Primo giorno d’ospedale

Posted by Magamagò on agosto 30, 2011
cronache, testimonianze / 5 Commenti

Primo giorno d’ospedale, ma non dalla parte del malato inerme, combattuto tra la sua dignità di uomo del Duemila e l’atavica paura dell’ignoto; no, stavolta sono dall’altra parte della barricata, non ancora medico ma sulla buona strada per diventarlo. Per ora sono una studentessa di Medicina che inizia a fare pratica in Ospedale: in gergo si dice internato.

Già, bisogna che cominci anche io a parlare come “loro“.

L’Ospedale: è un posto dove si gioca un’interminabile partita a scacchi con la Malattia, finché lei, la Nemica con la falce lucente, obbedendo a disegni più alti non allungherà la mano dichiarando scacco matto, o più spesso, si ritirerà nell’ombra.

In fondo la scienza ha fatto passi da gigante, e la chirurgia robotica è qualcosa di infinitamente lontano dalla scheggia di quarzo del primo medico preistorico.

Però il camice, il rito della vestizione prima di un intervento chirurgico, lo stetoscopio freddo poggiato sul filo della schiena a scoprire ogni magagna … tutto ciò è solo progresso o anche stregoneria ?

Forse sono solo rituali magici, esorcismi millenari che rivelano la congenita paura dell’uomo di fronte a fatti più grandi di lui.

Tutto vero, analisi socio-psicologica perfetta, ma allora perché ho scelto di diventare medico anch’io? Diamine, perché ho una folle paura delle malattie, no ?!

Dunque primo giorno d’ospedale, e quello che i maligni definiscono “ il mio restauro quotidiano “ è durato più del solito; non perché io sia proprio un mostro, ma purtroppo Madre Natura mi ha dotato di un aspetto in generale che si usa definire giovanile.

Questo vorrà dire che a cinquant’anni sarò ancora una bella signora, snella e fresca, ma presentemente a ventidue anni suonati e con tutta la mia buona volontà, non dimostro più di 15 anni, e pur essendo matura e intelligente, si sa, anche l’occhio vuole la sua parte.

Ed io, fossi un malato, non mi fiderei più di tanto di una dottoressa che con quel camice bianco sembra appena uscita dall’asilo, dimenticando in aula il suo bel fiocco blu.

Quindi: cerchiamo di invecchiarci!

Primo giorno d’ospedale: non bastano occhi per vedere tutto, né orecchie per ascoltare l’anamnesi del paziente letta con voce monotona dal collega: sembra non basti neanche il cervello per imparare tutto ciò che serve.

Ce la farò? Gli avvenimenti della giornata, piccoli e grandi, rimangono impressi nella mia mente non già come sono ma sotto forma di racconto.

Racconto che farò a tutti: ai miei genitori, che quando mi vedono pallida, a luglio, studiare fino a notte fonda su libroni più grossi di me pensano che loro gli anni della giovinezza non li hanno goduti per via della guerra, però neanche io mi sto divertendo.

Racconto soprattutto da fare al mio lui, conosciuto sui banchi di Anatomia (romanticissimo), il primo di mille che caratterizzeranno la nostra vita in comune.

La cosa più bella è che io ho le idee chiare sul mio futuro e il mio primo giorno d’ospedale potrebbe essere anche uno dei tanti fra dieci o vent’anni; sarò più vecchia, più esperta, toccherà a me spiegare agli studenti, ma l’entusiasmo, il senso del dovere, l’amore per la gente, saranno come oggi, anzi di più.

Primo giorno d’ospedale …o forse è solo un ricordo, di quelli che vengono a chi ha i capelli bianchi e il viso rugoso? Chi sono io, la studentessa col camice bianco o la dottoressa quasi in pensione? Devo vivere ancora la mia vita o è già quasi tutta trascorsa? Chi sono io?… Non dovrei pensare troppo, la mente mi si confonde, è colpa della preanestesia, e poi stare distesi sul lettino e attraversare così tanti corridoi con tante porte …ma non si arriva mai? Ragioniamo: sto per entrare in Sala Operatoria, una cosa semplice, lo so, andrà tutto bene, e poi me lo sta dicendo anche questa graziosa ragazza in camice che cammina affianco della barella.

Quant’è giovane, ha una faccia sbarazzina; con quel camice e quel visino più che una dottoressa sembra una bambina dell’asilo, le manca solo il fiocco blu ….Curioso! Mi ricorda qualcuno ma non so chi, la mia mente scivola nel buio, questa narcosi, bisogna che le paarli doopo …doopo, le parl…curios…

( ritrovato tra le mie carte 35 anni dopo )

Magamagò

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dualità

Posted by Magamagò on febbraio 09, 2011
cronache / 3 Commenti

Una serata sola in casa: sola? Non proprio: mi fanno compagnia una cagnetta di nome Lulù stravaccata sul divano (si sa, i volpini sono cani da salotto!) e una bimba piccolissima, tanto piccola che è ancora in me, poco più di una speranza, anzi molto più di una certezza, enorme, coinvolgente tutto e tutti nel mio microcosmo. E’ piccola, ma crescerà.
In lontananza una sirena d’ambulanza: non potrebbe essere la Polizia, o i Vigili del Fuoco, o vattelappesca? O, figurarsi, il mio sesto senso (o perchè sono una streghetta come mia nonna bonanima) mi dice di no, e che forse fra poco qualcuno avrà bisogno di me, del mio amore per il prossimo, della mia professionalità, del fatto che in questo piccolo paese, in quel piccolo Ospedale oggi ci sono solo io come Anestesista. Eh sì, bimba mia, hai scelto una mamma con un lavoro un po’ burrascoso e tosto, una mamma che ama l’imprevisto anche se non lo cerca… Suona il telefono: lo dicevo io! Mentre nelle mie vene scorre a fiumi l’adrenalina rispondo, con in mano i vestiti ed il guinzaglio, già pronta per uscire. Poche parole, un romanzo non detto a cui manca il finale. “Un incidente… un ragazzo in coma, c’è bisogno di te… lo conosci”. Volo per le scale, corro in ospedale col cane in macchina che mi segue ovunque fin dove può e poi mi aspetta paziente. E naturalmente porto dentro di me la mia bimba. Scusa Chicca, non vorrei strapazzarti ma laggiù c’è un bimbo cresciuto che sta male e una mamma che dopo tanta fatica rischia di vederlo andar via in un attimo. Scusami non è colpa tua se sono un’anestesista, è casomai colpa mia, ma è il mio lavoro, quello che ho scelto lottando duramente e voglio svolgerlo con impegno e poi fino a un attimo fa tu non c’eri. Al Pronto Soccorso bastano pochi minuti, decisioni rapide prese coi colleghi, alcuni gesti essenziali e l’ immediato colo sembra scongiurato, o almeno rimandato. Ma non basta: bisogna trasferire il ragazzo in un Ospedale più grande, più attrezzato; lo si “carica” sull’ambulanza. E’ così tranquillo ora, sembra che dorma, e invece è in coma e vive solo perchè è aiutato da noi, dai farmaci e da Dio soprattutto. Di nuovo la sirena che lacera l’aria e nella notte buia si ingigantisce di più. Reggiti forte, bimba mia, dentro la tua mamma, anche se ti senti sballottata, anche se sei piccolissima e fragile. Ti abbiamo cercata per anni il tuo papà ed io; non siamo genitori cattivi, nè il tuo papà in camice bianco che al PS ha fatto quello che ha potuto e poi ci ha lasciate salire sull’ambulanza, nè io stessa che mi affanno attorno a questo ragazzo in fin di vita. Vedrai piccolina, non ti succederà niente, Dio non baratta una vita con un’altra e noi lo salveremo anche grazie alla forza tua, la forza della Vita nascente!

Però ti prometto che da domani farò la casalinga e niente più ambulanze, niente stress… e niente strizze!

Magamagò

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surreale

Posted by Magamagò on agosto 10, 2010
cronache / Nessun commento

“Dottora, scendi, c’è un codice rosso, un trauma toracico”. Già lo so: chi mi chiama così può essere solo Alfonso, l’infermiere di Pronto Soccorso e anche se è l’una di notte e ho appena finito coi miei pazienti in Rianimazione, l’appellativo mi mette come sempre di buonumore. In fondo è più corto di Dottoressa, e punta sulla professionalità mettendo da parte il sesso di appartenenza, è più semplice, più cameratesco, specie per noi che ci incontriamo anche sott’acqua, durante le immersioni, laddove le parole sono inutili e contano solo le cose essenziali…
Intanto che penso sono arrivata alla porta del Pronto Soccorso immaginando mille film diversi, come si usa dire adesso, e sperando di trovarmi di fronte a quello a lieto fine tra i tanti possibili! “Allora,ditemi tutto”. “Maschio, cosciente, politrauma da incidente stradale, in respiro spontaneo, stabile, ma è un po’ confuso, respira affannosamente e potrebbe precipitare da un momento all’altro”, dice il collega giovane (io non più) del 118 che lo ha raccolto sulla strada ed accompagnato in ospedale.
OK, vediamo dico a me stessa: esagera? Ha manie interventistiche? Deve ripassare il capitolo sull’intubazione, o che? In fondo l’uomo è lì nella barella, monitorizzato, parametri vitali apparentemente nella norma, neanche troppo tachipnoico, sanguina solo da una ferita lacerocontusa della fronte, parla, parla, parla. Occhio, non fidarti, non abbassare la guardia, mi dico! Intanto che raccolgo dati, faccio l’esame obiettivo ed eseguo un prelievo per Emogasanalisi faccio caso alle sue parole e mi rendo conto che ha lo sguardo un po’ allucinato e sembra ansioso più che confuso. “Stavo guidando tranquillamente vi dico, io viaggio sempre di notte, sono rappresentante di commercio, mi è più comodo arrivare dai clienti al mattino presto, ma andavo piano lì per la 74 (Strada Statale 74 in Maremma per la precisione); sapete dove stanno facendo i lavori per raddrizzare le curve…” “Mi sa che ne ha raddrizzata una di troppo lui!” Sento alle mie spalle questo commento sussurrato ed io, senza voltarmi, faccio gli occhiacci agli infermieri: e state tranquilli che se mi imbestialisco gli occhiacci si vedono anche attraverso la nuca! Odio i commenti gratuiti, inutili e cattivi che non servono a nulla.
“Dicevo Dottoressa andavo tranquillo e poi, ad un certo punto, arrivo dove c’è un tratto di strada dismesso allato del tracciato nuovo e improvvisamente la macchina ha preso via per conto suo, seguivo con le ruote la vecchia linea bianca di mezzeria, mi allontanavo sempre più e non riuscivo a sterzare per tornare sulla strada, non riuscivo, vi dico, e non è che lo sterzo si fosse bloccato, l’avrei capito. No, semplicemente puntava su quella linea bianca dipinta per terra e la seguiva mantenendo la macchina perfettamente a cavallo di essa…”
Sì, decisamente è confuso: controllo di nuovo i parametri respiratori, la PaCO2 temendo una carbonarcosi, controllo che nella lista degli esami ematici effettuati all’arrivo siano stati inclusi i test tossicologici, annuso discretamente il suo alito, penso ad una TC del cranio e fulmino con lo sguardo il tecnico di Radiologia dietro di lui che fa quel classico gesto col dito indice sulla tempia: pazzo, matto, svitato, sbroccato… Ancora sciocchezze!
Allora stringo le mani di quel giovane, anzi i polsi, perchè è un gesto più rassicurante e gli sorrido, anche se sono un po’ stanca e avrei preferito una patologia semplice, chiara, da manuale con cui interagire in modo quasi automatico. E invece la psiche umana sta dando il meglio di sé, e allora mi siedo vicino a lui e lo invito a continuare a raccontare, perchè sembra la cosa di cui abbia più bisogno. “Io volevo fermarmi, tornare indietro sulla strada di prima quella nuova insomma, anche se questa vecchia tutto sommato non era brutta, un po’ stretta magari ma con tanti alberi fioriti ai bordi, peschi e ciliegi mi sembra, con tanto verde; pensi, ho pure visto una volpe che occhieggiava dalla formetta, è stato un attimo ma gli occhi scintillavano alla luce dei fari, e l’ho riconosciuta perchè da piccolo abitavo in campagna, in un’altra regione magari, ma la Natura è uguale dappertutto. Da una parte ero sereno, rilassato, dall’altra avevo paura di questo tuffo nel passato, di non poter più decidere della mia vita, imprigionato su quella strada, legato ad una striscia bianca dipinta anni e anni fa. Volevo scappare, sapevo di dover scappare, e ho premuto l’acceleratore, ho sterzato di botto, ma non succedeva niente, e poi la riga bianca a cominciato a curvarsi e sembrava scrivere sull’asfalto grigio, scolorito dal tempo …” Intanto però la sua pressione arteriosa crollava, la saturazione era in calo, tachicardia e tachipnea segnalavano una instabilità emodinamica che stavamo tutto sommato aspettando, ed intanto che interveniamo lo sento ancora farfugliare: “la riga scriveva sull’asfalto: ah sì,sono una strada dismessa, una strada vecchia, non servo più? Mi avete soppiantato. E io mi vendico! E mi vendicherò ancora!”
Dopo un po’ torna la calma, e a paziente intubato, ben ossigenato, stabile, pronto per la TC cranio-torace, ripenso alle sue parole deliranti e mi volto verso il collega del 118 tentando un commento ironico per allentare la tensione, ma lui mi guarda più stralunato di quell’uomo e con un filo di voce dice: “Sai una cosa buffa? L’automobile era accartocciata contro il tronco di un albero sul ciglio della strada, e la riga bianca era contorta, strana, sembrava quasi…(esita a dirlo) sembrava quasi un ghigno diabolico!” Il silenzio nella sala si fece palpabile.
Sì, è stata una nottata lunga e si preannuncia un’alba inquietante, ma per fortuna il mio turno è quasi finito. Prima di andare via però mi volto e con nonchalance, almeno spero, chiedo ad Alfonso: “Ma di preciso poi, dov’è che è avvenuto l’incidente?” “Dottora, sa dove c’è quel casale rosso coi platani, in cima al poggio? Ma sì, dove passa sempre lei per tornare a casa? Proprio lì”.
“Ah,grazie. Mi sa che mi fermo ancora un po’ in ospedale stamattina…” NON SI SA MAI!

Magamagò

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mio

Posted by Magamagò on marzo 08, 2010
pensieri / 3 Commenti

Quand’è che si passa dall’altra parte? Quand’è che si attraversa la sottile linea,invisibile ma rigida,che separa il te medico comprensivo, amante del tuo lavoro, disponibile verso i pazienti,dal te non quello malato, quella è cosa semplice, chiara,facile da gestire, ma il te ” parente di malato” ?
Non te ne accorgi, non lo sai la mattina quando ti svegli, e stai già pensando a cosa ti aspetterà in reparto, fra i tuoi malati di ieri o quelli nuovi di stanotte, non lo puoi sapere; ma forse il Padreterno qualche indizio te l’aveva dato, come quando hai comprato quel libro dal titolo “A parte il cancro tutto bene”. Sì, ok, lo hai comprato perché sei da sempre autoironica, perché ti piacciono i libri “ammalloppati” come dice tuo marito, o forse perché ti sarebbe riuscito utile un giorno?
Allora, spieghiamo subito, facciamo una flow-chart della situazione, cosi diventa tutto chiaro.
Marito chirurgo, abbastanza giovane, avvisaglia banale del Padreterno (sia ringraziato), TAC, tumore al colon (lui è anche endoscopista , ironia della sorte); va bene, guardiamolo in faccia, letteralmente, insieme a tutti quelli che ci vogliono bene, e che sperano di sbagliarsi; ok di nuovo, andiamo avanti, il tempo di smaltire, lui, la sedazione, e io, la moglie anestesista, la mazzata e ho già organizzato tutto il percorso diagnostico futuro, trovando anche il tempo, en passant, di consolare figlia, amici e colleghi. Nelle flow-chart le opzioni sono sempre due, e nella vita anche: fare o non fare. Io faccio, mentre una parte di me, fuori di me, pensa e piange. Poi tutto in salita, o in discesa, insomma verso il meglio. Però da quel momento tutta la tua vita interiore è scandita da quella opzione, e vedi tutto attraverso il vetro della malattia, un po’ smerigliato, per cui le cose, le persone, le situazioni, hanno contorni ondulati, diversi da come li vedono gli altri.
Il paziente con sepsi ricoverato in Rianimazione nel postoperatorio, è in realtà una persona simile al tuo amore a cui è andata peggio, e questo ogni volta ti fa ritornare indietro a ripercorrere tutte le tappe della tua vicenda personale, e questo ti svuota, ti prosciuga e ti arricchisce, come la vasca da bagno dei problemi alle elementari, quella che si doveva riempire d’acqua ma aveva un buco nel fondo… a volte il buco è grosso, e si svuota più in fretta di quanto si riempia, a volte è quasi piena, ma sempre a rischio, e quel problema non si risolverà mai in questa vita. Gli anziani del paese dove ho lavorato all’inizio mi dicevano stupiti: ma come anche i dottori si ammalano? Ed io rispondevo: bastasse una laurea per stare bene… Invece capita, anche a noi, eccome, l’importante è avere un male adatto alla tua mentalità: un chirurgo abituato al taglio netto e risolutivo non puù avere una malattia cronicissima, andrebbe ai matti! Ma qualcuno lassù ci pensa, e non ti lascia mai solo. Il turno di notte in Rianimazione, quando finalmente verso le tre c’è un momento di tregua, e perfino i monitors sono più sommessi, e quando il relativo buio si fa più denso, ti libera anche la mente che così si ricongiunge a tutti gli spiriti che aleggiano nel reparto, spiriti di quelli che ci sono transitati e di quelli che ci arriveranno, con le loro storie che d’ora in poi saranno sempre o più simili alla mia, o più dissimili, e che tutto sommato non vorrei cambiare mai.

Magamagò

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