Farfalle nella notte

Scritta da Pills su gennaio 23, 2012
cronache

“Oggi mi sento in forma, ma c’è un sottofondo che guasta tutto. Diffidenza? Presentimenti? Chissà…”
Io e il mio compagno di nottata ci avviciniamo alla postazione medicalizzata. Tempo di scendere dalla macchina e scambiare due parole con i colleghi smontanti, veniamo investiti da Mike e India per un dolore toracico a 5 minuti dalla postazione. Per fortuna è un falso allarme e ce la caviamo in un tempo ragionevolmente breve.
Le ore passano e la sensazione è ancora lì, addormentata nel mio “di dentro” da qualche parte anatomicamente sconosciuta ma di una pesantezza palpabile.
“Scemenze – mi dico – sarà la cena mangiata in fretta”
Passa un altro servizio, un Rosso finto e il mio autista riceve il cambio.
“Ecco Pizzetto, per fortuna gli piace questa postazione. Siamo in una botte di ferro!”
Aspettiamo ancora un po’ perché le 01.00 di venerdì notte non sono un’ora tarda. Mentre Lucarelli parla di Sant’Anna di Stazzema noi soccorritori ciondoliamo sulle sedie col sonno che sale, mentre il Mike dorme come un bambino, perso nei sogni, le mani agitate da scatti. Sgattaioliamo nella nostra stanza e, data la buonanotte spegniamo le luci in un fruscio di federe e lenzuola monouso. Morfeo è pronto a posare la sua mano sulle nostre teste e farci appesantire gli occhi nel torpore, ma la sua opera viene stroncata dallo squillo impertinente del telefono.
Mentre Pizzetto accende la luce io prendo il servizio. È un vago Giallo generico in luogo pubblico, mi dicono di un cinquantenne a terra in agitazione. Tempo di mettere giù il telefono spunta il Mike assonnato sulla porta con l’aria interrogativa che si confà ad un servizio delle 2 di notte. Gli porgo il servizio leggendogli la mia brutta scrittura peggiorata da una penna fallata. “cos’è qua? 500? Ahhh è 50 anni…certo che si vede che vuoi fare il medico, Dottoressa!”. L’unico Mike che mi chiama Dottoressa e si ricorda il mio nome di battesimo nonostante le collaborazioni distanziate nel tempo.
Arrivati sul posto troviamo, con mio sommo orrore, la mia sensazione. È un signore magrolino che si muove con un’agitazione cieca e ha uno sguardo spalancato in un mare di terrore. Le sue urla sono rotte e noi, intrufolandoci in mezzo ad esse lo carichiamo senza tanti complimenti sul telo, sulla barella e poi in ambulanza.
Ci blindiamo nella nostro mezzo e non c’è più Tavor in frigo. L’India gli fa un’iniezione attraverso i jeans. Le braccia però sono ancora agitate e in tre, tra imprecazioni e suppliche riescono ad incannularlo. Intanto l’ossigeno non basta più. Desatura. Il Mike ha già dichiarato “Miosi e poca reattività alla luce”. Mike e India si osservano, lei burbera ma competente, Lui giovane ma operativo. “è brutto” dicono insieme. Decidono per l’intubazione.
Nel marasma di oggetti fuggiti dal borsone nella confusione iniziale recuperano il kit e procedono a infusione di liquidi e farmaci. “Dottoressa, mi dai una mano? Prendi questo, mettilo sul dorso della mano e lubrifica il tubo quando te lo dico,ok?”
Le mani mi tremano e con loro una fialettona di anestetico, una di fisiologica e una siringa per l’intubazione. Riesco anche a passare una benda e il mio cerotto che porto sempre in tasca all’India. Mike riesce ad intubare subito il paziente e può finalmente ventilarlo.
Un momento di assoluto silenzio piomba nell’abitacolo dell’ambulanza. Mike si gira e anche io. Sono agitata perché di tre farmaci che mi hanno chiesto non ce n’era nemmeno uno nello zaino ma solo altri parimenti utilizzabili ma a me sconosciuti. Sono agitata per lo sguardo del nostro paziente, fisso e spaventato. Sono agitata perché non avevo mai assistito ad un’intubazione, né tantomeno partecipato seppur in minima parte. Mike mi fissa con uno sguardo strano fisso nei miei occhi, come solo le persone coraggiose sanno fare. In un sussurro mi dice: “Il signore muore o rischia grosso. Lo sai?”. La mia sensazione si siede dentro di me ed esplode. Eccola confermata.
Annuisco gravemente. Il paziente arriva vivo in ospedale e anche quando torno indietro a riprendere Mike e Telo portaferiti ha un rassicurante bip-bip attorno a sé.
Sono in un bagno di sudore, ho le ginocchia che mi fanno male come tutte le volte in cui sono tesa. Io e Mike entriamo nella benefica arietta fresca.
Mi sento liberata dall’afa, dal caldo, dalla sensazione accovacciata  in me dall’inizio del servizio. Mike si gira verso di me. Ha qualche anno in più di me ed è lo specchio di come vorrei essere io alla fine della Facoltà: operativa, umana, fresca e sorridente.
“Brava Dottoressa” mi dice.

La sensazione scompare in una moltitudine di farfalle. Una per ogni desiderio, una per ogni sogno, una per ogni speranza.
Sono davvero tante.
Sono proprio belle.

Pills

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