anima grande

Posted by tartaruga on marzo 16, 2010
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C’è un’Anima Grande, che passa dalle pareti bianche e verdi del Pronto Soccorso, soffia tra i ventilatori della Rianimazione, pervade le stanze di tutti i reparti, fino ad arrivare ai pavimenti polverosi del “Pronto Vecchio”…
E’ un’anima che spesso prende, spesso toglie, ma altrettanto spesso concede… e se ti fermi un attimo isolandoti dal caos che ti circonda la senti…
La senti che ti accarezza la pelle mentre aspetti il tuo defibrillatore al passa-malati della Sala Operatoria, non c’è nessuno, dai finestroni del corridoio solamente il buio e qualche piccola luce nei palazzi davanti, senti solo il rumore lontano delle attività della Sala e l’adrenalina dell’ultima urgenza inizia a scemare… la senti che arriva vigliacca da dietro, ti passa sulle spalle e ti stringe la gola mentre leggi la frase tatuata sul braccio di un ragazzo della tua età, che adesso è coperto da un lenzuolo bianco… la senti che ti parla all’orecchio mentre guardi uno dei migliori medici che tu conosca assistere il suo papà, mentre vorresti poter risolvere tutto e dirgli: “Guarda, è come nuovo…!” La vedi nel sorriso bambino del tuo collega che addobba l’albero di Natale, mentre tu cerchi di sabotarlo, perché in fondo il Natale non ti è mai piaciuto… la vedi che ti sfida ogni volta che passi dal corridoio che dal Pronto Soccorso porta ai reparti e la tua immagine appare in quell’oblò di plastica sul soffitto, che forse nessun altro ha mai notato e che riflette te e le tue paure e devi ammettere che oggi, vista in quello specchio strano, la divisa arancione che indossi per la tua prima volta fa una certo effetto… la puoi addirittura sentire arrivare, quando si aprono le porte di un’ambulanza e sei invasa da tutto quello che è successo a casa del paziente… la vedi passare nelle finestrone illuminate dell’ospedale, che sembra una grande balena o un transatlantico con i suoi tanti oblò… la odi quando ti strattona, mentre l’ennesima paziente di un pomeriggio disastroso ti spiega che non seguirà la dieta che il medico le ha appena prescritto perché il suo unico cibo a colazione, pranzo e cena è la pasta, sempre, solo e unicamente la pasta, pasta e nient’altro, perché è la sola cosa che la sua pensione permetta… la vedi nel sorriso dell’anestesista che ti ruba lo zaino dei trasporti nonostante la fretta del momento perché a suo dire lui è troppo “uomo del Sud” per lasciarlo a te, basta uno sguardo e sai che tutto andrà per il meglio, che qualsiasi intoppo non sarà insormontabile… la vedi passare negli occhi tristi di due genitori attoniti e sai che continuerà a passare senza sosta come un vento freddo su un prato di gennaio coperto di brina… la vedi in lontananza quando sotto un ombrello con il tuo mito del Pronto Soccorso scopri che non sei l’unica a cui quel corso non è andato esattamente come atteso… la senti che ti fa tremare le mani quando durante un’urgenza tiri fuori tutta la grinta che una collega speciale ti ha insegnato ed è come se lei fosse lì ad osservarti, anche se adesso non è in turno con te… la senti che ti gela le vene quando ti volti e vedi G. e la sua decompressione cranica coperta da un fazzolettone colorato, G. e i suoi grandi occhioni persi a guardare qualcosa che a te non è dato vedere…
Alcuni la chiamano Anima Grande, altri Dio, alcuni Buddha, altri Allah… non so se esista un nome appropriato… io chiedo solo di poter continuare a sentirla, giorno per giorno…

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una mattina come tante

Posted by tartaruga on aprile 18, 2009
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C’è un solo responso, un solo e unico NO… nella frenesia di una mattina come tante, tre persone si fermano accanto al letto di un paziente… un paziente come ne abbiamo visti passare molti altri e a suo modo unico… tutto quello che avevamo pensato per lui non si può fare e non lo si farà… lo svolgersi degli avvenimenti e le decisioni assunte forse non sempre possono lasciarci del tutto appagati. Il succedersi di pazienti su questo stesso letto attorno a cui ci troviamo mi ha insegnato che non sempre le situazioni sono tutte bianche o nere, ho dovuto imparare a cogliere quella infinità di grigi, senza i quali sarebbe impossibile resistere.
Un gusto amaro ci pervade la bocca, un sottile lampo di perplessità ci attraversa gli occhi… lo sappiamo noi tre, lo vedi negli occhi di chi ti sta intorno nella sala emergenza, lo vedi nei volti della famiglia con cui parlerai, lo vedi nella neve che cade sciogliendosi sul vetro della macchina, mentre lasci l’ospedale per riprendere la tua vita all’esterno.
Io non lo so cosa sarebbe stato meglio in questo caso… so che noi ci abbiamo provato… e questo è sufficiente per entrare domani in sala emergenza, sfoderare il mio solito sorriso e dire: “Allora, che si fa?”, e so che per voi due sarà lo stesso…

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era la solita triste storia

Posted by tartaruga on novembre 21, 2008
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Io Babette l’ho vista arrivare in PS e l’ho aspettata… l’ho aspettata due lunghe ore in triage con il marito, a cercare di rassicurare chi non può e non vuole essere rassicurato perchè Babette ha poco più di 30 anni e perchè Babette ha un fagottino di 20 giorni che la aspetta a casa… Poi Babette arriva e scende dall’ambulanza e basta uno sguardo… basta uno sguardo per pensare che questa è una delle solite tristi storie di pronto soccorso, basta uno sguardo per riuscire solo a vedere una strada senza ritorno in quel corpo in cui l’aria circola spinta da chi preme il pallone, basta uno sguardo per non riuscire più a guardare negli occhi il marito, mentre lo consigli per organizzarsi per il latte della bimba… quello sguardo, che per due ore mi ha consumata cercando di capire cosa io sapessi più di lui e non volessi dirgli, l’ho rivisto alcune settimane fa mentre ero nell’atrio dell’ospedale, in una giornata delle più nere, in cui non ti rendi conto che al mondo non esisti solo tu e i tuoi problemi… ma in quello sguardo non c’era più la disperazione rassegnata che ricordavo, c’era una luce di speranza che in pochi occhi ho visto così intensa… ed è scattato qualcosa mentre cercavo nella memoria dove avessi già visto quello sguardo… ODDIO BABETTE! Ed è un attimo in cui inizio a cercare tra i volti nell’atrio, un attimo in cui cerco, cerco, cerco e… vedo un capannello di persone, che piano piano si apre davanti ai miei occhi come un fiore che sboccia ed al centro… Babette con il suo fagottino in braccio!! Ed è un attimo scrosciare in un pianto liberatorio ed è un attimo abbracciarla fin quasi a schiacciare il fagottino, anche se Babette non mi conosce e non ci siamo mai parlate… il marito le dice che sono l’infermiera di cui le ha parlato e che ha aspettato con lui, stringo la mano alla mamma di Babette con le guance rigate di lacrime… e questo mi basta, posso andare a lavorare con un sorriso che da qualche giorno avevo perso, perchè è il lieto fine di cui avevo estremamente bisogno…
(riferito a “il sonno di Babette” del 25/08/08)

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