Fisiologica creatura

Scritto da Narcogigi il 01 Settembre, 2013
poesie / Nessun Commento
Foto di MV

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Pensando all’intima di un arteria renale

mi incammino con la mente in un microcosmo naturale,

c’è dentro un vaso una popolazione

di cellule e molecole di ogni dimensione,

a guardarle attentamente è possibile scorger con stupore

il destino che può esser l’urina o il ritorno al cuore,

ha vita più breve di una farfalla quella scoria azotata

ma sembra non saperlo e scorre svogliata

verso il noto giudice capillare

dai libri descritto come glomerulare,

afflitto si incammina un atomo di sodio

ha perduto il cloro e col potassio è in odio

ma ha preso accordi con l’aldosterone

che è un altro giudice chiamato ormone

che agisce sul tubulo distale,

di questo tribunale la cassazione.

Narcogigi

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Show a little faith, there’s magic in the night

Scritto da Picu il 12 Agosto, 2013
emozioni / 2 Commenti
Foto di MV

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La notte è sinestesia. È freddo azzurro nel corridoio da camminare o correre, é il fiato duro dell’aver corso troppo rispetto alle tue possibilitá fisiche, è il battito del cuore dolce o amaro, quando comunque salta fuori dal petto, caldo. È caffè bruciato, mal di stomaco, nausea da troppe patatine. È adrenalina in scariche gialle, e ipotensione quando l’hai finita. E’ il caldo grigio del letto quando stai finalmente vasodilatandoti e abbandonandoti, e il rosso incazzato di quando risquilla di nuovo quell’accidenti di cicalino. La notte è musica calda, quella che scegli tu a farti compagnia. È luce bassa sulla scrivania bianca, tra cartelle e biscotti e tazze di caffè. È il verde dell’ecg e il rosso molesto degli allarmi. Non c’è senso tradito dalla notte, negletto. È il tocco freddo del metallo in mano, l’odore del sangue, il rumore della tua paura. È una luna accesa fuori, a giudicarti. E’ il respiro dell’alba, la luce che arriva finalmente a farti coraggio. È il freddo dei tuoi visceri, quando non termoregoli più, o il caldo della pelle sporca e appiccicosa, al mattino. È il dentifricio che fa a pugni col kebab, è la cicca che mastichi per non addormentarti, è la nausea del troppo sonno, l’emicrania tagliente del mattino. È il piccolo brivido del pensare che sei solo tu, è la soddisfazione del pensare che sei solo tu. È il viaggio al termine delle tue paure.

Picu

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Le conseguenze evaporate dell’errore

Scritto da massimolegnani il 20 Luglio, 2013
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Foto di MV

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Ringrazio il Dio degli uomini notturni, la sua pietà per la stanchezza di gesti troppo a lungo trafelati, ringrazio il Dio dei fragili belati, la compassione per i bimbi, che non morisse la pecora di Abramo per mano di un salvatore scellerato.

Avrei potuto uccidere stanotte mentre credevo di affannarmi in una difficile salvezza, tirare a riva un corpicino che affogava nello zucchero, ore a lottare con quel respiro irregolare che ci ghiacciava il sangue e quello sguardo vitreo che squarciava il buio della notte.

Avrei potuto, in questa notte senza fine, la matematica lo esige. Un calcolo da folle la correzione del potassio, dopo l’esattezza al microgrammo nel ripristino dei liquidi, nell’aggiunta di bicarbonato, nelle dosi d’insulina in vena, sodio, magnesio, calcio, glicemia, per ore giocare all’equilibrio tra il troppo e il poco, che non puoi correggere tutto in un colpo. E poi sbagliare di dieci volte tanto. Hai lì le fiale sotto gli occhi che basterebbe contarle per capire di quanto stai sbagliando, queste sono troppe per un cavallo sano, figurati per questi venti chili in coma. Le hai lì pronte sul bancone e non le vedi, non vedi l’enormità del danno, non lo vede l’infermiera che si trascina più stremata di te, siete come ciechi, burn out lo chiamano, uno stordimento lucido, dico io ora. E poi stare al letto di Ramona a spiare un miglioramento che stenta ad apparire. Come un ebete guardi quel viso contratto, ascolti il rantolo, palpi il pallore, aspettandoti una svolta e non ti rendi conto che l’hai rimessa tu sul filo della morte. Ma Qualcuno a cui non credo svapora clemente le conseguenze del mio errore, annulla per pietà gli effetti devastanti del potassio esagerato.

È l’alba quando Ramona piano piano si riprende, la mamma che mi guarda come fossi il salvatore e pure io ci credo. Solo più tardi, mentre in euforia mi faccio un tè a fine turno, rivedo in un lampo i gesti errati della notte.

Cade la tazza, io quasi un assassino!

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Shlomo

Scritto da folfox4 il 10 Luglio, 2013
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24 luglio 2011
Quel giorno in medicina d’urgenza fu ricoverato per un’insufficienza respiratoria acuta Salomone (Shlomo) Venezia.
Shlomo Venezia, nacque a Salonicco il 29.12.1923 ma di nazionalità italiana, fu un sopravvissuto di Auschwitz dove fu internato perché ebreo.
Fece parte dei sonderkommando (“squadre speciali”); i gruppi scelti tra gli stessi deportati, addetti allo svuotamento delle camere a gas dai cadaveri e al loro trasporto/scarico ai forni (per il solo campo di Auschwitz si calcolano oggi circa 1.300.000 – 1.500.000 morti).
Dopo esser tornato indietro, Shlomo Venezia rese una costante testimonianza scrivendo – tra gli altri – un intensissimo libro: “Sonderkommando Auschwitz” ed. Rizzoli, 2007.
La nuora, una collega, chiese il nostro aiuto. Il medico di guardia ed io andammo.
Il signor Venezia – portatore di esiti di fibrotorace sinistro – aveva vissuto fino a allora in discreta buona salute e, soprattutto, lucido.
L’ultima conferenza l’aveva tenuta, sembra, circa quindici giorni prima.
Da allora era in affanno con un progressivo aumento della PaCO2 fino ad arrivare la mattina prima a valori tra 120 e 98 mmHg.
Quando arrivammo era già in NIMV ma in carbonarcosi. L’emodinamica era stabile, la PaO2 sufficiente, con una SatO2 = 100% per FiO2 0.4.
Come spesso capita ai grandi anziani in alcune parti del corpo la cute era talmente esile ed anelastica da rompersi generando una trasudazione sieroematica; così il braccio sinistro portava una fasciatura.
Quando la rimossi per cercare una vena un po’ più robusta potei vedere il suo numero: 182727, color antracite, alto circa 1,5 cm e lungo circa 6 cm.
La moglie ci riferì che il signor Venezia non avrebbe mai voluto per sé cure sproporzionate.
Il medico di guardia espose alla signora i nostri dubbi circa la possibilità che trattandosi di un fatto acuto, un trial di ventilazione meccanica invasiva avrebbe potuto aiutarlo ma che se le cose fossero andate male certamente si sarebbe potuto aprire un percorso irto di difficoltà (tracheotomia?) e noi su questo non avremmo potuto ovviamente dare garanzie.
Alla parola “tracheotomia” la moglie del signor Venezia ci confermò che mai il marito avrebbe voluto per sé questo.
Nel frattempo la NIMV – per quanto applicata in questo caso in modo non appropriato per la carbonarcosi, e ormai di fatto una PCV – stava facendo scendere lentamente ma progressivamente la PaCO2, contribuendo alla normalizzazione del pH.
Accettammo la sfida e rispettammo la volontà del signor Venezia.
Nel pomeriggio fu ricoverato in Unità di Terapia Intensiva Respiratoria dove mantenne per tutta la notte la NIMV continuando a ridurre la PaCO2 e a correggere l’acidosi, fino a riacquistare l’indomani mattina un soddisfacente ripristino dello stato di coscienza ed una PaCO2 compatibile con la sua patologia.
Poi leggete anche questo brano:
«Altre volte mi hanno chiesto, per esempio, se qualcuno sia mai rimasto vivo nella camera a gas. Era difficilissimo, eppure una volta è rimasta una persona viva. Era un bambino di circa due mesi. All’improvviso, dopo che hanno aperto la porta e messo in funzione i ventilatori per togliere l’odore tremendo del gas e di tutte quelle persone – perché quella morte era molto sofferta – uno di quelli che estraeva i cadaveri ha detto: “Ho sentito un rumore”. Normalmente quando uno muore, dopo un po’ finché non si assesta, il corpo ha dentro dell’aria e fa qualche rumore. Abbiamo detto: “Questo poverino, in mezzo a tutti questi morti, comincia a perdere il lume della ragione”. Dopo una decina di minuti ha sentito di nuovo. Abbiamo detto: “Tutti fermi, non vi muovete”, ma non abbiamo sentito niente e abbiamo continuato a lavorare. Quando ha sentito di nuovo, ho detto: “Possibile che senta solo lui? Allora fermiamoci un po’ di più e vediamo cosa succede”. Infatti, abbiamo sentito quasi tutti un vagito da lontano. Allora uno di noi sale sui corpi per arrivare laddove veniva il rumore e si ferma dove si sente più forte. Va vicino e, insomma, là c’era la mamma che stava allattando questo bambino. La mamma era morta e il bambino era attaccato al seno della mamma. Finché riusciva a succhiare stava tranquillo. Quando non è arrivato più niente si è messo a piangere – si sa che i bambini piangono quando hanno fame. Il bambino era quindi vivo e noi l’abbiamo preso e portato fuori, ma ormai era condannato. C’era l’SS tutto contento: “Portatelo, portatelo”. Come un cacciatore, era contento di poter prendere il suo fucile ad aria compressa, uno sparo alla bocca e il bambino ha fatto la fine della mamma. Questo è successo una volta in quella camera a gas. Ci sono tanti racconti, ma io non racconto mai cose che hanno visto gli altri e non io. »
Shlomo Venezia è morto a Roma il 1 ottobre 2012
Folfox4
Nota per gli addetti ai lavori eventualmente interessati:
Mi permetto di invitarvi a leggere due articoli dove a mio avviso si sistematizza in modo chiaro e utile l’uso della NIMV sia in termini di supporto vitale per superare l’insufficienza respiratoria acuta in una serie di specifici casi (cosa più nota), sia in termini di palliazione (cosa meno nota):

-È. Azoulay et al. Palliative noninvasive ventilation in patients with acute respiratory failure Intensive Care Med (2011) 37:1250-1257

-J. Randall Curtis, et al. Noninvasive positive pressure ventilation in critical and palliative care settings: Understanding the goals of therapy Crit Care Med (2007) 35: 932-939

A quest’ultimo proposito nella tabella 1 del secondo articolo si dimostra che, pur non avendola letta prima, il medico di guardia ed io collocammo correttamente il signor Venezia nella categoria II con possibilità di shift verso la categoria III che comunque non ci fu.
Sono contento. Ma penso che il collega d guardia, quello che prese materialmente le decisioni, possa ancor oggi esserlo ancor di più!

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Cold nose

Scritto da Labile il 07 Luglio, 2013
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foto di MV

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Sì, è evidente la sorpresa ripensando alla tua faccia! Potrei aspettarmi l’irruzione di un lunedì qualsiasi con cui incomincia la settimana, l’aria seria che circonda gli occhi scuri quasi all’ombra di ciglia folte e cespugliose … almeno così mi sembra di ricordarle cercando bene di impaginare i ricordi.

Quando le persone ci lasciano, tornano a trovarci inaspettate con un ricordo, una docile memoria che ci asseconda in ogni momento, a volte consolandoci, altre a scuoterci.

Comunque sia, tornano i pensierini precisi, fatti e immagini speciali che mai ci lasceranno più.

Quasi evocato, Aldo mi torna in mente, quando la commessa spruzza un piccolo getto vaporizzato di profumo sulla striscia di pergamena, agitandola nell’aria davanti alla mia faccia, con lo sguardo professionalmente ammiccante.

Non ho ben capito ancora oggi se a colpirmi fu il suo misterioso mestiere mai sentito o la meraviglia che veramente il suo naso potesse essere un’occupazione vera e anche molto ben pagata.

Aldo mi torna così improvviso alla mente, annusando il leggero profumo da scegliere in un inizio di sole tiepido e che annuncia la tanto attesa primavera.

Quanta perizia ci mise Aldo a convincere la mia incredulità che il suo naso era veramente l’organo con cui esercitava e concepiva da anni in giro per l’Europa nuove e sconosciute fragranze di essenze da vendere sul mercato di mezzo mondo.

Mi sarei aspettato un naso importante alla Cyrano de Bergerac, un organo facciale del tutto monumentale, quasi che grandezza e importanza rendessero quel suo reale mestiere così misterioso e ben pagato.

Mi convinse, invece, con quel naso del tutto normale spiegandomi per bene la capacità infinita che alloggiava nelle sue cellule olfattive. L’olfatto, mi diceva, è il senso che rende possibile la percezione delle sostanze volatili presenti nell’aria. Nell’aria, continuò, c’è tutto un mondo invisibile e apparentemente senza corpo che i nostri occhi non vedono e che solo il nostro naso può far si che ogni giorno non abbia lo stesso odore.

Aldo ammalato in un letto ben pulito e riassettato ogni giorno. Aldo accudito, Aldo alimentato, Aldo lavato, pettinato e sbarbato, Aldo curato. Quante volte le nostre mani hanno sostituito le mani di Aldo, quante volte le nostre gambe hanno camminato al posto di quelle di Aldo.

Mai però, il suo naso, fu in nessun caso sostituito.

Dalla sua stanza commentava le numerose “essenze” che circolavano per il reparto e lui spiegava abilmente facendoci notare che da quegli odori lui sapeva sempre cosa succedeva in giro.

Il giro letti al mattino si annunciava benissimo, a seguire il sottilissimo odore del caffellatte ospedaliero, il profumino silenzioso del disinfettante della pulizia dei pavimenti. Il silenzio spietato e freddo del giro visita. La minestrina serale accompagnata dalla mela cotta.

L’onnipresente e improvviso profumo, quasi crudele, del caffè appena fatto. Un potente elisir di lunga vita capace di resuscitare sguardi opachi e rassegnati, suggerito all’infinito sempre in orari inaspettati.

A volte la sua puntuale descrizione degli odori, (Aldo, a volte si chiamano puzze!) era del tutto comica, altre invece alquanto tristi e lungimiranti.

Comunque sempre puntuali.

A pensarci bene, oggi, ci insegnò un punto di vista nuovo e imprevisto, a compiere lo sforzo giusto e necessario di andare oltre le evidenze, una lezione indimenticabile di come l’inaspettato possa realizzarsi attraverso un odore, un profumo.

Altro che Proust e le sue petites madeleines

Aldo dal suo letto a occhi chiusi sembrava una portaerei in perlustrazione nel mediterraneo, la sua immobilità allettata provocava a momenti il sottile terrore di essere intercettati e individuati.

Magari anche girando lentamente il suo naso, di essere affondati.

Ciao Aldo ovunque sei !

( “… E’ stata una visione o un sogno ad occhi aperti?”Ode to a Nightingale,  John Keats (1819)

Labile

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La noncuranza

Scritto da slowlyslowly il 03 Luglio, 2013
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foto di GP

foto di GP

La noncuranza

è aiutare qualcuno

a fare un gesto

anche se

ce la può fare da solo

slowlyslowly

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Streptococcus pneumoniae

Scritto da folfox4 il 25 Giugno, 2013
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E.V.  n.1890, m.1906 – Cimitero monumentale di Campo Verano in Roma

E.V. n.1890, m.1906 – Cimitero monumentale di Campo Verano in Roma

E.V. è morta all’età di 16 anni di polmonite – era la primavera inoltrata del 1906 – la giovane era già orfana di padre e madre ed era stata adottata da un’altra famiglia che però doveva conoscere la sua di origine perché il patrigno e la matrigna scrivono sulla lapide che la vollero sepolta accanto ai suoi cari.

In quell’angolo,

Ogni cosa è conclusa.

È solo silenzio.

In quell’angolo,

La pace,

Sembra ferma,

Ora,

Nell’aria.

L’angoscia,

Languida,

Si ritira.

Umida.

Lenta.

Come stanca marea.

Gli occhi affaticati.

Precoci.

Profondi.

Fermi.

Oscuri,

Fissano,

Lontano nel tempo.

Pieni dell’antico dolore.

Nel verde cupo,

Degli alti alberi eterni,

La luce di quel mattino,

Cristallo freddo,

Filtrava, limpida.

Tersa.

Come il palpito

Della tua piccola estate.

L’insulto

Dell’ansimo,

Alla fine cessò.

D’incanto.

Quel grido,

Ultimo.

Muto.

Solitario.

Riecheggia,

Fermo,

Nel tempo.

Ogni errore,

Ora,

È compiuto.

Dietro il piccolo tempio,

Lungo l’ultimo stretto viale.

In quell’angolo,

Ora,

Ogni cosa è conclusa.

È solo silenzio.

Folfox4

Da qualche tempo ho preso a curare le tombe dei miei cari e così, passeggiando per questa vera e propria “città” (il cimitero di Campo Verano), vado fantasticando un po’ lasciandomi suggestionare dalle immagini, dagli angoli e dalle atmosfere che ancora in certi punti si possono apprezzare – in uno di questi punti, un po’ nascosta,  c’è la tomba di E.V., ormai abbandonata –  La lapide è quasi illeggibile ma pare che la nostra sia morta di polmonite – E’ come se il momento del passaggio tra la vita e la morte di alcune persone possa rimanere immortalata, simile a un cristallo di tempo sospeso nell’aria e quell’ultima scena si perpetui invisibile –  Questo mi è sembrato di cogliere spesso sul viso dei morenti e questo ho di nuovo colto in quell’angolo del cimitero di Campo Verano guardando la foto di E.V.

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All’hospice

Scritto da slowlyslowly il 24 Giugno, 2013
poesie / 1 Commento

 

gp-mano-aggrappata2

 

E’ come se i gesti

avessero un modo diverso
un valore diverso
come se anzi
qui acquisissero un valore
che altrove
non hanno più
o non hanno mai avuto –
gesti di mani
di occhi
di mente –
gesti
che qui hanno un peso
perché nulla qui è per caso

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Vincenzo

Scritto da TripToFun il 19 Giugno, 2013
cronache / 4 Commenti

foto di MC

foto di MC

Oggi è l’ultimo giorno del primo tirocinio, tempo di bilanci. Ho visitato quotidianamente un totale di 27 pazienti, alcuni per qualche giorno appena, altri per più di un mese. Due sono morti, stessa patologia, stessa età, stesso letto, stessa settimana. Non è come nei film, dove la gente ha sempre la risposta pronta.

 

E’ un caso di sfiga clamoroso, a luglio il paziente vomita sangue, fanno gli accertamenti, ha la cirrosi HBV+ con ipertensione portale ed epatocarcinoma all’ultimo stadio. A metà ottobre càpita nel nostro reparto.

“Non c’è nessuna speranza” dice la nostra tutor.

“ma parla, sta bene! ” a noi sembra impossibile.

“Non arriva al week end.”  “Ma lui lo sa?”

La risposta ci arriva da sola.

Quattro studenti che giocano a fare il dottore da due settimane, appena lasciati soli in stanza con un malato terminale che a quanto pare sta benissimo. Si lamenta della disorganizzazione del reparto, magnifica i termometri del pronto soccorso, poi d’improvviso cambia argomento

“Ma voi che siete così giovani… quanti anni avete?”

“ventuno, ventidue…”

“Chi ve lo fa fare di stare in un posto di sofferenza così? Parlare con gente che oggi c’è, domani chissà… ci avete pensato? Vi sentite pronti?”

La mia compagna fa cenno di no con la testa perché già le viene da piangere

“Io non riuscirei a tornare a casa e dimenticare, a separare le cose, non ci sono mai riuscito, se avevo qualcosa in sospeso continuavo a pensarci finchè non era risolto”.

Che lavoro fa?

“Facevo” – sottolinea lui con aria triste

“Facevo una cosa completamente diversa e molto meno importante. Il contabile”.

Ma serve anche quello

“Certo serve” – alzata di spalle, seguita da lunga pausa.

“Io sarei pronto ad andarmene anche adesso, tanto ormai…”

A questo punto nelle serie televisive sui medici c’è sempre il dottore di turno Carter, JD, Chase o chicchessia che dice qualcosa tipo “non importa quello che si è fatto se lasciamo qualcosa di bello e viviamo quel che resta”

Il problema è che nella vita reale ti dici “Che ne so di quest’uomo? Che ne so se ha avuto una vita felice, se ha una moglie, dei figli, degli amici… Come posso fare il dottorino ventenne delle serie televisive?”

Così non gli ho detto la frase del copione né quel giorno né i successivi.

Il lunedì non rispondeva più.

Forse a qualcuno tocca sempre insegnare questa lezione ai futuri dottori e per noi quattro sei stato tu.

Ciao Vincenzo.

 

 

 

TripToFun

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Viaggio al termine degli armadietti

Scritto da massimolegnani il 12 Giugno, 2013
emozioni / 1 Commento
Foto di MV

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È questo il posto giusto per osservare il mondo, tu che mi chiedevi come. Siediti qua nella penombra mentre mi cambio e osserva la schiera di questi scheletri metallici. Guardali con l’occhio del generale che prima della battaglia ripassa i volti e i nomi dei soldati e per un breve brivido è sincero, sa che tra poco per la metà saranno morti.

Qui nessuno muore ma qualcuno ci lascia l’anima lo stesso, che se la toglie con la giacca quando entra, pensa che è meglio non sciuparla per lavoro. Altri al contrario l’appendono alla gruccia a fine turno, che fuori è nebbia e solo qui per loro è vita. E sono pochi, sai, quei pochi che l’anima ce l’hanno addosso sempre come una maglia della salute logora per l’uso, che non si leva e non si lava, perchè si corre sempre su quel filo, il filo teso da un punto all’altro che si inizia e si finisce.

Che poi è difficile da dire, anima, io non li conosco quei ventungrammi fatti di niente. Ecco, preferisco i ventungrammi della chiave appesa all’armadietto, quelli li soppeso e già mi sanno dire. Guarda, solo pochi stipetti hanno la chiave, alla maggior parte manca, parete liscia, fredda, inespugnabile, che se la portano via, anche solo per pisciare; entrano si cambiano e mettono tutto sotto chiave, anche quando vanno a casa e lì dentro resta solo una divisa sporca, ma loro chiudono, sigillano, che la proprietà gli è di conforto. Io adoro quelle quattro chiavi che pendono serene, che aiutano ad aprire, mi aiutano a capire, mai a chiudere e precludere, e non li toccherò quegli armadietti ma mi piace che loro stiano lì come donne oneste che non temono lo sguardo e nemmeno la carezza.

E non è un caso che quelli con la chiave siano gli armadietti delle persone con cui lavoro meglio, il gruppo solidale, lo zoccolo d’intesa, uomini e donne di profilo basso e cuore schietto che e’ un piacere starci a fianco. Anche ora che a fine turno ho una stanchezza che mi esce dalle tasche, mi attardo in questo luogo per me sacro e indugio un po’ a guardarmeli. Non vedo scheletri metallici, ma corpi e voci e nomi che confortano.

massimolegnani

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