Archive for dicembre, 2012

Un giovedì di qualche settimana fa

Posted by slowlyslowly on dicembre 29, 2012
poesie / Nessun commento

foto di MV

foto di MV

Spesso si fanno belle chiaccchiere all’Hospice –
non sempre capita
ci dev’essere un pò di gioia in noi perché capiti –
qualche settimana fa si è parlato di giovinezza e vecchiaia –
e A. che ha 50 anni si è meravigliata
che abbiano cominciato a darle del lei
e una signora le ha detto: alla sua età mettevo la minigonna
e io ho detto: che bella la minigonna
e poi ho detto che sono entrata nell’età anziana
e una ragazzina davanti a me
rideva di tutto quello che dicevamo
e poi ho scoperto che ha tre figli –
eravamo in quel momento tutte donne –
a parte me e A. erano madri, figlie di persone
che nelle stanze erano a letto e stavano male –
ma lì nella nostra sala del thé c’era questa atmosfera
che mi faceva bene al cuore –
e prima ero andata a trovare A. nella sua stanza
ed ero contenta di vederlo parlare con un suo amico in visita –
mi ha guardato e chiesto: quali novità?
abbiamo accennato alla lotta dei minatori sardi –
poi lui mi ha detto: stai proprio bene oggi –
sì, gli ho risposto, hai visto mi sono messa anche la collana –
ho visto, ho visto, mi ha detto lui

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Trovarsi al posto giusto al momento giusto

Posted by Icy24 on dicembre 17, 2012
cronache / 6 Commenti
foto di DB

foto di DB

Ieri sera mentre giravo per un noto e GRANDE centro commerciale di Roma mi sono ritrovato a passare dal ridere e scherzare con la mia ragazza e gli amici, a sudare freddo e ad assaggiare la paura vera… e dire che a questo giro ho avuto paura, ad esser sinceri, è dire poco…

Sono alcuni anni – anni che non conto più – che la sera, dopo il lavoro, spesso indosso una divisa blu con una grande croce sulle spalle e salgo su un furgoncino con tante luci e sirena. Sono sono un soccorritore volontario… che a guardarsi dentro, tra incidenti e calamità naturali, qualcosina ha visto e vissuto… ma per quanta esperienza tu possa avere c’è sempre una tipologia di soccorso che TERRORIZZA qualsiasi soccorritore: i bambini…

Ieri sera è stata una cosa istantanea.. istintiva… improvvisa. Guardavo le vetrine scherzando con la mia compagna ed amici, in mezzo a tantissima gente, quando ho sentito una donna, una mamma, urlare.

Mi son voltato e ho visto la madre inginocchiata a terra per terra con le mani tra i capelli e il padre, completamente bloccato dal panico, con un frugoletto di forse un paio d’anni se non meno in braccio svenuto o quasi con le labbra blu e in completa assenza di un respiro efficace…

…C… !

Mi è sembrato che il tempo rallentasse fino quasi a fermarsi… ho vissuto tutto come se visto da fuori… lo staccarmi dall’abbraccio della mia ragazza, il correre più forte che potessi dal padre, chiedergli di darmi il bambino e poi, vedendo che non era in sè, toglierglielo delicatamente dalle braccia dalle braccia per praticargli la manovra di disostruzione pediatrica Heimlich una, due volte, forse tre e prepararsi mentalmente a cominciare il PBLS… e poi, in un meraviglioso istante, sentiro tossire e poi piangere e strillare come un aquila… vedere quel visetto e quelle labbra tornare rosa… restituire il bimbo al padre che era fermo nella stessa posizione di pochi attimi prima… completamente in trance… e poi, finalmente, dopo lunghi, lunghissimi, minuti, rendermi conto anche io di quello ch’era appena successo…

Non ero io… non ero l’io cosciente… e quando i monitori e colleghi anziani di croce rossa mi ripetevano sempre (e come io spesso ripeto alle matricole a cui sto insegnando) “continua ad addestrarti… quando sarà il momento agirai quasi inconsapevolmente… il panico ti blocca quando l’istinto non sa che fare…”… ecco… ora so a cosa si riferivano…

È da ieri sera che ci penso e ripenso… come penso al fatto che sia assurdo e inacettabile che una struttura del genere non ci sia un medico o una squadra di soccorritori pronta a intervenire… l’ambulanza è arrivata in trenta minuti e solo perchè doveva intervenire su un’altro caso, qui nessuno aveva fatto in tempo, tutti bloccati in stato di shock… quel bimbo, il piccolo Simone (nome di fantasia), stamattina, poteva non esserci più… o riportare danni cerebrali permanenti per ipossia…

Ringrazio i miei istruttori di croce rossa per avermi dato gli strumenti per intervenire, ringrazio la costanza e il tempo “sacrificato”, anzi, investito per tenermi aggiornato e allenato e il fato che ha fatto sì che succedesse a pochi passi da un soccorritore che si trovava lì per caso…

Oggi più di ieri vorrei tanto che ogni mamma o neomamma frequentasse uno “stupido” corso di disostruzione pediatrica delle vie aeree di appena tre ore per SAPERE cosa fare in questi casi… ma no… si pensa che tanto succederà sempre a qualcun’altro…

Si, ho avuto paura… e tanta… ma ero lì con la possibilità di fare qualcosa, di fare la differenza… e questo ripaga ogni singolo istante speso e sudato con quella divisa blu e la grande croce rossa addosso…

Icy24

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Visione verde

Posted by slowlyslowly on dicembre 14, 2012
poesie / 2 Commenti
foto di MV

foto di MV

C’è musica
e cibo
un vero buffet,
c’è una festa oggi
qui all’Hospice –
nella sua stanza l’uomo la ignora,
è tutto preso dalla sua visione verde –
” ci provo”, dice –
c’è il verde nella tela
e penso sia il verde
di questa primavera
piena di pioggia a sole –
non vuole i pasticcini
non vuole il thè
vuole la sua visione verde,
così la fa

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Centodue o centoquattro

Posted by Labile on dicembre 08, 2012
cronache / 2 Commenti
foto di SC

foto di SC

centodue o centoquattro…” mi dice, così di colpo, appena mi avvicino per sistemare le barelle  dell’attesa.

centodue o centoquattro …” mi ripete indicandomi con un dito puntato.

Non capisco e li per li penso “ Ecco, la solita …”. Invece afferro il suo sguardo interessato, guarda proprio  alla mia persona, a qualcosa di fisico che l’ha colpita da quando lei è qui e  si può dire ormai già da qualche ora, mentre se ne sta sdraiata su una delle barelle dell’attesa.

All’improvviso capisco e rispondo “centonove, sono centonove grani”.

Per lei il rosario tibetano che porto al collo, più per vezzo che per altro, la deve aver colpita fin da subito e questo le ha dato modo di rivolgermi la parola e di catturare, lei,  la mia attenzione.

Ora che la guardo meglio mi accorgo di non averla nemmeno notata nel trambusto generale che regna sempre in questo pronto soccorso e stranamente non ha colpito neanche l’altro collega che ha lavorato con lei.

Se ne sta sdraiata su una barella come una paolina borghese di periferia,  in jeans e maglietta ordinari,  una bella faccia in decadimento, resto di una bellezza giovanile nemmeno poi tanto lontana.

Da subito mi dice che la sua crisi d’ansia ormai sta scemando e che qui in pronto soccorso trova sempre un posto dove venire. Ci vuole solo restare qualche ora e passarci un po’ più di tempo anche se dimessa , la fa rimanere calma e così affrontare meglio le prossime giornate.

Intanto ha riconosciuto il rosario e mi dice che anche lei è molto interessata alla religione buddista perché le sembra l’unica che la lascia respirare.

Si dice proprio così “respirare quello che ad oggi le manca di più: il respiro”.

Mi racconta con parole precise di essere da un decennio fuggita da una brutta periferia romana e di essersi innamorata di una casetta con un pezzetto di terra qui in campagna.

Le è sembrato immediatamente il suo piccolo e grande paradiso e solo l’idea di essere tornata alla terra l’ha fatta   prestissimo sentire di star bene.

Mi racconta che era da tempo che non riusciva a prendere una decisione, andar via dalla città, dalla vita convulsa e disordinata,dagli orari stretti, ma più di ogni altra cosa dal senso di solitudine che nonostante l’affollamento di persone non riusciva adattraversare.

Invece la “campagna”, così come lei da definisce, la ha restituita in qualche modo a se stessa e ha di nuovo poggiato i piedi per terra.

Così con entusiasmo si è caricata del solito mutuo e della fatica di lavorare duro per poterlo pagare e così starci  dentro fino alla fine del mese, magari con difficoltà ma felice del suo piccolo e grande paradiso.

Tutto è filato liscio per più di dieci anni sentendosi quasi a metà del guado, finalmente felice della propria vita e della sua casetta finché,  mi racconta, la perdita del lavoro.

A raffica mi dice di aver perso il lavoro e di non riuscire più a pagare il mutuo, si la cassa integrazione, si il blocco annuale del pagamento, si la ricontrattazione del debito, una infinità di problemi che la hanno condotta qui su questa scomoda ma rassicurante barella, dove qualche goccia e le nostre chiacchiere la svuotano di quel senso di perdita infinita che non riesce più a contenere.

Allora smette di respirare, magari così la invade completamente la vertigine che la divora ogni giorno, quella che la conduce a vestirsi di abiti comprati  sui banchi dell’usato o a mangiare i cibi scadenti del discount.

Tutto così, tanto per stare ancora dentro la propria persona e non perdersi, mi dice,  in un orizzonte che non ha più luce.

È per questo che è qui, col suo senso di panico che anche in questo tardo pomeriggio trova apertura e voglia di parole, un po’ di più dei miei centonove grani di rosario.

Labile

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Ieri all’Hospice

Posted by slowlyslowly on dicembre 06, 2012
poesie / 2 Commenti

foto di MV

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Solo all’Hospice

appena esco dall’ascensore

e vedo la nostra stanza

la tisaneria – salotto

entro senza neanche saperlo

nel Qui e Ora –

i tavoli da sistemare

sono solo tavoli da sistemare –

e la bella tovaglia fiorita

è solo la bella tovaglia fiorita –

e i bicchieri e i piatti

sono solo bicchieri e piatti –

e salutare infermieri e dottori

viene spontaneo

e senza altri pensieri –

qui il cielo fuori dalla finestra

è solo cielo

cose e persone

sono solo cose e persone

senza aggettivi – giudizi -opinioni

senza fretta, ansia –

porte chiuse ce n’è anche qui

ma gli occhi di ieri

erano finalmente uguali ai miei

forse perché erano

chiari come i miei

e fissavano come i miei

mentre ironizzavano sulla morte

i nostri occhi si sono fissati –

quei secondi in più

che di uno sguardo fanno un discorso –

è lo stupore che dobbiamo morire

e non c’è scampo.

slowlyslowly

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Solo di notte

Posted by massimolegnani on dicembre 01, 2012
emozioni / 8 Commenti

foto di DB

Di giorno si balbetta, ma le parole nella notte si fanno tonde e calde, piccole pagnotte dal buon odore alle narici, pietre di fiume smussate all’acqua e tiepide di sole da tenere in mano e da sgranare come grani di rosario, bocce di ferro che rotolano precise sul liscio della terra dietro l’osteria fino a raggiungere il pallino.

Di notte le parole ci fanno tutti complici, amici solidali, quasi amanti per quanto sconosciuti. Siamo le talpe semicieche che trovano nel buio sorrisi e gesti dove non potevano sapere finchè c’era la luce a nascondere emozione.

Forse solo questo ho imparato in tanti anni di lavoro. Che la notte aiuta.

Nella penombra delle stanze ti è più facile essere sereno sedendoti sul bordo di un letto sfatto di paura. Guardi negli occhi gonfi che non vedi questa mamma che boccheggia sotto il macigno di una diagnosi. Lei tace accarezzando lenta il suo bambino che finalmente dorme, miniera inesaurita di dolore, tu usi silenzio e vicinanza, parli, poco, stai in ascolto anche se tutto apparentemente tace. E con questi due strumenti che possono sembrare miseri, poco più che due cucchiai di fronte a una montagna, scavi un cunicolo fino al cuore della donna, che almeno possa respirare. E col respiro il pianto che assecondi muto, perchè occorre dare il tempo giusto ad ogni lacrima, che lenta cada come sangue sporco di terra da una ferita aperta che non devi avere fretta di richiudere. E dopo parli in bisbiglio caldo, divaghi, infili qualche fesseria accettando il rischio di essere frainteso, e infine torni al sodo, che è quello il punto da smussare. Tu non sei giudice che possa fare sconti sulla pena, ma la pena la puoi dividere per due.

E solo quando ti sei fatto carico del peso altrui, azzardi di forzare la tristezza, ti fai caronte allegro, “di qui si esce più in fretta se le tornerà il sorriso, ginnastica di labbra e di cervello”. Lei forse capisce cosa intendi perché prima ti guarda stralunata poi abbozza una smorfia complice e bambina.

Nel buio amico escono altre mamme dalle stanze, ti stanano in ambulatorio o in cucina, sensi assonnati che fiutano e reclamano il conforto della voce prima ancora dell’aiuto di una cura. Chiedono, ascoltano in piedi in corridoio e per un poco le abbandona il freddo che si portavano dentro.

Così per qualche ora oscura e chiara diventi il Cristo minimo che allevia la comunanza del dolore e riaddormenta con le dita sulla fronte.

Poi torna la luce e con la luce i capi e i bravi e i belli, quelli con il sapere in tasca e le parole in bocca da utilizzare in giro per tenere le distanze e accrescere la gloria. “Notte tranquilla, nulla di nuovo” dici, che tanto a certa gente è inutile spiegare. Ma mentre te ne vai, vedi una mamma sul limitare della stanza che incomincia con te a tessere la tela di sorrisi e di fiducia, da non disfare nella notte.

massimolegnani

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