pediatria d’urgenza

Dodici ore

Posted by Badev on gennaio 23, 2015
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foto di BDV

foto di BDV

  Il mio Natale è questa notte di guardia che è giunta al termine più vera di tante altre. E’ il mio collega che dall’altro ambulatorio mi chiede, per favore, B, questo bambino, lo visiti anche tu? E lo so che tu non sbagli, che toccandogli la pancia troverò anch’io ciò che non vorrei trovare e sto quasi per dirti che si vede già a occhio nudo, lì, a sinistra, figuriamoci sotto le dita.

Incrociamo uno sguardo di madre così devastato dalla preoccupazione (come invocasse cautela dalle parole che stanno per essere dette), che ci toglie quell’impeto di pronunciarci a tutti i costi, anzi, ci fa rimanere silenziosi, ci fa diventare per un momento anche noi madre e padre di uno sui dieci anni, un po’ svogliato a scuola, ma simpatico da morire, con il labbro leporino che gli distorce un po’ i sorrisi, che peraltro non risparmia a nessuno.

Mentre gli fai l’ecografia i suoi occhi a mandorla ci rivelano un lungo viaggio tra due culture, attraversato da poco, verso un presente di serenità probabilmente troppo fragile: le fiammelle del color-doppler nell’immagine si muovono in una danza che avremmo preferito non vedere. Ci guardiamo tutti insieme e uno per uno. Mi scopro annuire a domande che non sono state poste, se non con un breve cenno degli occhi. E adesso non vi lasciamo soli, non ora che è indispensabile diventare spalla, orecchio, mano tesa: il pensiero è per voi genitori appena sbarcati su un continente ignoto, dove si parla una lingua diversa, si conta in millilitri, si misurano i giorni in buoni e ostili, in ore fuori e dentro l’ospedale, chissà per quanto tempo.

Il mio vero Natale d’amore siamo tutti noi qui che ti guardiamo, ben oltre il termine del nostro turno di guardia, da dietro i vetri della Radiologia, mentre ti sdrai nella TAC e dici “mamma, ma è una macchina fotografica enorme questa roba qui! Davvero ci posso entrare?”.

Badev

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Rebus

Posted by Badev on novembre 29, 2013
emozioni / 3 Commenti
Foto di BDV

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Contro il panorama della collina stavi fermo fermo, con il tuo segreto zitto tra le labbra.
Io non voglio scrivere di te, che sei solo da proteggere, da avvolgere in una carta velina azzurra, voglio scrivere di me, di noi che restiamo qui al posto tuo. Di noi che chissà che cosa ci aspettiamo da una fiala di adrenalina certe volte. Alle nove, abbiamo infilato il cappotto sopra la lisca che restava di noi stessi e ce ne siamo andati a casa curvi, scuotendo solo la testa, come resti di pesci mangiati e buttati in pattumiera.
Che dirti, bambino, se non che ora hai la chiave del rebus che a noi manca, noi che usiamo l’indicativo presente, ma siamo al buio e ancora in piena battaglia navale, noi fuori dal ventre della balena che non sappiamo esattamente a chi o a che cosa ti abbiamo restituito.
Sono rimasta un po’ con te, sbriciolata da domande, ben aggrappata alla scaletta di quella piscina in cui non saremo mai pronti per scendere, un luogo senza respiri, senza sillabe, senza un movimento della bocca per assaggiare queste buone fragole di aprile.
Ti ho guardato come si guarda una fiammella che si increspa al vento, ti ho osservato mentre approdavi, così bello e immobile, a una silenziosa riva di arrivederci.

Badev

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