rianimazione

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Posted by Ultiva on dicembre 11, 2013
cronache / 1 Commento
Foto di BDV

Foto di BDV

E’ appena finita la settimana “Viva 2013″, per diffondere la cultura della rianimazione cardiopolmonare tra la popolazione. Settimana faticosa, numerose iniziative con un pubblico mai sufficiente alle aspettative.
Sono le 4 di un uggioso pomeriggio di ottobre. Vengo attivato per un sessantenne con dolore toracico fuori da un bar. Sono con Marco e Cinzia, quest’ultima alle prime armi. E’ l’ennesimo servizio di una giornata particolarmente impegnativa (un ustionato grave al mattino) e di qualche uscita che, come si suol dire, meritava. Poco convinti che la sfiga possa accanirsi su di noi, raggiungiamo con la consueta tempestività il luogo dell’evento. Marco guida benissimo, va piano, non ti mette mai in pericolo e pur non essendo un sanitario ha delle performances che vanno ben oltre quelle di un normale soccorritore. Insomma, come direbbe il mio amico P., “un burro”.
Arrivati sul posto, gli astanti sono abbastanza agitati, qualcuno ha sicuramente alzato il gomito, e ci fanno segno di fare in fretta. “Ha avuto un’altra crisi”, dicono.
Mi faccio spazio, allontano le persone… il fido Lifepak 12 a tracolla. Non ci vuole molto a capire che E. è in arresto. Cianotico, rantolante.
“Marco, DAE” dico. Chiedo a Cinzia le forbici per esporre il torace. Inizio a massaggiare. Mi succede quello che vedo in qualche video su YouTube: E., massaggiato, muove le braccia, le porta al petto. Le piastre, già posizionate, mostrano una fibrillazione ventricolare dal voltaggio così alto che esce dal monitor. Scarichiamo. Riprendiamo il massaggio. Compressioni toraciche e ventilazioni. Durante il massaggio, E. sembra vivo. Si muove, contrasta la ventilazione. Al monitor sempre fibrillazione.
Siccome sono già rimasto fregato una volta dalle placche, chiedo un monitoraggio con le periferiche, che conferma la diagnosi. E’ il momento del secondo shock: ritorna in ritmo. E che ritorno: polso periferico, BAV I° con 50 di frequenza e 120 di sistolica. Temporeggiavo a farlo caricare in barella, avrei pensato che il prossimo step sarebbe stato il tubo. Continuo ad assisterlo in maschera. Il mio equipaggio è un’orchestra con minime sbavature. Sembra uno scenario ACLS. E. riprende a respirare benissimo da solo, lo passo in reservoire. Un ECG a 12 derivazioni rivela un infarto inferiore. Incredulo, lo chiamo: mi risponde, apre gli occhi, mi dice che gli fa male il torace.
Voliamo in emodinamica, senza variazioni cliniche di rilievo. Passa dalla barella al tavolo operatorio da solo.
In dieci anni di territorio, mai successo. Prestazione da BLS, ma con che risultato!
Sono passate quarantott’ore ore, e sta bene.
Bentornato, E.

Ultiva

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Flash nel buio

Posted by Raven on giugno 11, 2012
emozioni / 4 Commenti

Te lo sei chiesto. Te lo chiedi di volta in volta, ad ogni turno, ad ogni paziente, ad ogni paio di occhi che incroci sulla tua via.

Eppure, dopo anni tra corsie ed ambulanze ancora non lo vuoi capire, o più semplicemente, non ti arrendi.

-Respira?-

No, ovviamente. E cosa diamine vuoi che respiri uno che è in arresto da almeno sette minuti, dottore?

Quel torace che speri si sollevi spontaneo all’improvviso, lo stesso che tu, per assurdo, in quel momento stai comprimendo verso il basso, con così tanta forza da sembrare quasi di volerlo schiacciare sotto la tua mano, così grande su un petto che ti sembra troppo piccolo per poterla contenere.

Gli ossimori di questo lavoro, gli ossimori della vita stessa.

Un attimo prima stai scherzando con i tuoi cari, un attimo dopo è il destino che fa uno scherzo a te.

L’ambulanza che arriva a sirene spiegate in quella folle lotta contro il tempo e contro il buio, noi che lottiamo insieme a te e ti chiediamo di non arrenderti proprio adesso.

Tu mi guardi per un attimo, il medico ti infonde l’ennesima adrenalina, il monitor bippa, tutti che si muovono frenetici intorno a te, io che non mi fermo e continuo a lasciarti i segni delle mie mani così grandi.

Non posso fermarmi adesso che ci stai guardando, non posso permettere al buio di prenderti ora che la luce è tornata nei tuoi occhi.

Abbiamo vinto insieme questa dannata corsa, oggi?

Cerchi di alzare un braccio, poi ci ripensi: rimane sospeso a mezz’aria per qualche attimo in silenzio, finchè non ricade abbandonata sul letto.

Il medico urla che vuole altra adrenalina, altra elettrolitica e altro di altro di tutto, ma è passata più di un’ora e il braccio è rimasto sempre così, immobile nella posizione in cui l’hai lasciato tu.

È calata la notte anche stavolta.

Raven

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Ohne Wiederkehr

Posted by Lena on gennaio 01, 2012
emozioni / 3 Commenti

“…Ma anche presso i moribondi si deve essere stati, si deve essere rimasti presso i morti nella camera con la finestra aperta e i rumori che giungono a folate. E anche avere ricordi non basta. Si deve poterli dimenticare, quando sono molti e si deve avere la grande pazienza di aspettare che ritornino. Poiché i ricordi di per se stessi ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, senza nome e non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso.”
R. M. Rilke

Ho sempre scelto di mettermi in gioco e 3 anni fa, fresca di laurea, mi sono traferita all’estero con entusiasmo per fare la specializzazione. Perchè volevo impararlo bene questo mestiere, potendo dire, sì me la sento di prendere in affidamento la vita degi altri senza paura.

Sono stati anni durissimi: a 1500 km da casa, orari massacranti, responsabilità enormi per una specializzanda. Sono stata sbattuta nella Rianimazione di un Trauma Center dopo poche settimane di preparazione. Di sola di notte, di sola nelle sere d’estate, di sola nei week-end. Per di più responasabile dell’ Emergency Team intraospedaliero. E così al senso di novità e avventura si è sostituito quel senso di inadeguatezza e rimprovero. E se avesse avuto un’altra anestesista, più esperta, più preparata, sarebbe andata meglio?

Tutto questo stress da un lato mi logorava a poco a poco, dall’altro l’autonomia di lavoro e i progressi che facevo di giorno in giorno mi rendevano orgogliosa. Poi è bastata una piccolissima goccia per far crollare quel fragile equilibrio. Un superiore un po’ più stronzo del normale, che critica continuamente con tono aggressivo e che si lamenta che i pazienti non fanno progressi con malcelato rimprovero. Dopo aver dato anima e corpo per la Rianimazione, non ce l’ho più fatta…Non facevo che piangere, maledicendo il giorno in cui sono partita dall’Italia.

Ho avuto la forza di licenziarmi e cercarmi un nuovo posto, questa volta non così lontano dal confine, in un ospedale più piccolo, nelle mie adorate montagne. I miei colleghi si sono tutti stupiti delle dimissioni, nessuno se lo aspettava. Solo ad un professore ho detto la verità, che sto male e che sono alle stremo delle forze. Nessuno l’avrebbe mai immaginato, mi ha detto con dolcezza e dispiacere, ero considarata la più brava, quella che ha sempre la situazione sotto controllo, che ha intuito clinico e che anche nelle emergenze se la cava sempre egregiamente. Che avrei potuto chiedere aiuto, una pausa, ma per orgoglio non l’ho fatto. Ho recitato bene la mia parte fino a che ho potuto.

Mi dispiace ammettere che non ce l’ho fatta, è una resa in fondo, ma a volte bisogna scendere negli abissi dell’anima per conoscersi meglio. Perchè tutte quelle catastrofi umane con cui ogni giorno abbiamo a che fare, ci toccano più di quanto non percepiamo. Mettiamo decine di drenaggi toracici, cateteri centrali, transfondiamo litri di sangue e plasma, cardovertiamo, defribilliamo e rianimiamo mille e mille volte. Combattiamo a fianco dei nostri pazienti ogni giorno per strapparli alla morte, diciamo loro bugie per lasciargli qualche speranza, parliamo onestamente con le famiglie, le nostre parole distruggono loro la vita e spesso siamo solo tristi messaggeri. A volte li salviamo dalla morte, tuttavia non siamo in grado di regalargli la vita che avevano prima. Interrompiamo le terapie quando non ci sono più speranze, concediamo una dolce morte, decretiamo la morte cerebrale, ci sostituiamo a Dio.

Quegli sguardi persi nel vuoto, quei boccheggi, quella vita parallela che si svolge nelle Rianimazioni ci forgia e ci ferisce al contempo. E una volta che si è entrati così addentro nella vita e nei suoi risvolti, si è a un punto di non ritorno, la leggerezza se ne è andata per sempre anche per noi.

Lena

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