Archive for agosto, 2009

una notte in terapia intensiva neonatale

Posted by the intensivist on agosto 28, 2009
cronache / 16 Commenti

Sono le 2.30 di notte di venerdì sera… mi aspetta davanti tutto un week-end impegnato in ospedale, tra notte, reperibilità e 12 ore di domenica. Che palle!! Ho appena finito di controllare i dati di ventilazione dei sei neonati ricoverati in terapia intensiva. Ce ne sono altri 15 fuori in post-TIN e nei box esterni. Il suono del cicalino… Che palle!! “E’ il neonatologo di guardia?” “Si sono io dica”. “Tra 5 minuti portiamo la 303, la donna gestosica con iposviluppo alla 24 settimana, in sala cesarei, perché ha avuto una crisi ipertensiva” “Va bene, mi organizzo con le ragazze per portare la culla e arrivo”. Ma porca miseria… ma proprio a quest’ora devono fare un cesareo? E poi dove lo metto… chi lo dice a quelle rompi… delle infermiere? Ho un posto solo libero in TIN e domani mi nasce la gemellare alla 33 settimana, cavoli loro, di quelli che ci sono domani, io stasera questo lo devo ricoverare. “Ragazze, è la sala parto: nasce l’iposviluppo alla 24ma il solito catorcio chi viene giù con me e porta la termoculla?” “Dottore non abbiamo 4 mani. Dà lei da mangiare alle altre jene? Cominci a scendere giù e arriviamo”. “OK, io mi porto giù la culla e anche il surfattante”.(Sì, ma che palle!!)
Il solito ascensore che non arriva mai, scendo a piedi, faccio prima.
Con gesto veloce digito 1-2-3-4 e poi cancelletto, si apre la porta della zona parto, passo davanti all’isola neonatale, controllo velocemente che tutto sia in ordine: Neo-Puff, ventilatore, laringoscopio, cateteri,etc.
Indosso, camminando, mascherina, cappello, guanti sterili e con il gomito premo sul tasto rosso della porta scorrevole della sala cesarei. “Buonasera… tirato giù dal letto dottore ?” “NO, no, stavo ancora controllando i catorcetti che ci date sempre e che sono in TIN”. Il ginecologo di guardia, freme con in mano la pinza che ogni tanto usa, pizzicando la pancia della gravida, per verificare se ha preso o meno la spinale. “Sente la pizzicata, signora?” “Si, dottore”. L’anestesista interviene “Ancora un attimo Andrea, la spinale l’ho fatta da meno di 5 minuti”. “Signora, sente il pizzicotto?” “No”. “OK si parte , bisturi…” Passano 3 minuti e Andrea è già sull’utero, divarica i retti addominali, batuffolo, con la forbice rompe il sacco, liquido limpido (meno male); eccolo. E’ podalico, ha il pisello (che sfiga prematuro e anche maschio!), peserà 6-7etti; a testa in giù aspirazione delle prime vie aeree, poi tra le braccia avvolte dal lenzuolino blu sterile della puericultrice e poi giù sull’infant warmer.
“Asciugalo, passami la mascherina”. Gli faccio fare una sustained inflation, come vuole quel rompi… del primario (si incav… se poi non lo faccio); oh però funziona! E si perché dal saturimetro annoto che la frequenza è 120/bpm anche se la saturazione è solo 65-70%. Ma chi se ne frega, Colin Morley, (dice il direttore), ha visto che ci vogliono almeno 5 o 10 (non ricordo bene) minuti per raggiungere la saturazione ottimale (oltre 90 o 95% che ne so, qui continuano a cambiare i valori in letteratura). L’importante è che la frequenza sia buona: “Ce lo hanno insegnato gli anestesisti”, continua a predicare il direttore. Va bene così. E dai respira, rompino di un bambino, prova a piangere, ma è un gemito. “Lo intubi ?” il solito rompiballe dell’anestesista con il fiato sul collo che gli ficcherebbe giù il tubo tracheale sempre. “Si, adesso, se non si riprende con la seconda sustained”. “Che cos’è la sustained?”, mi dice l’anestesista tirocinante che non sa un cav… ma che si deve impicciare di tutto. Non gli rispondo neanche, prendo il laringoscopio “Aspirate che non si vede un cavolo ha la glottide alta (ma è sempre così alta la glottide davvero o sono io che non sono capace a incubare? ma non potevo intubarlo in TIN con le mie ragazze?). Oh finalmente arriva dalla patologia, la mia infermiera, anche perché finalmente l’ho intubato, ma mi stavano dando un cerotto per fare il baffo sul labbro che sembrava una cintura per pantaloni. “Va bene, dottore la mandata del NeoPuff passa sia a destra che a sinistra, e satura bene 86% con la frequenza a 130/bpm” “Come sta?” Mi chiede Giorgio il ginecologo; “Ce la fa?” “Ma come cav… posso saperlo ADESSO? Chi sono il Padre Eterno?” “Per ora è discreto, adesso gli faccio il surfattante, poi lo incannulo su in TIN, e tra un’ora ci risentiamo”. Mi giro dalla parte della porta a vetri che dà nell’anticamera della sala cesarei: faccio un segno di OK con il pollice e indice al padre; quindi con l’indice che rulla nell’aria, gli faccio capire che ci sentiamo dopo, su al 5° piano.
Sospingiamo la culla da trasporto verso l’ascensore, sempre ventilando a mano il 24 settimane che adesso è un po’ più bellino di prima e che si muove come una rana.
Arriviamo in TIN sono le 3.15, lo mettiamo in culla, lo pesiamo: 650 gr, un altro ranocchio, lo attacchiamo al ventilatore: 60 atti, in SIPPV+VG (come vuole il direttore, che con la sua voce mi risuona nelle orecchie: ah sì, il Vt a 7 ml/Kg, “per lo spazio morto”. Che palle anche lui. “Mi raccomando fate il reclutamento, al limite se potete mettetevi in due, chiamando il reperibile, tanto ve ne capitano solo due o tre nell’anno di notte di neonati veramente prematuri: uno incannula i vasi ombelicali, l’altro recluta il polmone”. Ma a casa, si calmerà almeno un po’, o fa così anche con moglie e figli? capisco perché poi è sempre nervoso. Provo ad incannulare anche l’arteria: ma io non sono capace, ci rinuncio gli prendo solo la vena ombelicale: “Misurate la distanza spalla ombelico”, dice il primario, me lo sento fischiare nelle orecchie; oh mer… l’ho dimenticato, ma va bene vado su con il catetere, 3 F, finchè con la siringa non verifico che va bene sia in aspirazione che in infusione. Ore 3.55: prima emogas: ph 7.23, PCO2 35 PO2 85 (ma è arteria o vena, o sono troppo alto con il catetere? La famosa misurazione spalla-ombelico forse serviva! Vabbè, dopo la lastra del torace lo tiro giù il catetere. “Dottore, Laura è in bradicardia, è la terza apnea cha ha in due ore. Rimette finalmente le N-CPAP?” “Aspetta, dalle un attimo, fammi controllare quanto fa di caffeina? Non è che per caso ha rigurgitato prima?” “Dottore, Marco ha perso la vena periferica. E’ la terza che perde oggi. E’ massacrato nelle braccia e gambe; ma gli mette una vena centrale vero?” “Se aspettate un attimo. E poi non c’è Laura che prova magari a mettergli una periferica nella safena, lei è brava no? Se non ci riesce lei allora provo io a mettergli un centrale” Ore 4.10 chiamo il reperibile della radiologia per la lastra del torace e posizionamento CVO. Naturalmente è reperibile e mi ha detto che prima di 45 muniti non arriva, perché c’è traffico oggi e abita fuori Milano. Ma che cavolo di reperibilità è? Mando le provette dei prelievi giù in laboratorio con il bussolotto della posta pneumatica per gli esami; l’ho portati io perché le ragazze sono impegnate. Già che ci sono vado anche a ritirare il plasma che per telefono han detto che è pronto per Silvia; ma allora potevo anche portarle a mano le provette. Amen!! Le provette son già partite.
Ore 4.55: arriva il tecnico di radiologia “T’ho chiamato da più di mezz’ora!!” “Lo sai che abito fuori Milano e non ci posso fare niente”. “Dottore, s’è stubato Filippo. Piange!” Merda secca. Lo reintubo senza grosse difficoltà. E’ chiaro qui in reparto è più facile. Lo rimetto in SIPPV+VG e torno sull’ultimo arrivato. Fatta la lastra, guardo l’immagine al computer: un polmone di m… 6-7 spazi, RDS di 3°-4° stadio, e il surfattante l’ho già fatto, ma dove cav… è finito? Il primario dice però che se satura bene e ha bisogno solo del 25%, l’FRC è fatta e quindi non devo guardare la lastra, e posso fare anche il gradiente arterioso/alveolare per verificarlo, bla, bla, bla.
Ore 5.20, il cicalino: “Dottore in sala parto, nella margherita, una ventosa”. Che palle, giù di corsa sempre per le scale: mi ha detto nella margherita o girasole? beh, chiedo quando arrivo giù. 1-2-3-4 cancelletto, entro.
Entro nella margherita era giusta l’indicazione, il rompino è già nato, urla, sta benissimo. “S’è fermato allo scavo pelvico, ma sta bene” dice la ginecologa di guardia. E allora perché hai fatto la ventosa mi viene da pensare?
Torno in reparto sono le 5.30, comincia a spuntare un pò di luce fuori dalla finestra, la notte è un po’ meno ovattata e dall’alto del 5° piano vedo l’alba dietro il campanile e sullo sfondo, tra le nuvole, un aereo decolla da Linate. Qualche taxi sulla strada e i camion della nettezza urbana. Cominciano a circolare anche i primi lavoratori, quello del primo turno… a proposito, anche il mio cambio prima o poi arriverà, verso le 8 o poco dopo. Poco dopo, speriamo, sono proprio stanco. “Dottore, Federica, ha 2 cc di RG biliare, che faccio? Ha anche un panciotto con tutte le anse disegnate”. “OK sospenda il pasto e poi vediamo cosa fare tra tre ore”. “Dottore, Mario, ha avuto due apnee mentre lei era giù per la ventosa, ho messo due litri di ossigeno, se no non saturava più di 90%”. Ma non hanno ancora capito che non serve a niente l’ossigeno per le apnee? “Va bene, lo lasci in ossigeno, però lo concentri e non lasci il bocchettone, altrimenti ce lo troviamo al 100% di saturazione e gli viene la ROP”. “E sì e noi invece a forza di farlo desaturare, lo facciamo diventare scemo. O sta qui lei dottore a controllarlo che non desaturi, mentre noi ci preoccupiamo degli altri 20 o gli lascio il bocchettone, fisso”. Mah, c’hanno anche ragione loro. Arriva il papà della 24ma: è agitato, la moglie lo ha chiamato di corsa da casa, è il primo figlio, tanto atteso, ha le lacrime agli occhi; entrando in TIN, si sbaglia e si ferma prima davanti alla culla di un altro in ventilazione meccanica: sono tutti uguali, eppure così diversi tra di loro. “Come stà? Tutto bene? Ha tutto?” Ma come posso, spiegargli tutto stanotte? Lo invito a toccare il figlio con le mani, ma lui ha paura e dopo 5 minuti, e dopo la firma dei 350 consensi richiesti sulla cartella clinica (“La cartella è tutta a posto?” Il solito direttore),scende dalla moglie, a rassicurala. Di che, non si sa, siamo solo all’inizio, di un’avventura che durerà almeno 3-5 mesi. Se vivrà poi…
Ore 6.30, provo ad andare in camera e mi sbatto sulla sdraio; il direttore mi aveva detto che lui quando faceva le notti, lavorava al computer in TIN e tra una visita e l’altra scriveva gli articoli. Mah! Ma si rende conto di notte il casino che c’è qua? Ventose, flebo, cesarei. “Dottore la 24 settimane, desatura, e l’allarme del VG suona, Vt basso. O controlla il respiratore o si mette lei qui davanti a struccar il buttun”. “E’ sceso un po’ il tubo, ecco perché desatura: fissatelo meglio con il cerotto, di 0.5 cm più in su; era anche girata la testa, ora passa meglio e satura meglio”. Sono le 7.30, vado stancamente a darmi una sciacquata alla faccia: sembra che mi abbiano dato due cazzotti in faccia, ho due occhi con delle borse sotto che. Faccio pipì, me ne ero dimenticato e la vescica cominciava a dare i segni di irrequietezza. Sono le 8.07 arriva Luigi, a darmi il cambio “Ciao, come andata?” “Non ho chiuso occhio, neanche un minuto”. Suona il cicalino. “Dallo a me, dai”. Non vedevo l’ora. E’ finita, ma domani per 12 ore si ricomincia. Sono stanco, ma… E’ la vita.

the intensivist

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ombre

Posted by il forestiero on agosto 19, 2009
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Sono le 3.45 di un freddo autunno, il più freddo che io ricordi ma non è solo una questione atmosferica.

Un lampeggiatore blu si ferma davanti alle porte scorrevoli del pronto soccorso, due ambulanzieri entrano stancamente e sbarellano un corpo davanti al triage. “Dove lo mettiamo?” – chiede il più anziano dei due – “chi è?” – risponde una voce altrettanto assonnata dall’altra parte del vetro – “Boh, era addormentato su una panchina nel parco vicino ad una bottiglia vuota ed un carrello della spesa stracolmo di cianfrusaglie, credo sia la sua casa; noi, sulla nostra scheda, lo abbiamo segnato come Sconosciuto”. “Mettetelo li” – continua l’assonnata voce – “smaltirà la sbronza, poi domani… vedremo”.

 Sconosciuto? Il solo fatto che noi ignoriamo l’identità di una persona, la sua storia, il suo passato, non ci autorizza a cancellarne l’identità ed a crearne una temporanea dal nome “Sconosciuto” e che domani servirà per qualcun’altro. Non sarebbe meglio chiamarlo “Panchina Parco”? almeno avrebbe un nome e un cognome che ne racconta la storia, perlomeno quella più recente.

Quel corpo adagiato goffamente davanti al triage c’e l’ ha un’identità, l’ha solo dimenticata o, forse, non la vuole più rivelare. Si chiama Antonio, ha 60 anni, una casa, una famiglia, o per lo meno li aveva, una moglie, una figlia, un lavoro. 12 anni fa ha perso il lavoro, e da li a poco la moglie e la casa, la figlia chissà; al loro posto ha preso una bottiglia per compagna e un parco per casa con una panchina per letto. Da allora Antonio si aggira tra il parco nei periodi più caldi e la stazione in quelli più freddi. Da allora Antonio, con tutta la sua storia, è stato avvolto da un’ombra scura, resa ancora più fredda ed impenetrabile dall’indifferenza della gente. Da allora Antonio ha smesso di essere Antonio e per tutti è diventato una delle tante ombre che all’imbrunire popolano le nostre città e, con il sorgere del sole tendono ad accorciarsi senza mai svanire totalmente ma che, ogni sera, riprendono a sopravvivere in fredde città popolate da gente come noi che, al calar del sole, si ritira negli affetti dei propri cari e di giorno può far finta di non accorgersi di quelle tenui ombre come se non esistessero. Da allora Antonio, come tutte le altre ombre, lotta – o forse non lotta neanche più – contro la fame, il freddo, le malattie, l’ignoranza e la fredda indifferenza della gente.

Ore 5.30. Il pronto soccorso è ormai quasi deserto, le persone, quelle con un nome e un cognome, che hanno cercato aiuto in questo rifugio sono state tutte schedate, visitate e, in qualche modo, sistemate.

“Dottore, ce ne sarebbe ancora uno” – dice la voce sorseggiando un caffè ristoratore e, ormai, non più tanto assonnata.

Antonio non si sveglia, respira affannosamente ed ha la febbre alta quando viene accompagnato in radiologia dove una radiografia del torace non può che confermare una polmonite estesa a tutti e due i polmoni – del resto è difficile combattere contro la polmonite quando non si mangia per giorni e si dorme in luoghi freddi ed umidi (anche perché una stupida ordinanza ha chiuso le stazioni durante le lunghe e fredde notti invernali in nome di un presunto decoro e discutibili norme igieniche).

Da li a poco Antonio smette di respirare e silenziosamente, come entrato, senza disturbare nessuno, se ne va.

 “E’ morto?” – chiede l’ormai non più assonnata voce – “Si” – risponde il medico – “ma come si chiamava? – continua – “Non aveva un nome…” – risponde la voce cominciando però a capire che non poteva essere così – “allora metterò Sconosciuto!” – conclude il medico – “No!” – tuona la voce – “Lui era Antonio, o Franco, o Giovanni,  o semplicemente Ombra … lui era tutti noi ma non era Sconosciuto!”

Buonanotte Antonio, ora riposa tranquillo lassù, a te auguro che la scura e fredda ombra con cui ti abbiamo avvolto svanisca e si illumini di mille colori che ti guidino nella tua nuova vita.

Buonanotte Franco, o Giovanni, od Ombre a voi auguro che, se proprio dovrete incontrarci, sia solo per essere avvolti di mille luci colorate che possano riscaldarvi e sfamarvi nel freddo mondo che vi circonda. Buona notte amici miei, a tutti noi auguro che la nostra fredda indifferenza non finisca per avvolgerci e trasformarci in fredde e scure ombre.

il forestiero

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il miracolo della vita

Posted by sognatore on agosto 10, 2009
testimonianze / 2 Commenti

Per me, studente infermiere al terzo anno e ormai prossimo alla laurea, era il primo giorno in un reparto di ostreticia. Un mondo nuovo, carico della gioia di teneri pianti felici, di genitori emozionati e cuccioli d’uomo che vedevano la luce per la prima volta. Era strano. Per me abituato al dolore e alla morte dei miei pazienti, ritrovarmi in quel posto.
“Andiamo” mi disse l’infermiera di quel giorno “c’è un parto”. E così la seguii come un cucciolo impaurito.
Era la prima volta che assistevo al miracolo della vita, che vedevo nascere una bellissima e sanissima bambina, che sentivo i suoi pianti e vedevo le lacrime di gioia dei neogenitori.
“Sognatore” disse l’infermiera mentre mi porgeva la bimba “tocca a te farle il bagnetto”. E così feci, con quel prezioso fagotto che mi sembrava più prezioso del tesoro dei setti mari, delicato come un calice di cristallo.
Lavo la piccola, le medico il cordone e faccio la profilassi con vitamina K e collirio, faccio gli auguri ai genitori ed esco dalla sala parto. Tremo, non riesco a smettere, sono emozionato. Eppure ormai avevo sviluppato un bel sangue freddo… avevo visto persone aperte come polli nelle sale operatorie, politraumatizzati, ustionati e morti nel pronto soccorso, ma era la prima volta che assistevo di persona a quel miracolo.
Mi metto nella mia stanza, parlo con l’infermiera per un pò. Lei esce un attimo e torna con la piccola nata poco prima
“Sognatore, la mamma è a fare la visita dal ginecologo, guarda la piccola per un’pò io vado dalla capo sala”
Un attimo di panico, io e lei da soli. La guardo nella sua culla, si sveglia e comincia a piangere.
La prendo in braccio, comincio a canticchiare un paio di vecchie canzoni d’amore. La piccola si calma mi sembra quasi di vedere un sorriso abbozzato sulle sue piccole labbra. Sento gli occhi lucidi, a stento riesco a trattenere una lacrima di commozione.
La mamma entra mi vede, mi immagino la scena: un ragazzone di un metro e ottantacinque, taglia 56 di spalle con quell’esserino di due chili e mezzo in braccio. Lei ride
“Sognatore, sei stupendo” mi dice.
Io non rispondo, abbasso lo sguardo e sorrido imbarazzato mentre rimetto la piccola nella culla e la riaffido alla cure della madre.
Sono le otto e mezzo, il mio turno è finito.
La strada è deserta ed il cielo terso e pieno di stelle, mi fermo un attimo a guardarle e le prego di sorridere sempre alla mia piccola assistita.
“Ciao principessa” sussuro “benvenuta in questo mondo”
Mi sento felice, bene come non mi sentivo da tempo ormai. Salgo in macchina e vado a casa, con la consapevolezza che, dentro di me, qualcosa era cambiato e quel perenne senso di solitudine mi aveva, per adesso, abbandonato.

sognatore

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la maschera

Posted by Cajus on agosto 01, 2009
pensieri / 1 Commento

Quanti anni sono che metto la maschera!
La metto spesso quando cerco nella mia borsa da medico la salute degli altri.
Si, la stessa borsa di vent’anni fa, con lo stesso stetoscopio, lo stesso sfingomanometro dalla pompetta sfiatata, le stesse scatole miracolose, che se non hanno mai ammazzato nessuno, nemmeno l’hanno guarito. Mi hanno svegliato di notte, una persona anziana: venga dottore, mia moglie sta male. Come dire di no ad un vecchio! Venga dottore abito qua vicino, di fronte. Perché chiedere di cosa soffre la moglie? La soluzione al suo malessere non è nella borsa, sta nel fatto che è vicina e non si può dire di no: serve la maschera!

Mi hanno chiamato di giorno. Corra dottore mio padre sta morendo. Corri e mantieni la calma. Ansimi, perché non sei più giovane. Arrivi e le facce sconvolte dei parenti non penetrano i tuoi occhi sfuggenti. Sta morendo di emorragia cerebrale; pace all’anima sua. La borsa non serve, serve la maschera!

Nella casa di Paolo è nato un bimbo. E’ stato cinque giorni in neonatologia e ha fatto tutti gli screening possibili. Devo andare, non posso esimermi dall’andare, ma la borsa la devo portare? Ci penso un attimo: la porto, altrimenti non sono più io. E’ un neonato prepotente, dalla fame incoercibile e dagli occhi che sprizzano salute.
Mi raccontano l’interminabile parto, l’orribile ospedale, le prime notti insonni, mi fanno vedere il colore della cacca, il sederino arrossato, la culla… La loro vita è cambiata. La mia no. A che serve la borsa? Ho la maschera ed è quanto basta.

La strada di campagna dove mi hanno chiamato. Un riccio sbudellato nel mezzo. Ancora una volta ha commesso l’errore di appallottolarsi di fronte ad un nemico che non si ferma davanti ai piccoli aculei. Il povero riccio fa quello che sa fare, che fa da millenni. Non sa, non può sapere, non può fare diversamente.

Continuo ad arricciarmi e continuo a morire. Serve la borsa? No…! La maschera!

Cajus

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