ricordi

Com’ero

Posted by Magamagò on febbraio 10, 2015
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foto di HA

foto di HA

Com’ero da piccola, com’ero da adolescente, com’ero all’inizio dell’Università …

Sono le tre, di notte naturalmente, una notte di guardia tranquilla che scorre nei soliti binari della tragedia …
reparto pieno, pieno di persone anziane e quindi di vite vissute, ricche, tanto ricche, che forse si concluderanno questa notte, o la prossima ( noi siamo come animali, la notte fa paura, ma al tempo stesso dà riparo e conforto ).
E con loro finirà un pezzo di memoria universale, cosa sono stati ma anche come sono vissuti i loro cari, più giovani o più vecchi di loro.
E la memoria universale è come un treno con tanti vagoni attaccati l’uno all’altro; ogni tanto un vagone sparisce ma ne rimane l’ombra, e il treno non si ferma mai ma prosegue il suo cammino nella sua ” interezza a buchi “.
E’ quasi Natale e questo per ora mi intristisce, perché i miei cari vecchietti non ci sono più, e ho paura piano piano di dimenticarli, non come persone ma come frammenti di vita passata; di non ricordare le cose fatte insieme, il loro modo di essere. Oppure di non ricordare come mi vedevano loro, cosa pensavano di me, e mi rammarico di non poterglielo più chiedere… non lo saprò mai più.
Scrivevamo tanto prima, nei tempi passati, nel secolo scorso; lettere d’amore, lettere quando si era in vacanza, lettere quando si rimaneva ad aspettare chi era partito.. qualcosa rimaneva.
Mio zio invece viaggiava molto e mandava sempre una cartolina con su scritto ” SEGUE LETTERA “.
Ovviamente mai ricevuta una di quelle lettere promesse ! Era già moderno !
E guardando ” i miei vecchietti ” quelli che sto cercando di curare, vorrei dir loro :
” aspettate, non andate via senza aver prima riversato la vostra memoria passata su di noi, fateci questo regalo di Natale ! Per favore !
Ma non è possibile e poi forse noi non potremmo vivere con questo peso cosmico sulle spalle.
Allora basta ricordare qualcosa ogni tanto, un campanellino che trilli nella mente quando meno ce l’aspettiamo …
Sì, può bastare. Tanto c’è Dio che è la memoria assoluta.
Vi voglio bene ” vecchietti “, miei ed altrui, e vi porterò nel cuore e nella mente come una delle ragioni per cui sono un medico e non … un’alpinista o chissaché.

Magamagò

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Black-out

Posted by Gio on marzo 01, 2014
emozioni / 2 Commenti

foto di HA

A volte ho paura del mio lavoro.

A volte penso che esponga la mia anima, e la lasci nuda di fronte a tutte le emozioni, belle e brutte, della vita.

Succede in 1000 modi diversi e sempre avverto quel colpo all´anima, che fa male.

Può essere durante una notte, quando l´adrenalina di un caso difficile ben risolto lascia lo spazio all´inadeguatezza totale di fronte a un altro paziente, di cui non capisco il problema.

Succede quando mi accorgo che, non importa quanti passi avanti ho fatto e quanta esperienza ho accumulato, non basta ancora, devo imparare, imparare ed imparare, perchè la medicina non è mai finita.

Succede quando sono stanca, svuotata, quando ho semplicemente l´impressione di aver dato tutto quello che avevo, fino al punto che ho la nausea, fino al punto che non so più cosa sia la mia vita fuori dal reparto e vorrei solo dormire, un lungo sonno riposante.

E in quel sonno mi vengono a trovare i miei pazienti, quelli che non ho potuto aiutare, quelli che ho lasciato andare. E loro mi rimproverano perchè io mi sento stanca. Che diritto ho di sentirmi stanca in una vita che loro non possono avere, ma desidererebbero? Una vita della quale loro vivrebbero ogni attimo appieno, invece di spegnersi tra la fine di un turno e l´inizio del successivo, come faccio io a volte.

E succede quando vorrei piangere ma non mi vengono le lacrime, quando non mi ricordo il nome di un paziente che non è più qui, quando sono cosi satura di cattive notizie che ascolto quella più recente mangiando uno snack, e neppure smetto di masticare.

Che persone siamo noi medici?

A volte penso che siamo persone terribili.

Perchè nessuno permette alla propria anima di essere cosi frustata e maltrattata.

Con che coraggio ogni giorno comunichiamo diagnosi terribili ai nostri pazienti, alle loro famiglie, per poi impacchettare il dolore, portarlo in fondo allo stomaco, e domani ricominciare di nuovo, ancora, e ancora, e ancora.

Chi sceglierebbe un lavoro del genere?

Chi continuerebbe ad amarlo, e a mettere in scacco tutto il resto, per qualcosa di simile?

Giò

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Primo giorno d’ospedale

Posted by Magamagò on agosto 30, 2011
cronache, testimonianze / 5 Commenti

Primo giorno d’ospedale, ma non dalla parte del malato inerme, combattuto tra la sua dignità di uomo del Duemila e l’atavica paura dell’ignoto; no, stavolta sono dall’altra parte della barricata, non ancora medico ma sulla buona strada per diventarlo. Per ora sono una studentessa di Medicina che inizia a fare pratica in Ospedale: in gergo si dice internato.

Già, bisogna che cominci anche io a parlare come “loro“.

L’Ospedale: è un posto dove si gioca un’interminabile partita a scacchi con la Malattia, finché lei, la Nemica con la falce lucente, obbedendo a disegni più alti non allungherà la mano dichiarando scacco matto, o più spesso, si ritirerà nell’ombra.

In fondo la scienza ha fatto passi da gigante, e la chirurgia robotica è qualcosa di infinitamente lontano dalla scheggia di quarzo del primo medico preistorico.

Però il camice, il rito della vestizione prima di un intervento chirurgico, lo stetoscopio freddo poggiato sul filo della schiena a scoprire ogni magagna … tutto ciò è solo progresso o anche stregoneria ?

Forse sono solo rituali magici, esorcismi millenari che rivelano la congenita paura dell’uomo di fronte a fatti più grandi di lui.

Tutto vero, analisi socio-psicologica perfetta, ma allora perché ho scelto di diventare medico anch’io? Diamine, perché ho una folle paura delle malattie, no ?!

Dunque primo giorno d’ospedale, e quello che i maligni definiscono “ il mio restauro quotidiano “ è durato più del solito; non perché io sia proprio un mostro, ma purtroppo Madre Natura mi ha dotato di un aspetto in generale che si usa definire giovanile.

Questo vorrà dire che a cinquant’anni sarò ancora una bella signora, snella e fresca, ma presentemente a ventidue anni suonati e con tutta la mia buona volontà, non dimostro più di 15 anni, e pur essendo matura e intelligente, si sa, anche l’occhio vuole la sua parte.

Ed io, fossi un malato, non mi fiderei più di tanto di una dottoressa che con quel camice bianco sembra appena uscita dall’asilo, dimenticando in aula il suo bel fiocco blu.

Quindi: cerchiamo di invecchiarci!

Primo giorno d’ospedale: non bastano occhi per vedere tutto, né orecchie per ascoltare l’anamnesi del paziente letta con voce monotona dal collega: sembra non basti neanche il cervello per imparare tutto ciò che serve.

Ce la farò? Gli avvenimenti della giornata, piccoli e grandi, rimangono impressi nella mia mente non già come sono ma sotto forma di racconto.

Racconto che farò a tutti: ai miei genitori, che quando mi vedono pallida, a luglio, studiare fino a notte fonda su libroni più grossi di me pensano che loro gli anni della giovinezza non li hanno goduti per via della guerra, però neanche io mi sto divertendo.

Racconto soprattutto da fare al mio lui, conosciuto sui banchi di Anatomia (romanticissimo), il primo di mille che caratterizzeranno la nostra vita in comune.

La cosa più bella è che io ho le idee chiare sul mio futuro e il mio primo giorno d’ospedale potrebbe essere anche uno dei tanti fra dieci o vent’anni; sarò più vecchia, più esperta, toccherà a me spiegare agli studenti, ma l’entusiasmo, il senso del dovere, l’amore per la gente, saranno come oggi, anzi di più.

Primo giorno d’ospedale …o forse è solo un ricordo, di quelli che vengono a chi ha i capelli bianchi e il viso rugoso? Chi sono io, la studentessa col camice bianco o la dottoressa quasi in pensione? Devo vivere ancora la mia vita o è già quasi tutta trascorsa? Chi sono io?… Non dovrei pensare troppo, la mente mi si confonde, è colpa della preanestesia, e poi stare distesi sul lettino e attraversare così tanti corridoi con tante porte …ma non si arriva mai? Ragioniamo: sto per entrare in Sala Operatoria, una cosa semplice, lo so, andrà tutto bene, e poi me lo sta dicendo anche questa graziosa ragazza in camice che cammina affianco della barella.

Quant’è giovane, ha una faccia sbarazzina; con quel camice e quel visino più che una dottoressa sembra una bambina dell’asilo, le manca solo il fiocco blu ….Curioso! Mi ricorda qualcuno ma non so chi, la mia mente scivola nel buio, questa narcosi, bisogna che le paarli doopo …doopo, le parl…curios…

( ritrovato tra le mie carte 35 anni dopo )

Magamagò

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