edema polmonare

L’ora dell’EPA

Posted by rem on aprile 08, 2016
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Foto di HA

Foto di HA

Le tre è sempre l’ora dell’edema polmonare acuto

Equilibri neuroumorali, convergenze astrali o solo un dispetto per non farmi dormire

Questo EPA è ultranovantenne affetto da una forma di demenza degenerativa, forse a corpi di Lewy, con psicosi allucinatoria. Nessuna pretesa di autosufficienza, nessuna pretesa di consapevolezza. E’ solo respiro affannoso, gorgogliante da diagnosi che fai sulla porta della stanza. E’ solo fibrillazione atriale veloce già nota e senz’altro già in terapia anticoagulante, magari un Noa che è più nuovo e costoso, sia mai che gli venga anche un ictus come a quelli della vecchia generazione

La sua testa finisce presto dietro un scafandro di plastica, gonfio che potrebbe prendere il volo come un pallone aerostatico, il bottiglione ai piedi del letto ‘sbolla’, il catetere vescicale, -vuoi non mettere un catetere ? – sgocciola poche urine chiare in attesa che migliori l’acidosi respiratoria. Quanto interesserà del suo pH a questo ometto che non sa più neanche chi è, chi sono i suoi , chi siamo noi, dove si trova e perché gli abbiamo infilato la testa in un sacchetto ?. Chissà se intuisce che non vogliamo soffocarlo ma farlo respirare meglio, chissà se gliene importa qualche cosa. Se solo ce lo avesse scritto. Se avesse lasciato un biglietto con scritto: “ Lasciatemi andare, è arrivato il momento, non è che ci tenga tanto a stare al mondo in questo stato. Io sono stato ben altro, ero una persona in gamba, ho visto il mondo, ho amato, ho viaggiato, ho letto, ho vissuto per bene; non mi posso lamentare. Quella che vedete è solo la fine della storia e… ragazzi… prima o poi la storia finisce, fatevene una ragione anche voi e lasciatemi andare”

Gli allarmi del monitor si placano, il sacchetto del catetere si dilata gentilmente sotto la spinta dell’urina ora paglierina, quasi gialla, la saturimetria non lampeggia più, è fissa sul 95 che non usciva da tanto. L’ometto ci guarda dallo scafandro sembra appena sbarcato da un pianeta alieno e credo che lo sia. Sono le tre e quarantacinque, a quest’ora le ore si scrivono per esteso perché passano lente sembrano zavorrate alla realtà e non passano mai

Ricovero l’ometto novantenne e non so neanch’io se gli ho fatto un gran favore.

Ma è quello che sappiamo fare e lo abbiamo fatto.

rem

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Geronimo

Posted by Labile on gennaio 30, 2014
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L’uomo anziano che arriva in ospedale, annaspa nella poca aria ingurgitata, con la tipica fame d’aria mescolata ad un palese e incontrollabile stato di agitazione.
Il colore, bianchissimo, della pelle mi sorprende mentre taglio la maglietta. Liberato il torace, cominciamo velocemente le manovre consuete per trattare l’edema polmonare imponente che lo travolge.
Incannulate un paio di vene e somministrati i primi farmaci, velocemente collegato al monitor.
“Si, sembra reagire …” è il pensiero che facciamo tutti guardandoci e cominciando ad allentare la tensione provvediamo velocemente al resto.
Nel tagliare la maglietta emergono segni e linee bluastre che pian piano prendono forma. Un uccellino con una rosa in bocca, una scritta che recita eterno amore, una sirena a seno nudo e due code, un cuore dedicato alla mamma.
Tatuaggi abbozzati chissà quando da una mano incerta e in un segno bluastro malamente tratteggiato. Tipici, vista l’età del possessore, dei carcerati.
Di quegli uomini che hanno passato chissà quanti anni “a bottega” come mi spiegherà in seguito Geronimo che con voce stentata risponderà alla mia curiosità.
Si l’ho battezzato subito Geronimo, come il mitico e bellicoso capo indiano Apache, visto che sul suo petto troneggiava anche una enorme figura di un Indiano con copricapo di piume, fumante una lunga pipa, il calumet della pace. La figura, sicuramente il più importante fra i suoi tatuaggi, occupava l’immenso e bianchissimo torace che per parecchio tempo ci ha impegnati a risolvere il suo edema polmonare.
Geronimo, ultraottantenne, ha scontato per un delitto “d’onore ” parecchi anni in carcere. Uomo d’altri tempi, che capita qui in pronto soccorso, trascinando peccati lavati e raccontabili dalla sua pelle tatuata nelle lunghe giornate carcerate con ago e inchiostro, che a distanza di decine di anni hanno assunto una particolare colorazione bluastra che raccontano la sua personale visione dell’amore provato per la sua donna passato per un onore schizzato di fango.
Uomo d’altra epoca, di quelli che la donna era prima la mamma e poi la moglie, sempre da amare all’infinito e sempre da proteggere magari smacchiando le offese nel sangue, come accadeva nell’Italia dei primi anni ’50.
Geronimo raccontandomi e spiegandomi il significato dei suoi tatuaggi mi fa capire l’infinito amore provato, quello sospeso e sempre sognato nelle giornate carcerate, dell’attesa dentro lui e fuori lei, che aspetta, che lo aspetta fino alla fine. E allora sirene a due code sognate di notte e un uccellino per portare una rosa d’amore all’amata e ricordarsi sempre che l’amore, quello certo, ce lo insegna per prima la mamma.
“E l’indiano , Geronimo?”

“Essi sapevano come stavano le cose e tuttavia dissero che io ero un uomo cattivo: l’uomo peggiore del posto; ma che cosa avevo fatto? lo stavo vivendo pacificamente qui con la mia famiglia sotto l’ombra degli alberi …”

Labile

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