una commissione urgente

Scritta da il guardiano su Maggio 03, 2009
racconti

Quando aprì gli occhi, la signora del letto 9 avvertì immediatamente un grande senso di angoscia. Era convinta che fosse mattino, e che fosse l’ultimo giorno per pagare la bolletta del gas. Cercò di tirarsi su, per alzarsi, vestirsi e correre alla posta, ma subito fili e cateteri si misero a tirare da tutte le parti, facendo scattare gli allarmi. Due infermieri accorsero e la fermarono prima che potesse fare maggiori danni. Le spiegarono (un po’ rudemente, a suo avviso) che non era mattina, e che alla bolletta ci avrebbero pensato i suoi famigliari. Difficile, pensò lei. E poi ormai era tardi per andare alla posta. Loro, gli infermieri, la facevano un po’ troppo semplice ma non conoscevano suo marito, i suoi figli. Sentiva che quella bolletta non sarebbe mai stata pagata, e questo non era per niente un affare da poco. Il fatto è che lei non sapeva che erano capitate cose ben più importanti. Che in quei giorni era stata messa in discussione la sua stessa sopravvivenza. Lei non sapeva di essere stata molto peggio, non sapeva che aveva rischiato la vita. Quell’angoscia l’avevano vissuta i suoi famigliari, è per questo che, quando li vedeva, li trovava piuttosto strani, e, secondo lei, per certi versi ancora meno affidabili. La signora del letto 9 sapeva solo come stava in quel momento e giudicava tutto secondo quelle impressioni lì. Il suo stato di salute non le veniva affatto in mente. Tutt’al più pensava a qualcosa di contingente, di immediato: la fame, il freddo, la sete. In quel momento c’era quella benedetta bolletta che la preoccupava terribilmente, e il non poter nemmeno avvisare suo marito la metteva ancora più in agitazione. Quando arrivarono poi gli stessi infermieri di prima che per ordine del medico le dovevano infilare di nuovo lo scafandro pensò che era ora di ribellarsi una volta per tutte. Lo scafandro era una vera e propria tortura. Lì dentro l’aria circolava ad una velocità pazzesca, e faceva un rumore terribile. Ogni volta che glielo mettevano pensava di impazzire, e quando glielo toglievano cercava di capire se durante quelle dieci ore fosse impazzita o no. Certo era meglio del tubo. Ma almeno quando aveva il tubo era sedata, o in parte sedata. Ricordava ancora quel tubo che le ostruiva la bocca e le impediva di parlare. Temeva che le fosse cresciuto un enorme dente, o che a causa dell’operazione andata male le avessero riempito la bocca di garze. Quando arrivò il medico per convincerla a mettere lo scafandro sentiva che la sua forza di ribellione era già venuta meno. Forse le avevano dato un tranquillante. Pensò che fosse meglio così. Che sedata non avrebbe sentito quel rumore spaventoso. Quando si addormentò sognò di aver rotto due scafandri a forza di muoversi e dibattersi, e nel tardo pomeriggio, quando la liberarono nuovamente, vide suo marito che le sorrideva accanto al letto, ma lei aveva troppo sonno per chiedergli della bolletta, e gli fece solo un gesto come dire: “Non importa…” ma nessuno se ne accorse.

il guardiano

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