Di nuovo in pronto soccorso, ma stanotte non ho voglia. Capita sempre più spesso. Succede quando la vita non ti regala più soddisfazioni, nessuna novità e pochi barlumi di felicità ingannevoli. Con i pensieri immobili, ti chiedi se il tempo stia andando avanti o stia finendo. Guardo il telefono del 118, annunciatore di fatica, sperando che non squilli perché stanotte non sono in grado di essere un professionista, non sono e basta. Ho solo desiderio di tornare a casa e addormentarmi per avere l’illusione di non esserci. Tutta la città sembra volermi accontentare, addirittura capirmi; ormai sono le 4 di un giovedì qualsiasi, poche ore e potrò prendere congedo dal mondo esterno.
Non squillare, non squillare, e se squillerai risponderò, ma non perché credo in quello che faccio, non perché c’è bisogno di salvare un’altra inutile vita. Ma perché devo.
Il mutismo, fortuna mia, continua implacabile. Gli occhi cedono, la testa pesa. Un ultimo sguardo al box d’accettazione però tradisce la mai quasi assenza. Un cono di luce proveniente dalla scialitica illumina tanto il box quanto i miei ricordi. Sangue, guanti, drenaggi, cateteri, siringhe, camici, tutto nel silenzio più assordante. Sento il cuore accelerare, lo sento nel collo, sudo, ho freddo. Voglio sparire.
Mi alzo ed esco di corsa, prendo una sigaretta e la guardo arrossire mentre l’aspiro, apprezzando come un regalo di Natale il crepitio che emette consumandosi. Ho avuto paura, ma è passata, mi ha solamente voluto accarezzare per non farsi dimenticare.
E’ ora di andare a casa; la notte, beata lei, è già andata a riposare. Passo attraverso i colleghi come un fantasma, con qualcuno parlo, forse rido e scherzo, ma non me lo ricordo. La porta del pronto delinea a meraviglia i miei due mondi, troppo simili tra loro. Esco, sono distrutto come quando sono entrato.
Ora puoi squillare.
Rantolo
Bella.
Intenso.
la prima notte che ho fatto da solo, di guardia, ho lasciato la luce della stanzetta accesa (anzi era una specie di magazzino), e ogni cinque minuti controllavo il telefono per essere sicuri che ci fosse la linea. Adesso spengo la luce, e cerco di dormire, ma quel maledetto telefono continua ad essere un nemico, e quando il suo squillo spacca il silenzio tutta l’ansia, e la paura e la sensazione di non essere in grado emergono dal buio, insieme a te, e senti che la lotta è già cominciata prima ancora di essere in piedi.
Ciao Rantolo,non sei solo. Dietro la maschera siamo in tanti. Ci sono momenti in cui vado in ospedale per scappare da casa per poi riscappare a casa perchè è l’unico posto dove posso andare. In quei momenti non mi sento neanche un vuoto a rendere ma un articolo da raccolta indifferenziata. Poi succede sempre qualcosa o arriva qualcuno che riaccende in me la forza di vivere un altro giorno schizofrenico…Tieni duro.Se ti può consolare, è proprio quando ci sentiamo su di giri che facciamo le peggiori cazzate professionali!
Condivido. Sante parole.
Ha ragione Jumba.Dietro la maschera siamo in tanti.Ciao Rantolo