Show a little faith, there’s magic in the night

Posted by Picu on agosto 12, 2013
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Foto di MV

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La notte è sinestesia. È freddo azzurro nel corridoio da camminare o correre, é il fiato duro dell’aver corso troppo rispetto alle tue possibilitá fisiche, è il battito del cuore dolce o amaro, quando comunque salta fuori dal petto, caldo. È caffè bruciato, mal di stomaco, nausea da troppe patatine. È adrenalina in scariche gialle, e ipotensione quando l’hai finita. E’ il caldo grigio del letto quando stai finalmente vasodilatandoti e abbandonandoti, e il rosso incazzato di quando risquilla di nuovo quell’accidenti di cicalino. La notte è musica calda, quella che scegli tu a farti compagnia. È luce bassa sulla scrivania bianca, tra cartelle e biscotti e tazze di caffè. È il verde dell’ecg e il rosso molesto degli allarmi. Non c’è senso tradito dalla notte, negletto. È il tocco freddo del metallo in mano, l’odore del sangue, il rumore della tua paura. È una luna accesa fuori, a giudicarti. E’ il respiro dell’alba, la luce che arriva finalmente a farti coraggio. È il freddo dei tuoi visceri, quando non termoregoli più, o il caldo della pelle sporca e appiccicosa, al mattino. È il dentifricio che fa a pugni col kebab, è la cicca che mastichi per non addormentarti, è la nausea del troppo sonno, l’emicrania tagliente del mattino. È il piccolo brivido del pensare che sei solo tu, è la soddisfazione del pensare che sei solo tu. È il viaggio al termine delle tue paure.

Picu

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Lettera a Gi

Posted by Picu on maggio 20, 2013
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Foto di AC

 

Ho conosciuto una ragazza motivata e seria, che inspiegabilmente vuole fare il mio mestiere, con determinazione proprio il mio. Proprio come dire la mia sottospecialità. E vuole pure venire da me, ad imparare (??) (sì, ho colleghi molto bravi). Insomma, io che sono quasi commossa da tanta determinazione e volontà, dovrei metterla in guardia, perchè lei ancora non sa bene cosa la aspetti.

Cara Gi, dovrei dirti che è un mestiere pericoloso, e stancante. Che starai in piedi sempre, e la sera avrai le caviglie a puntaspilli nonostante le calze supercompressive che imparerai a mettere immediatamente. Che quindi ti verranno delle venazze. Che non avrai orari regolari, e mangerai quando capita, e vivrai di caffè se va bene, e quindi avrai la gastrite cronica e ingrasserai perché quando poi arrivi sul cibo ti ingozzerai famelica di tutto quel che ti passa sott’occhio. Scordati di andare in mensa a mangiare verdurine cotte e risino in bianco. Che farai milioni di notti e sarai sfasata, e stanca, ma così stanca da non riuscire a dormire mai per la troppa adrenalina. Quindi sarai incazzosa, e chi ti sta accanto, se non fa proprio proprio il tuo stesso mestiere, non capirà questa tua stanchezza, e alla fine si stuferà di te, dei tuoi orari, delle tue lune, della tua mente impegnata altrove, e se ne andrà, probabilmente, o resterà ma non ti capirà. Sì, perché solo chi fa la stessa cosa può capire che la tua mente non si allontani mai dall’ospedale, dai pazienti. Che tu ripensi ansiosamente a cosa hai probabilmente sbagliato, sperando non sia troppo grave. Che ripensi a quel che si sarebbe potuto fare in più e meglio.

Dovrei dirti che dovrai imparare a tirar fuori le unghie, e litigare spesso con colleghi di altre specialità, specie quelli che stanno dall’altra parte del telino, finchè almeno non avrai conquistato la loro fiducia assoluta e si fideranno di te anche se gli rimandi un intervento. Ma passeranno anni prima di allora. E fino ad allora, dovrai essere inflessibile, non cedere a lusinghe o ricatti, e ti tratteranno male, sai, ma molto, e ti verrà la tentazione a volte di piangere umiliata, ma non lo dovrai mai e poi mai fare, o avrai perso in partenza. Dovrai fingere coraggio e spavalderia anche quando sarai pietrificata dalla paura, dentro di te, e controllare il tremito alle mani, e agire in fretta, mentre tutti ti osservano, perchè tanto, non tocca a loro quel lavoro di merda. Perchè non si può non aver paura, ad avere in mano la vita degli altri.

E a fronte di tutto questo, non verrai mica pagata tanto, sai? Non è come nel romanzo “la casa di Dio”, in cui negli svantaggi dell’anestesista si dice “noia inframmezzata da panico” ma nei vantaggi ci sono “soldi soldi soldi”. Qui non siamo in America, e i soldi non si fanno. Ne farai uguali ad un medico di base che ha lo studio tre ore al giorno, e a tutti quegli altri che hanno un decimo delle tue responsabilità. Ma l’assicurazione, quella ti costerà uno sproposito, invece. E ti gireranno i coglioni, oh se ti gireranno.

Dovrei anche dirti che non è vero, come forse pensi ora entusiasticamente, che se studi come una bestia poi saprai sempre cosa fare. Non è vero, e poi, non si studia mai abbastanza in questo lavoro. Non è nemmeno vero, come speri, che poi ad un certo punto interverrà l’esperienza, il senso animale del problema, ad aiutarti: succederà, un pochino, ma non sarà mai abbastanza.

 

Però poi, cara Gi, dovrei anche essere onesta, e dirti che ci sono momenti che non potrai mai dimenticare nella vita, alla stessa stregua della nascita di un figlio. Ci saranno, raramente, momenti in cui capisci che il paziente ha virato, e da lì in avanti migliorerà, e avrete schivato la fine ad un pelo dallo schianto. Sono momenti che non ti dicono i numeri scritti sul monitor o sulla carta, ma te lo dice il fiuto. Ci sono momenti in cui chiamerai dentro i genitori e gli farai vedere che stubi il bambino e lui dirà mamma, per la prima volta da troppi giorni, e piangerete tutti di gioia. Ci saranno le albe viste da una rianimazione, che sono diverse, perché sono quando tu stai per cedere e ti viene in soccorso la luce, finalmente, e il caffè, ultimo di una lunga serie ma primo del nuovo vero giorno, e ti torna la forza di tirare altre due ore, e sei soddisfatta, perchè siete ancora tutti lì. Ci saranno momenti in cui i bambini che hai visto su un letto pieni di tubi e sul filo del rasoio torneranno a salutare, anni dopo, perfetti. Ci saranno le mamme con cui ti darai del tu e scambierai i  numeri di cellulare e vi scriverete messaggini. Ci saranno tutti i momenti in cui sarai di guardia e i tuoi colleghi ti scriveranno sms negli orari più impensati per sapere come va quel tal bambino lì. Ci saranno le volte in cui incontrerai al mercato qualche persona che ti farà le feste e tu non ricorderai forse chi sia, ma il viso un po’ sì, e ti si rischiarerà la giornata.

Insomma, cara Gi, non sarei onesta a tacerti tutto questo: perché poi, è quel che fa andare avanti, altrimenti, no, non ne varrebbe proprio la pena.

Picu

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Vigilia

Posted by Picu on marzo 24, 2013
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foto di MV

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Qui, di vigilia, come un soldato romano a guardia delle mura. C’è da tener fuori il nemico, almeno stanotte. A guardia di queste creature in bilico tra il qui e il là, tra l’ora e il sempre, tra il contatto e il ricordo. C’è da tener fuori quella nera signora, a volte con l’inganno e un trucco subdolo, a volte sfidandosi a viso scoperto, con ogni mezzo a nostra disposizione. Siamo coraggiosi ma a volte non basta, e ci assale un timore antico. No, non ora, non oggi, per favore. Non a me. Egoismo dell’angoscia. A volte spavaldi, ma che vuoi da noi?, vattene o sarà peggio per te! A volte invece non siamo nulla, siamo tranquilli, per questa notte è lontana, e ci penseremo domani. E invece ci assale di sorpresa, non ha il coraggio di guardarci in volto: e non eravamo armati.

Qui, di vigilia, come madri antiche a guardare il loro bambino, in notti di febbre, di respiro pesante, in notti di paura per quella paralisi che prendeva all’improvviso, per quel mal di gola che chiudeva il respiro. Sentimento universale di paura per il tuo sangue, la tua carne, terrore e preghiere. Madri anche noi, questa notte prestate ad altri figli, perché altre madri possano chiudere gli occhi un momento, e sperare non sia mai accaduto.

Qui, di vigilia, ad aspettare che sorga il sole, e qualcuno prenda il nostro posto. Che qualcuno controlli i nostri errori, e ci rassicuri che non saranno fatali. Ad aspettare il primo raggio di luce nel buio dei nostri dubbi, e che si alzi la nebbia, e venga giorno pieno a scaldarci.

Qui, di vigilia, a sentirci soli in quell’ora che non è quasi più notte ma non è ancora giorno, quando vorresti chiamare qualcuno a dividere il carico con te, e nessuno può venire, e chiudi gli occhi e li riapri credendo il tempo così passerà prima, ed è sempre lo stesso minuto, la stessa ora.

Qui, di vigilia, quando vorresti essere a casa a dormire coi tuoi, di bambini, e maledici il giorno in cui hai scelto questo lavoro, e poi si fa l’alba, ed è passata ancora una volta, e qualcuno sta meglio, e sai benissimo che altro lavoro non potresti fare.

Picu

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