Posted by Woland
on marzo 27, 2009
testimonianze /
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Ogni Rianimazione è unica. Non solo è diversa dalle altre, è diversa anche da se stessa, se la osserviamo in momenti diversi, con persone diverse, o a distanza di qualche anno.
Il giorno è diverso dalla notte. Così come una notte tranquilla è diversa da una notte di tragedia, come una notte qualunque è diversa da quella di Natale o Capodanno, che ti ricordano da un lato cosa voglia dire lavorare 365 giorni all’anno 24 ore su 24, ma ti ricordano anche quanto poco basti per rendere un luogo di lavoro accogliente quasi quanto una casa.
Alcune differenze le ho notate soltanto quando ho cominciato a fotografare la Terapia Intensiva e a riguardare le fotografie a distanza di tempo. Non sono il solo a fotografare in reparto.
Se è vero che una fotografia è sempre un atto a doppio senso, in cui resta fissato non solo il soggetto ma anche lo sguardo di chi lo inquadra, così molti dettagli sono venuti alla luce passando le notti (quelle tranquille) a curiosare per la Rianimazione e i dintorni. Allo stesso modo sono emersi gli sguardi di ciascuno, di chi cerca i dettagli, chi cerca i volti, chi gli spazi vuoti.
Di giorno non sarebbe possibile, c’è troppa frenesia.
Di notte il lavoro può essere anche più pesante, ma te lo distribuisci come vuoi, basta che sia finito prima del mattino.
La notte inizia con le consegne. Di solito rapide, perché i colleghi hanno diritto di essere stanchi e di aver voglia di andare a casa. Quasi sempre dopo c’è una pizza, spesso mangiata fredda perché se la ordini troppo presto il ragazzo della pizzeria te la porta durante le consegne e la pizza si raffredda, se invece aspetti un’ora, non appena te la porta regolarmente chiamano dal pronto soccorso e quando ritorni 2 ore dopo la pizza è fredda di nuovo.
Di giorno gli allarmi quasi non li senti, di notte ti rimbombano in testa.
Di giorno le decisioni sono condivise, di notte spesso le prendi da solo, al massimo in due, per difendersi a vicenda dalle possibili osservazioni dei colleghi al giro del mattino.
Di notte in cucina è più facile assaggiare un dolce romeno, è più facile scoprire che un collega si sta per sposare o che ha avuto un lutto in famiglia.
Di notte se un parente si ferma fino quasi al mattino al letto di un paziente, la Terapia Intensiva è più aperta di quanto potrà mai esserlo di giorno.
Woland
Tags: notte
Posted by Woland
on dicembre 29, 2008
pensieri /
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L’attenzione mediatica attorno al caso del neurochirurgo torinese che sostiene di aver “risvegliato” una giovane paziente da un presunto stato vegetativo non giova a nessuno. Non giova alla paziente, che invece di ricevere un trattamento sperimentale – di cui ancora è incerto il risultato – in un contesto appropriato e protetto, diventa l’ennesimo caso mediatico vittima di un sistema che si nutre di strumentalizzazioni e curiosità morbose.
Non giova alla società ed in particolare a tutte le persone che vivono il dramma quotidiano di avere un familiare in stato vegetativo persistente, per le false aspettative che inevitabilmente si generano: la stimolazione talamica profonda ha sicuramente dei fondamenti scientifici e delle prospettive, ma in casi ultraselezionati ed in un contesto che rimarrà sperimentale per molti anni ancora.
Non giova al chirurgo, che cerca di aggirare con una scorciatoia il difficile percorso che deve affrontare chi, agendo nel rispetto della comunità scientifica internazionale, vuole dimostrare l’efficacia di un trattamento. La sua intervista pubblicata su La Stampa il 20 dicembre è emblematica: il tono con cui vuole attirare l’attenzione delle istituzioni suona quasi ricattatorio, oltre che offensivo. Sostenere che in Italia le persone come lui non possono avere una cattedra a causa di un sistema clientelare oppure che andrebbe abolito il valore legale della laurea è demenziale: siamo fermamente convinti che l’università vada riformata, ma ringraziamo di avere un sistema che riesce ancora ad arginare i deliri di onnipotenza e l’irresponsabilità di chi pubblica i risultati delle proprie ricerche sui giornali ancor prima che sulle riviste scientifiche.
Non dimentichiamo il caso Di Bella, che qualche anno fa ha avuto una tale risonanza mediatica da costringere il Ministero ad una sperimentazione (costata molte morti e sospesa per motivi etici) per dimostrare pubblicamente l’inefficacia di una terapia senza fondamento. In quale altro Paese se non l’Italia saremmo dovuti arrivare a tanto?
Per fortuna qui il caso è diverso, la stimolazione cerebrale profonda e la ricerca sulle cellule staminali negli stati di minima coscienza hanno dei fondamenti scientifici e potrebbero avere prospettive in futuro: forse per vederne gli sviluppi sarà sufficiente dare spazio e risorse a chi lavora in silenzio e con senso di responsabilità: la presunzione e la superficialità non aiutano la ricerca.
Woland
Tags: ricerca
Posted by Woland
on settembre 17, 2008
pensieri /
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Stamattina è morta una paziente. Piuttosto giovane, molto sfortunata, morta nonostante tutti i nostri sforzi.
Una famiglia splendida, che anche nel dolore non ha smesso di ringraziarci, quasi fossero loro a consolarci per la sconfitta e a volerci risparmiare la fatica di dover comunicare loro la fine di tutto. Ho chiesto se avessero gradito la presenza del Cappellano e poco dopo l’ho chiamato.
Nel nostro reparto ho già visto passare diversi ministri di culto, dal Pope ortodosso all’Imam, al Prete valdese. Ho anche incontrato familiari che hanno rifiutato, in modo gentile ma fermo, la presenza di un religioso, ribadendo la loro assoluta laicità.
Chi però è di gran lunga in testa alle presenze nell’ora del commiato è il Cappellano del nostro ospedale, lo stesso che celebra Messa nella piccola cappella al settimo piano.
Più precisamente sono due: non mi è mai capitato di vedere nessun altro al di fuori di loro due. Un camice sopra l’abito talare e un cordless per la pronta disponibilità.
Di solito li riconosco al telefono, stamattina quando ha risposto una voce estranea dicendomi che il Sacerdote sarebbe arrivato appena finito di dire Messa, per la prima volta ho pensato: chi dei due verrà? E subito dopo: ma sono sempre solo loro?
Poi mi sono fatto due conti. Per garantire una guardia 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, di solito bisogna essere almeno in 3. Ma se si considerano le ferie e i riposi si arriva ad avere bisogno di 6 persone. E’ come dire che io da solo posso lavorare solo 4 ore al giorno per 365 giorni di seguito, oppure, se (per assurdo) lavorassi 24 ore al giorno, lavorerei solo 2 mesi all’anno.
Spesso ci lamentiamo di quanto il nostro lavoro sia frenetico e stressante e di quanto a volte abbiamo un dannato bisogno di staccare per qualche giorno.
E’ come se noi fossimo dei velocisti, capaci di scatti e allunghi, ma inetti sulla lunga distanza.
Il Cappellano, che copre da solo la reperibilità di 3 persone per anni e anni, è il vero Maratoneta, la cui resistenza non solo ci rimane sempre invisibile, ma soprattutto è per noi assolutamente irraggiungibile.
Woland
Tags: preghiera
Posted by Woland
on settembre 03, 2008
cronache /
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Amo la vita e la rispetto, ho ricevuto un’educazione cattolica anche se ora le mie posizioni sono diverse. Con la bioetica della donazione-trapianto e gli interrogativi sull’appropriatezza delle cure e sulla disponibilità di ciascuno della propria vita ho avuto esperienze anche familiari e confronti anche con persone di fede.
Premesso tutto ciò, vorrei esprimere la mia amarezza e il mio sdegno per l’editoriale comparso ieri a firma di Lucetta Scaraffia. Pur sollevato dalla dichiarazione ufficiale della Chiesa e dalla presa di distanza sue opinioni, le ritengo comunque gravi anche se espresse a titolo personale, in quanto molti in Italia identificano il vostro giornale con l’opinione ufficiale del Vaticano.
Mi sembra che l’autrice abbia in testa una gran confusione tra stato vegetativo, coma e morte cerebrale. Ognuno è libero di esprimere le proprie idee, ma dovrebbe avere la decenza di documentarsi prima di scrivere in prima pagina su un giornale. Tutto questo pensando che si sia trattata soltanto di superficialità, ignoranza e irresponsabilità; se fosse una mossa studiata per secondi fini, sarebbe ancora più deprecabile.
Penso che in una democrazia vera, ciascuno sia libero di esprimere le proprie idee; sono però anche convinto che ciascuno debba rispondere delle proprie idee e che la responsabilità sia una delle basi del giornalismo. Se ragioniamo in modo molto pragmatico, in termini di numeri, e poniamo come nostro obiettivo la difesa della Vita, è possibile (è già successo in passato) che l’editoriale in questione e il dibattito che inevitabilmente ne seguirà causeranno più morti nei prossimi mesi della guerra in Georgia. La fiducia dei cittadini dei confronti del sistema trapianti, uno dei fiori all’occhiello della sanità italiana, sarà difficile da ripristinare facilmente e in un solo giorno può andare in fumo il lavoro di mesi centinaia di persone. Purtroppo non sarà possibile dare un nome a tutti quei morti, ma credo che la flessione dei numeri osservati rispetto agli attesi sarà quantificabile con precisione. Vorrei che chi ha scritto se ne assumesse la responsabilità e che riflettesse in futuro sulle conseguenze della propria superficialità. I dubbi andrebbero chiariti prima di scrivere, pensare ad alta voce non si addice ad un giornalista, soprattutto quando in gioco c’è la vita di migliaia di persone.
Woland
Tags: trapianto