Archive for marzo, 2013

Guardiani…

Posted by TNT69 on marzo 28, 2013
emozioni, pensieri / 3 Commenti

foto di MV

foto di MV

Ancora una notte, tranquilla, un incontro con la morte, che di notte è quasi sempre calma, silenziosa, attesa per alleviare le sofferenze di corpi ed anime angosciate. Leggo le vostre storie e in questa notte particolarmente tranquilla mi soffermo su titolo del blog “nottidiguardia”.

E’ vero siamo dei Guardiani, di eventi, storie, attimi fuggenti a volte così intensi e profondi da lasciare dei solchi nelle nostre anime. Dalle storie scritte emergono dei Guardiani attenti, premurosi, che ce la mettono tutta per salvare, guarire, curare o accompagnare. Ci mettono l’anima, il cuore, la passione, la fatica e la rabbia per poter fare al meglio nonostante i limiti e gli ostacoli della realtà quotidiana che vivono.

E così sono qui in questa notte tranquilla a leggervi con un groviglio di emozioni nella pancia che il silenzio della notte amplifica, sperando che i racconti continuino e che i Guardiani non si estinguano mai!

Grazie a tutti!

TNT69

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Vigilia

Posted by Picu on marzo 24, 2013
emozioni / 5 Commenti
foto di MV

foto di MV

Qui, di vigilia, come un soldato romano a guardia delle mura. C’è da tener fuori il nemico, almeno stanotte. A guardia di queste creature in bilico tra il qui e il là, tra l’ora e il sempre, tra il contatto e il ricordo. C’è da tener fuori quella nera signora, a volte con l’inganno e un trucco subdolo, a volte sfidandosi a viso scoperto, con ogni mezzo a nostra disposizione. Siamo coraggiosi ma a volte non basta, e ci assale un timore antico. No, non ora, non oggi, per favore. Non a me. Egoismo dell’angoscia. A volte spavaldi, ma che vuoi da noi?, vattene o sarà peggio per te! A volte invece non siamo nulla, siamo tranquilli, per questa notte è lontana, e ci penseremo domani. E invece ci assale di sorpresa, non ha il coraggio di guardarci in volto: e non eravamo armati.

Qui, di vigilia, come madri antiche a guardare il loro bambino, in notti di febbre, di respiro pesante, in notti di paura per quella paralisi che prendeva all’improvviso, per quel mal di gola che chiudeva il respiro. Sentimento universale di paura per il tuo sangue, la tua carne, terrore e preghiere. Madri anche noi, questa notte prestate ad altri figli, perché altre madri possano chiudere gli occhi un momento, e sperare non sia mai accaduto.

Qui, di vigilia, ad aspettare che sorga il sole, e qualcuno prenda il nostro posto. Che qualcuno controlli i nostri errori, e ci rassicuri che non saranno fatali. Ad aspettare il primo raggio di luce nel buio dei nostri dubbi, e che si alzi la nebbia, e venga giorno pieno a scaldarci.

Qui, di vigilia, a sentirci soli in quell’ora che non è quasi più notte ma non è ancora giorno, quando vorresti chiamare qualcuno a dividere il carico con te, e nessuno può venire, e chiudi gli occhi e li riapri credendo il tempo così passerà prima, ed è sempre lo stesso minuto, la stessa ora.

Qui, di vigilia, quando vorresti essere a casa a dormire coi tuoi, di bambini, e maledici il giorno in cui hai scelto questo lavoro, e poi si fa l’alba, ed è passata ancora una volta, e qualcuno sta meglio, e sai benissimo che altro lavoro non potresti fare.

Picu

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Lei

Posted by Pills on marzo 15, 2013
pensieri / 2 Commenti
Foto di MV

Foto di MV

Hai passato momenti bui e difficili, di cambiamento e di rinnovo.

C’è stata la “grande fuga” dei dipendenti, ci sono stati anni di magra, ci sono stati periodi di aumento impressionante di quote rosa (in arancione) con il successivo problema: “E mo’ le spinali chi le tira giù dalle scale?”.

Ora il trend pare essersi ripreso, sia in numero che in parità dei sessi.

Gente è entrata ed è rimasta, altri sono andati via per studiare e lavorare. Altri sono usciti e ora sono sposati. Il loro matrimonio è stato privato. Non una sola nota di arancione tra i banchi, neanche virtualmente sotto la giacca o l’abito elegante.

E’ aumentata la famiglia allargata grazie alle nascite di bambini molto voluti e travagliati. Non è stato semplice ma ora la felicità sprizza furiosa dagli sguardi dei miei compagni. Fuoriesce violenta dalle foto e video che fanno alle loro creature. Invade tutti senza pietà quando i pupi vengono a trovarci.

Dei “nuovi” c’è che si interessa, chi vivacchia, chi è sbruffone, chi è curioso e fa delle domande il suo pane, chi si esalta, chi ha un passato importante ma lo gestisce bene, chi sembra messo lì per caso, chi flirta, chi ride e basta, chi medita, chi ha una vita scombinata e tenta di ricucirla con la nostra attività.
Mi impensieriscono queste persone, perché Lei è impietosa con chi non ha proprio idea di dove inizi la sua esistenza. Porti i il valigione (ma basta anche una borsetta) di tuoi problemi alla guardia e Lei farà in modo che in serata ti si rovesci sulla testa con una violenza inaudita. E’ matematico. Crudele ma matematico.

Il tacito contratto recita:
“Non verrai in guardia coi cacchi tuoi ad occupare la tua mente. Tu servi focalizzato e sgombro da rimuginamenti.
Nel caso li avessi la cura è camerata con porta chiusa o garage o cucina. 10 respiri profondi, pensieri zen e si ricomincia in pieno stile Hakuna Matata ”

Mi è capitato di trasgredire, come capita a tutti prima o poi. A volte hai così tanti pensieri che ti sembra che la testa voglia scoppiare e non riesci nel tuo intento di astrazione.

Il duro suolo di cemento del garage, il piano d’acciaio della cucina, il sintetico arancio fluo e la pelle di viso, collo e mani accolgono bene le lacrime per poi farle scivolare via ed essere puliti come prima, solo un po’ più salati. Garantito al limone. Ho parlato troppo di Noi, torniamo a Lei (che in fondo è Noi).

Sta passando una durissima transizione. Ha qualche ematoma qui e là, ma guariscono per poi riformarsi per poi guarire ancora una volta. Ci sta lavorando su con qualche protezione di fortuna. E’ come se fosse un Irish coffee: è buona complessivamente ma è bifasica.

In superficie è trasparente, limpida, quieta anche durante movimenti bruschi e soprattutto omogenea. In profondità è opaca, torbida, scura, puoi vederci le onde se crei turbolenza e la sulla sua omogeneità ci sarebbe da argomentare.
Per quanto uno mischi, le due fasi a periodi tendono a tornare divise.

Lei sta solo aspettando che più di qualcuno si stufi di essere Irish Coffee e voglia diventare Bicerin: bifasico in origine ma mixabile con estrema facilità ed efficacia.
Ma se l’alcol che sta sopra al caffè, che è l’ingrediente maggiore, non ha alcuna volta di evaporare e di trasformarsi in panna liquida rinunciando ad un po’ della sua massa per guadagnarne in densità, palatabilità e omogeneità…se l’alcol non vuole saperne io da umile Bicerin non posso fare altro che dispiacermi un po’.

Mi dispiaccio perché Lei in fondo è una bella entità. Plasma i suoi componenti secondo l’indole di ognuno. Che tu tenda alla leadership moderata od estrema, che tu tenda a seguire le correnti maggiori e ad essere sbatacchiato da un fronte all’altro a seconda del vento, che tu tenda ad essere un outsider chiuso nel suo guscio ai più ma libro aperto per alcuni, che tu sia gasato, che tu sia non tagliato per l’attività, che tu abbia sete di sapere ed imparare…chiunque tu sia e che tu so sappia già o ne sia ancora all’oscuro, Lei ti farà sbocciare. Fiore o rovo, dipende da te e dalle tue motivazioni. Lei non nega nulla a quasi nessuno. Solo chi non sa chi è rimarrà in boccio ed uscirà in boccio. Lei non è il luogo per trovarsi, ma il luogo per scoprirsi.

La Squadra, se sai e vuoi viverla, ti dona splendide amicizie, furiose litigate, grandi pensieri, chili di senso di responsabilità, difficile vita di comunità se uno non è già abituato e molto altro che è meglio scoprire che elencare.

Mai precludersi niente una volta entrati. “Never say never”.
Ho iniziato con dei dubbi, sono cresciuta con delle certezze, ho continuato a crescere con degli amici (adesso anche fuori guardia), continuo il mio percorso cambiamenti di opinioni e e qualche scazzo, ho trovato il nirvana in borghese con un compagno arancione.

Un’estate di una notte ogni nove a parlare in garage o in postazione, ad aprirsi in ambulanza durante le check list, a dare piccoli segnali e ad instillarsi leggeri sospetti. E’ iniziata in arancione senza che nessuno dei due lo sapesse, scintillando coi catarifrangenti alla luce dei fari nella notte.
E’ finita dopo la cena di squadra con un bacio, tutti e due finalmente consapevoli dopo una rapida somma degli eventi. Ora risplendiamo anche senza fluo e catarifrangenti.
E Lei, alla fine, ad essere stata la nostra madrina, guardiana, chaperone.

Dunque, grazie Squadra, madre e matrigna. Grazie per tutto.

Pills

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Ieri e oggi

Posted by Magamagò on marzo 08, 2013
emozioni / 2 Commenti
Foto di MV

Foto di MV

Io ho un amico, un tipo buffo, a metà strada fra cielo e terra, fra realtà e sogno.
Già all’aspetto ci si accorge che è straordinario: due occhi vispi, lucidi lucidi, furbi; ti guardano e ad un tratto si raggrinzano tutti, e ridono in silenzio, seguendo chissà quale pensiero, lontano mille miglia dal presente.

E’ un attimo solo, poi il viso torna serio, di quelli che anche senza occhialoni professionali ti mettono un pò in soggezione. Ma io non ho paura di lui, io lo conosco, so chi è, l’ho scoperto una sera di primavera, mentre cercavo un pezzetto di cielo senza stelle per tuffarmici dentro. Mi è apparso all’improvviso, cominciando dagli occhi neri, e poi formandosi tutt’attorno. Mi ha guardata e mi ha detto: ” Ciao micia bianca col fiocco azzurro!” Non lo sono? Sì invece: e poi i gatti hanno un bel  carattere, volitivo, dignitoso, ma sanno anche essere al tempo stesso affettuosi e fedeli; e poi una micia bianca tutto pelo è bella!

“E tu chi sei stasera ? “

“Vediamo: ti andrebbe un cucciolo di pastore tedesco con le zampotte ciotte ciotte e le orecchie una dritta e una piegata a metà? Un cane tonto a cui piacciono le micie bianche? ”
E, non ci crederete, ma io mi sono sentita veramente una gatta e mi sono accoccolata fra le sue zampotte facendo le fusa. Da allora è rimasto questo piccolo segreto fra di noi: appena cala la sera corriamo nei prati, io micia e lui cucciolo.
Di giorno no, siamo seri, dottorali (per forza siamo medici!), impegnati nella nostra battaglia quotidiana contro la sofferenza, con la coda arrotolata sotto il camice, camminando a due zampe.
Ma i pazienti se ne accorgono specie quelli anziani, specie quelli che amavano gli animali e lo farebbero ancora se non fossero totalmente impegnati a vivere: dicono che ci sia empatia con noi due, condivisione con loro di vita, passata, presente… e futura, forse. Ma in maniera lieve, giocosa: non sono solo i bambini che hanno bisogno di ridere, giocare, sognare… credo che soprattutto gli anziani abbiano bisogno di ridere, scherzare, giocare col gomitolo di lana e non pensare ad altro.
Non importa tanto essere bravissimi, luminari della scienza, quanto essere con loro e non lasciarli soli, non abbandonarli quando cercano conforto e sicurezza, sorridere con loro quando si vince, piangere con loro quando va meno bene. Il più bel regalo per noi? Quando un paziente, o i suoi familiari, a distanza anche di anni, incontrandoci, ci dicono: “si ricorda? Quante risate fatte insieme, grazie.”

Noi ce le ricordiamo tutte, ma proprio tutte, sono come cellule del nostro corpo, ci formano, le portiamo con noi, ci fanno vivere.
I nostri pazienti… sono la nostra sola ragione di vivere. E condividerli da quarantanni con mio marito… bè, è un bel collante!

Magamagò

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Adriano

Posted by Labile on marzo 01, 2013
cronache / 5 Commenti
Foto di SC

Foto di SC

“Ho sempre preferito il fuori al dentro.”

Spesso mi torna in mente questa frase, per niente innocua e di grande interesse, ogni volta che da una finestra guardo in basso fra gli alberi.

Guardare da dentro a fuori è sempre stato quello che preferiva fare, quasi come per gioco, un passatempo, una scoperta continua , una raccolta di dettagli e particolari che si fissano per sempre negli occhi.

È raro trovare un reparto così, dove la luce potrebbe non essere necessaria, inv

ece in questo palazzo romano del ‘500 è del tutto normale avere a disposizione grandi finestre, quasi delle vetrate, da cui piove una luce scenografica e crepuscolare.

Più in là, lo stesso palazzo, si trasforma in atelier di pittori e scultori e più oltre ancora nella scuola di nudo dell’accademia.

Se getti lo sguardo, oltre la finestra, mentre traffichi con la consueta e necessaria attenzione attorno a uomini e donne, spesso intubati, è come volare sopra il grande platano e vedere come da prospettiva da quadro impressionista francese, foglie e rami che intrecciandosi salgono dal secondo cortile interno di quest’ospedale.

Adriano è in un letto di fianco alla finestra, non riceve mai il sole direttamente, una luce limpidissima lo inonda appena fa mattino. Non vede altro che rami e foglie nell’intreccio vitale che rende il platano secolare un vero ed inarrivabile esempio di attaccamento alla vita.

“Proprio come la sua”, penso mentre gli allungo la colazione.

D’altronde Adriano è uno dei pochi pazienti che, svezzato dalla ventilazione assistita, riprende lentamente a parlare.

Pian piano prende confidenza con noi che, ormai abituati a trattare col suo corpo, ci sembra di conoscerlo da tanto tempo, anche nell’animo.

Il suo sguardo come fatto d’acqua, giorno dopo giorno riacquista forza, quella stessa forza che lui sa di aver praticato per vivere.

Adriano sa di dover morire, non come noi ignoranti e sani.

“Tutti prenotati, siamo tutti prenotati …” rispondo quando mi dice di sapere già come andrà a finire.

Di netto come una banalità buttata li a perturbare la bellezza delle foglie e dei rami.

Essere consapevoli deve essere il più cattivo dei tormenti, eppure la faccia e il corpo di Adriano dicono di una immensa calma, una serenità che di rado ho visto nelle persone.

Adriano, mani splendide di sarto romano d’alta moda, corpo asciutto e capelli appena imbiancati, sessant’anni appena e ben portati.

Adriano legge epigrafi funerarie latine raccolte in una vecchia edizione Einaudi e ogni mattina come uno scolaro diligente si fa trovare con il libricino fra le mani.

“Ascolta questa …” mi dice mentre legge ad alta voce una che gli è sembrata bellissima.

Poche parole, aggettivi delicati eppur potenti a rappresentare in appena due o tre righe il carattere e la vita, il sentimento di defunti millenari, spessissimo bambini, mogli amatissime e mariti valorosi.

L’imbarazzo che provo nei suoi confronti mi ammutolisce, quasi sempre non riesco più a parlare di fronte alla sua leggera e consapevole necessità.

Quasi mi spaventa.

Adriano è morto.

Appena finì di leggere il suo libro, me lo allungò con delicatezza dicendomi: “È tuo”.

Compì il suo modo di acconsentire l’arrivo della sua fine leggendo quella di altri e mi piace pensare alla sua forza quando sfoglio le pagine di quel volumetto sapendo che Adriano riposa da qualche parte in compagnia della sua bellissima e immortale epigrafe.

Labile

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