incidente

Sono le 19.00

Posted by the bear on settembre 27, 2015
cronache / Nessun commento
foto di EP

foto di EP

 

Sono le 19,00; ancora un’oretta e vado a casa. Sono in piedi dalle 05:00 e il mio turno è quasi finito. La giornata è filata via liscia senza grossi problemi ma sono ugualmente stanco e non vedo l’ora di andarmene a casa. Non sono di buon umore oggi.

Squilla ancora il telefono. Rispondo… e capisco che non andrò a casa e il mio umore peggiora.

Il 118 di Torino richiede un intervento urgente per un volo sanitario per trasporto organi. Torino – Forlì – Torino. Questa è la rotta. Si va a Torino, si preleva l’equipe espianti e si decolla subito per Forlì. Qui bisognerà attendere che l’espianto abbia termine per poi ritornare alla velocità della luce a Torino dove il cuore prelevato sarà trapiantato a un paziente in attesa da mesi.

Mi metto subito al lavoro. Le attività preparatorie sono tante. Certe volte penso sia più complicato pianificare e preparare un volo piuttosto che pilotare l’aereo.

Faccio tutto velocissimo; invio il piano di volo ai piloti che nel frattempo stanno già rifornendo di carburante, controllo e ricontrollo due volte tutto. Dò il via ai piloti per il decollo. L’equipaggio è composto da due piloti molto esperti ed un infermiere. Sarà i miei occhi a bordo per coordinare l’attività. L’aereo decolla dalla base di Milano Linate per Torino Caselle. 22 minuti tra decollo e atterraggio.

Sono presissimo con tutte le attività (ospedale, sala operatoria, centro coordinamento trapianti, aeroporti, polizia). Con la coda dell’occhio guardo il monitor del meteo che cambia all’improvviso.

Un fronte nevoso sta arrivando dritto proprio su Forlì? Mi preoccupo il giusto perché le informazioni che seguono danno neve debole. Però è meglio controllare e chiamo il previsore meteo dell’aeroporto. Risponde eccitato:”ci aspettiamo un po’ di neve ma nulla di eccezionale. Stimiamo al massimo 5 cm al suolo. Non nevicava da 20 anni qui a Forlì. In aeroporto è comunque già attivo il piano neve. Siamo tutti pronti per ricevere il vostro volo sanitario”.

Penso tra me: “di male in peggio. Sono 20 anni che non nevica in quel cavolo di posto e doveva farlo proprio stasera”? Il mio umore è decisamente peggiorato. Rimugino un po’ su queste informazioni e dico che ci risentiamo più tardi per un aggiornamento. Intanto l’aereo ha già imbarcato l’equipe espianti. Due cardiochirurghi ed un infermiere.

È la prima volta che volano con noi. Andiamo sempre meglio…

Il mio infermiere di bordo li fa accomodare e sistema le borse con lo strumentario chirurgico e il box termico che poi dovrà contenere il cuore. Gli allaccia le cinture e gli dice di non muoversi dai sedili perché ci sarà unpo’ di turbolenza. Decollano subito direzione Forlì. La turbolenza da poca è diventata molta e l’aereo balla come un otto volante.

In attesa a Forlì c’è già un’auto medica del 118. Fanno salire a bordo l’equipe e partono veloci verso l’ospedale. Lì c’è una donna che ha avuto un incidente stradale. Il suo encefalogramma è ormai piatto. Il suo cervello ha smesso di funzionare. Donerà i suoi organi.

Squilla ancora il telefono; è il mio infermiere: ”capo, siamo in auto verso l’ospedale ma qui ha iniziato a nevicare alla grande..”

Squilla anche l’altra linea; è il comandante dell’aereo: “capo qui ha iniziato a nevicare alla grande e questi dell’aeroporto non mi sembrano molto reattivi”. Metto in comunicazione le due telefonate e rispondo ad entrambi: “ok ricevuto, ora ci inventiamo qualcosa. Nel frattempo procedete con il programma stabilito e attendete nuove istruzioni”. Il mio compito è sempre stato quello di rassicurare tutti. In questo sono piuttosto bravo. Trovare una soluzione a qualsiasi problema presuppone estro e fantasia, oppure mantenere la mente aperta a spaziare tra i confini di protocolli rigidi.

Faccio due conti. Tra l’arrivo in ospedale, lavaggio chirurgico, espianto del cuore e rientro in aeroporto ci vogliono almeno 3-4 ore e mezzo. Per pulire la pista di decollo e fare il de-icing all’aereo ne occorrono almeno tre. Si può fare e speriamo smetta di nevicare.

Chiamo il duty manager dell’aeroporto. Mi assicura che il piano neve è già attivo e ci sono già i spazzaneve operativi sulla pista. “Contiamo di farvi ripartire senza problemi state tranquilli”. Ringrazio ma quel “state tranquilli” mi ronza nella testa. Non so perché ma ogni volta che mi dicono di stare tranquillo mi preoccupo. Boh… sarà l’età che avanza o il mio pessimo carattere.

Intanto è passata un’ora. Risento il pilota. La situazione peggiora, hanno pulito la pista ma la nevicata è aumentata di intensità e vengono giù dei fiocchi che sembra di stare al polo nord. L’aereo è completamente ricoperto di neve. Naturalmente non esiste un hangar disponibile dove ricoverarlo.

Nel frattempo l’equipe chirurgica è in ospedale e ha iniziato l’espianto. Pochi gesti rapidi e precisi ed il cuore è in mano al cardio chirurgo. Lo preparano per la conservazione e lo ripongono nel contenitore termico. E’ scattato il countdown. Ora in massimo 4 ore il cuore deve ribattere nel petto del paziente di Torino che si trova già pronto in sala operatoria. Bisogna fare tutto molto in fretta ma con grande precisione. Avviso i piloti: “tra 25 minuti l’equipe sarà in aeroporto. Inizia i preparativi”. La risposta non è entusiasmante: “capo la neve continua a scendere sempre più forte. Hanno pulito la pista ma si è riempita di nuovo. Ci saranno almeno 25 cm di neve”. Ok attendi.

Richiamo il duty manager di Forlì che mi risponde trafelato: “stiamo facendo passare gli spazzaneve in continuo sulla pista perché la nevicata è aumentata di intensità. Cerchiamo di tenere la pista il più pulita possibile per permettervi il decollo. State tranquilli”.

Noo… ancora state tranquilli; non dovevi dirlo. Un pensiero mi si accende in mente. Sono sicuro che qualcosa andrà storto. Di solito non sbaglio e in particolare quando mi dicono stai tranquillo. Inizio a pensare ad un piano alternativo. Avviso l’ospedale di Torino delle difficoltà e li prego di attendere con la preparazione del malato. Mi rispondono che si sta scompensando e stanno valutando di metterlo in circolazione extracorporea perché non c’è più tempo.

Squilla ancora il telefono. E’ il mio infermiere: ”Stiamo procedendo a 30 km/h, l’auto ha montato le catene ma le strade sono impraticabili. Non so darti uno stimato di arrivo perché stiamo andando a passo d’uomo”.

Guardo il timer, sono già passati 45 minuti dall’espianto. Siamo in ritardo e rimangono 3 ore e 15 minuti.

L’auto con il cuore è arrivata in aeroporto. La procedura standard prevede l’aereo in attesa con il motore destro acceso. L’equipe sale a bordo e si decolla all’istante. Questa volta no. Il comandante è giù dall’aereo con gli addetti dell’aeroporto e stanno ancora valutando la situazione. Il contenitore del cuore intanto viene posizionato a bordo. Facciamo telefonicamente il punto. Chiedo al comandante: “Secondo te ci sono le condizioni per decollare in sicurezza?”. “Posso provarci ma la situazione è veramente al limite. Continua a nevicare fortissimo e non ho avuto modo di vedere personalmente le condizioni della pista. Mi devo fidare di quello che mi hanno detto gli addetti dell’aeroporto. Vedo che gli spazzaneve stanno facendo l’ultimo passaggio ma la pista è buia e non so dirti con precisione”. Mi fido della valutazione del comandante. E’ un uomo di 54 anni con oltre 16.000 ore di volo e conosce molto bene il suo lavoro. Suggerisce: “Provo a decollare ma vorrei essere più leggero possibile”. Ok allora, lascia a terra l’equipe di Torino, prendi solo il cuore e l’infermiere. “Ok procedo”.

I cardio chirurghi sembrano sollevati del fatto di restare a terra. La loro parte l’hanno fatta e anche bene.

Accendono i motori e rullato dietro uno spazzaneve che funge da followme. Sono in contatto con l’infermiere che mi dice: ”Stiamo rullando dietro uno spazzaneve. Aggiunge, io sono montanaro ma tanta neve così l’ho vista poche volte. Siamo in testata pista pronti al decollo, motori al massimo ci muoviamo. Sembra di stare su una pista da cross, balla tutto mentre prende velocità. Ci siamo quasi manca poco al decollo…. Ohh caz…” si interrompe la comunicazione.. Chiamo via radio nessuna risposta. Richiamo ancora con il telefono ma per un lungo minuto solo silenzio. E’ strano come la mente umana in una frazione di secondo pensa ad una miriade di cose. Immagino già cosa è successo ma, semplicemente rifuto di accettarlo. Cerco di mettermi in contatto con la torre di controllo di Forlì ma non risponde nessuno. Poi squilla il telefono. E’ l’infermiere e dal suo tono di voce capisco tutto: “Capo, capo, siamo andati fuori pista, ma stiamo tutti bene. Il carrello in fase di stacco da terra ha urtato un cumulo enorme di neve, l’aereo si è imbardato sulla destra ed ha toccato con l’ala la pista. Non so poi cosa è successo ma ci siamo schiantati fuori pista e fortunatamente la neve ha attutito tutto. Mi sono cagato sotto ma stiamo tutti bene”.

Rispondo asciutto: “Ok ricevuto, recupera subito il contenitore del cuore e consegnalo ai cardio chirurghi per riportarlo in ospedale. Ormai il cuore è perso ma si possono recuperare almeno le valvole per qualche altro paziente”.

L’infermiere risponde: “Spero che arrivi qualcuno alla svelta. Vedo in lontananza i lampeggianti dei Vigili del Fuoco ma praticamente siamo in mezzo al prato con 40 cm di neve. Sto facendo delle segnalazioni con la torcia per farci individuare”.

“Ok sbrigati a farti individuare e consegna subito il cuore. Non perdere altro tempo a parlare per telefono”.

Forse ci resta un po’ male della mia risposta. Non ci posso fare niente. Mi sono arruolato a 17 anni e mi hanno sempre insegnato che nelle situazioni di emergenza si deve restare concentrati, parlare poco e dare disposizioni chiare e precise. Più si parla e più è probabile creare casino.

Avviso l’ospedale. I medici di Torino sono furiosi. Il malato è già in circolazione extra corporea. Se non si trova un altro cuore potrà resistere ben poco.

Non so neanche chi sia, come si chiama, quanti anni ha o cosa abbia fatto nella sua vita per meritarsi un cuore nuovo. Forse è una persona normale con una famiglia perbene che è in attesa fuori dalla sala operatoria. Tutto questo non mi interessa. Devo trovare solo il modo di fargli avere un cavolo di cuore nuovo e il più velocemente possibile. Ogni tanto la fortuna aiuta. Si è reso disponibile un altro cuore compatibile da un donatore di Lecco. Bene, coordiniamo con un elicottero il prelievo e la consegna a Torino. Poi mi metto in auto, premo play sul lettore cd, alzo il volume a manetta, partono le note dell’unico cd che ho – Pink Floyd – , punto il cruiser control sui 180 km/h e vado a Forlì a recuperare quello che rimane del mio equipaggio.

L’aereo è completamente distrutto. Il fuori pista ha lasciato il segno. Il piantone del carrello ha bucato addirittura l’ala. Il carrello è distrutto ed il muso conficcato in un cumulo di neve. Trovo l’infermiere che dorme nell’infermeria dell’aeroporto. Ha ancora i piedi bagnati dalla neve. Puzzano in maniera incredibile. Gli allungo un paio di calzini puliti e degli scarponcini asciutti. (sono molto previdente e le avevo portate dietro). Gli dico di alzarsi che ha già dormito abbastanza e di scrivere subito una relazione sull’accaduto. Mi risponde: “Capo, sono quasi morto nello schianto e non mi offri neanche un caffè?” Gli sorrido e gli rispondo: lavati i piedi e ti aspetto al bar.

Incontro il comandante. Ha appena terminato di scrivere la deposizione per Enac e Polizia. Mi chiede: “il paziente che aspettava il cuore?” Rispondo che lo stanno trapiantando perché si è reso disponibile un altro cuore. Bene, allora missione compiuta.

Certo, c’è solo un piccolo particolare: un milione di euro di danni, un aereo fuori uso, una serie incredibili di deposizioni, inchieste ed una infinita serie di burocrazia che già ammorba la mia testa.

Sono passati due mesi. Squilla il telefono. “Buongiorno è l’ospedale di Torino, volevamo invitarvi ad una premiazione per l’episodio di Forlì”. Mi comunica la data e il giorno dell’incontro.

All’ora stabilita io sono a Milano e sto passeggiando per i fatti miei. Tutti i miei colleghi sono a Torino a stringere mani, darsi pacche sulle spalle e farsi complimenti reciproci e scattare foto.

Io non cambierò mai..

the bear

Tags: , , ,

surreale

Posted by Magamagò on agosto 10, 2010
cronache / Nessun commento

“Dottora, scendi, c’è un codice rosso, un trauma toracico”. Già lo so: chi mi chiama così può essere solo Alfonso, l’infermiere di Pronto Soccorso e anche se è l’una di notte e ho appena finito coi miei pazienti in Rianimazione, l’appellativo mi mette come sempre di buonumore. In fondo è più corto di Dottoressa, e punta sulla professionalità mettendo da parte il sesso di appartenenza, è più semplice, più cameratesco, specie per noi che ci incontriamo anche sott’acqua, durante le immersioni, laddove le parole sono inutili e contano solo le cose essenziali…
Intanto che penso sono arrivata alla porta del Pronto Soccorso immaginando mille film diversi, come si usa dire adesso, e sperando di trovarmi di fronte a quello a lieto fine tra i tanti possibili! “Allora,ditemi tutto”. “Maschio, cosciente, politrauma da incidente stradale, in respiro spontaneo, stabile, ma è un po’ confuso, respira affannosamente e potrebbe precipitare da un momento all’altro”, dice il collega giovane (io non più) del 118 che lo ha raccolto sulla strada ed accompagnato in ospedale.
OK, vediamo dico a me stessa: esagera? Ha manie interventistiche? Deve ripassare il capitolo sull’intubazione, o che? In fondo l’uomo è lì nella barella, monitorizzato, parametri vitali apparentemente nella norma, neanche troppo tachipnoico, sanguina solo da una ferita lacerocontusa della fronte, parla, parla, parla. Occhio, non fidarti, non abbassare la guardia, mi dico! Intanto che raccolgo dati, faccio l’esame obiettivo ed eseguo un prelievo per Emogasanalisi faccio caso alle sue parole e mi rendo conto che ha lo sguardo un po’ allucinato e sembra ansioso più che confuso. “Stavo guidando tranquillamente vi dico, io viaggio sempre di notte, sono rappresentante di commercio, mi è più comodo arrivare dai clienti al mattino presto, ma andavo piano lì per la 74 (Strada Statale 74 in Maremma per la precisione); sapete dove stanno facendo i lavori per raddrizzare le curve…” “Mi sa che ne ha raddrizzata una di troppo lui!” Sento alle mie spalle questo commento sussurrato ed io, senza voltarmi, faccio gli occhiacci agli infermieri: e state tranquilli che se mi imbestialisco gli occhiacci si vedono anche attraverso la nuca! Odio i commenti gratuiti, inutili e cattivi che non servono a nulla.
“Dicevo Dottoressa andavo tranquillo e poi, ad un certo punto, arrivo dove c’è un tratto di strada dismesso allato del tracciato nuovo e improvvisamente la macchina ha preso via per conto suo, seguivo con le ruote la vecchia linea bianca di mezzeria, mi allontanavo sempre più e non riuscivo a sterzare per tornare sulla strada, non riuscivo, vi dico, e non è che lo sterzo si fosse bloccato, l’avrei capito. No, semplicemente puntava su quella linea bianca dipinta per terra e la seguiva mantenendo la macchina perfettamente a cavallo di essa…”
Sì, decisamente è confuso: controllo di nuovo i parametri respiratori, la PaCO2 temendo una carbonarcosi, controllo che nella lista degli esami ematici effettuati all’arrivo siano stati inclusi i test tossicologici, annuso discretamente il suo alito, penso ad una TC del cranio e fulmino con lo sguardo il tecnico di Radiologia dietro di lui che fa quel classico gesto col dito indice sulla tempia: pazzo, matto, svitato, sbroccato… Ancora sciocchezze!
Allora stringo le mani di quel giovane, anzi i polsi, perchè è un gesto più rassicurante e gli sorrido, anche se sono un po’ stanca e avrei preferito una patologia semplice, chiara, da manuale con cui interagire in modo quasi automatico. E invece la psiche umana sta dando il meglio di sé, e allora mi siedo vicino a lui e lo invito a continuare a raccontare, perchè sembra la cosa di cui abbia più bisogno. “Io volevo fermarmi, tornare indietro sulla strada di prima quella nuova insomma, anche se questa vecchia tutto sommato non era brutta, un po’ stretta magari ma con tanti alberi fioriti ai bordi, peschi e ciliegi mi sembra, con tanto verde; pensi, ho pure visto una volpe che occhieggiava dalla formetta, è stato un attimo ma gli occhi scintillavano alla luce dei fari, e l’ho riconosciuta perchè da piccolo abitavo in campagna, in un’altra regione magari, ma la Natura è uguale dappertutto. Da una parte ero sereno, rilassato, dall’altra avevo paura di questo tuffo nel passato, di non poter più decidere della mia vita, imprigionato su quella strada, legato ad una striscia bianca dipinta anni e anni fa. Volevo scappare, sapevo di dover scappare, e ho premuto l’acceleratore, ho sterzato di botto, ma non succedeva niente, e poi la riga bianca a cominciato a curvarsi e sembrava scrivere sull’asfalto grigio, scolorito dal tempo …” Intanto però la sua pressione arteriosa crollava, la saturazione era in calo, tachicardia e tachipnea segnalavano una instabilità emodinamica che stavamo tutto sommato aspettando, ed intanto che interveniamo lo sento ancora farfugliare: “la riga scriveva sull’asfalto: ah sì,sono una strada dismessa, una strada vecchia, non servo più? Mi avete soppiantato. E io mi vendico! E mi vendicherò ancora!”
Dopo un po’ torna la calma, e a paziente intubato, ben ossigenato, stabile, pronto per la TC cranio-torace, ripenso alle sue parole deliranti e mi volto verso il collega del 118 tentando un commento ironico per allentare la tensione, ma lui mi guarda più stralunato di quell’uomo e con un filo di voce dice: “Sai una cosa buffa? L’automobile era accartocciata contro il tronco di un albero sul ciglio della strada, e la riga bianca era contorta, strana, sembrava quasi…(esita a dirlo) sembrava quasi un ghigno diabolico!” Il silenzio nella sala si fece palpabile.
Sì, è stata una nottata lunga e si preannuncia un’alba inquietante, ma per fortuna il mio turno è quasi finito. Prima di andare via però mi volto e con nonchalance, almeno spero, chiedo ad Alfonso: “Ma di preciso poi, dov’è che è avvenuto l’incidente?” “Dottora, sa dove c’è quel casale rosso coi platani, in cima al poggio? Ma sì, dove passa sempre lei per tornare a casa? Proprio lì”.
“Ah,grazie. Mi sa che mi fermo ancora un po’ in ospedale stamattina…” NON SI SA MAI!

Magamagò

Tags:

Marco C.

Posted by il Jolly on novembre 27, 2009
racconti / 2 Commenti

Era stata una splendida giornata estiva. Lo ricordo con esattezza, anche se sono passati alcuni anni. Dopo un pomeriggio passato al mare, avevo percorso il breve tratto di autostrada da Senigallia a Fano per prendere servizio alle 20.00 nel turno di guardia notturna di anestesia all’Ospedale Santa Croce. Anestesista – Rianimatore… in quel momento avevo 36 anni. Neanche il tempo di ricevere le consegne che dal cercapersone arriva una chiamata dal PS: un politrauma, codice rosso! Scendo velocemente le scale e attraverso il corridoio di ingresso al Pronto Soccorso. Mi sento carico, pronto, efficiente. Già in specialità avevo preso parte alla gestione di gravi traumi, così pure a Fano, città di mare, con un estate sempre critica per le urgenze. L’impatto visivo dell’ingresso di un traumatizzato al PS è sempre drammatico, concitato, di forte impatto emotivo, soprattutto se è giovane, soprattutto se ha la tua età, soprattutto se è terrorizzato, immobilizzato su una tavola spinale con uno stiff-neck ben posizionato. E’ vigile e ben orientato, prima di essere impacchettato è riuscito a telefonare alla moglie per avvisarla di quello stupido incidente in scooter, dopo un bagno al mare di ritorno dal lavoro, inconsueto per lui prima di cena, ma il mare era talmente invitante! Lamenta dolore all’addome, mi sembra tranquillo. Monitoraggio pressione arteriosa e saturazione O2 nei limiti, leggermente tachicardico all’ECG. Mentre l’infermiera fa un prelievo di sangue per emocromo, chiedo un Eco-addome urgente. In effetti l’addome è teso e dolente, mentre per altri distretti l’esame clinico sembra negativo. Arriva anche un Chirurgo. Marco ha un buon 16 Ga in un avambraccio, ma ne posiziono un secondo nell’altro, sto piu’ tranquillo. ECO-FAST, così si chiama l’esame che il Radiologo conduce. C’è del versamento libero in addome, più abbondante a livello dell’ipocondrio destro. Chiedo al Chirurgo di allertare l’equipe di sala. Telefona al suo Primario per avvisarlo. Ok andiamo in sala, ma prima ci vuole una TAC addome per valutare meglio l’entità delle lesioni. La pressione tiene bene, saturazione ok, sempre tachicardico. Il dolore è intenso. Gli somministro 5 mg di morfina ev. Andiamo alla TC, veloci però… cazzo!! TC addome con mezzo di contrasto: rottura del fegato, emoperitoneo massivo. Marco è sempre più agitato, la pressione è in picchiata. Mi portano l’emocromo fatto all’ingresso: Hb 12. Gli faccio un EGA: Hb 8… dopo neanche tre quarti d’ora! Marco mi chiama, è terrorizzato, non respira, non riesce a respirare. Mi guarda e mi dice: aiutami! Mi guarda fisso negli occhi: aiutami! Gli rispondo di sì… sì!. Sta desaturando… l’addome è tesissimo, respira veramente male. Ho con me lo zaino d’emergenza ed è arrivato anche l’infermiere di anestesia. Lo intubo, lo ventilo, la saturazione risale. Guardo il collega chirurgo, non dico nulla, poi chiamo l’ascensore e vado in SO, ci vado e basta. Chiamo Davide, il collega di turno in Terapia Intensiva. E’ un amico, e gli chiedo aiuto. Chiedo aiuto a tutti. Posiziono sul letto operatorio Marco, lo connetto al ventilatore di anestesia in O2 e protossido d’azoto. Niente altro. La pressione non è più rilevabile. Inizio ad infondere sangue zero negativo: due sacche, mentre Davide mi porta dal PS altre quattro unità crociate di emazie concentrate. Infondiamo come disperati ognuno su di un lato tutto quello che abbiamo. Ci portano una pompa di Noradrenalina, non serve, ma va bene! L’intervento inizia e la situazione appare subito disperata. Il fegato è una poltiglia in mezzo ad un mare di sangue, la vena porta, la cava inferiore lacerate. Ci vorrebbe il padreterno della chirurgia vascolare. Ci vorrebbe il Padreterno. Dopo circa quarantacinque minuti di inutili tentativi di emostasi chirurgica, parecchie sacche di sangue, parecchi liquidi, parecchie imprecazioni, Marco inizia a bradicardizzare. Avviso il Primario di chirurgia della imminenza dell’arresto cardiaco. C’è anche un tentativo di massaggio dal sacco pericardico… poi nulla. Letizia, graziosa infermiera della terapia intensiva, capelli rossi, simpatica, si affaccia e mi guarda. Ha gli occhi lucidi. Esco per ultimo dalla sala. Devo parlare con la moglie, mi dicono che hanno due bambine. E’ nello studio del mio primario, distesa in poltrona, in lacrime. Gli dico che ho cercato… ho tentato tutto, ma mi esce una voce ridicola che non sento mia, vorrei stendermi ai suoi piedi e chiedere perdono, ma rimango in piedi inebetito, non riesco neanche a piangere. Le stringo le mani, le mie sono fredde, poi esco. Quel giorno la Morte mi ha preso a schiaffi, ne sono seguiti altri, ma quello è stato il giorno di Marco C. e della mia inutilità. Me lo tengo stretto.

il Jolly

Tags: ,