d’amore verso un dio buono che si prenderà cura del nostro angelo. Le parole di chi non sa che dire. E i silenzi di chi perde la voce ed entra in una dimensione di sofferenza lancinante.
Ricordo lo strazio della madre che non si dà pace. Per la seconda volta subisce il taglio del cordone ombelicale che la lega al figlio. Una chiara manifestazione di come la natura cambia il suo corso, inverte i ruoli, fa crollare ogni certezza. Ricordo il silenzio del padre, di un uomo che piange, l’ossimoro struggente della sua fragilità in un corpo forte e muscoloso.
Ricordo come il tempo non aiuta, come ognuno cerca disperatamente una strada per poter andare avanti, come certi giorni siano più difficili di altri, come un semplice profumo possa a volte far risplendere la presenza di un’assenza.
Ricordo la gioia di chi cerca di guarire quella ferita con una cosa sola: l’amore. Di chi accoglie quel dolore e lo trasforma in un vortice di energia, creando, danzando con la vita, cantando, suonando, scrivendo. Un inno d’amore che squarcia le pareti della solitudine, dl vuoto, del rancore, dell’odio.
Ricordo che è come perdere una parte di se stessi. Non muore solo un volto, un sorriso, un corpo. Muoiono anche l’abbraccio, il giro in moto, la passeggiata al mare, i baci, le litigate, i pomeriggi di studio, le sciate in montagna, i consigli, le ramanzine, le serate al pub, i viaggi.
Muore un mondo che piano implode nel ricordo.
Rimane tutto lì, in un pensiero, quando si guarda una vecchia foto e si ride nel pianto.
Lunasioux