Trovarsi al posto giusto al momento giusto

Scritto da Icy24 il 17 Dicembre, 2012
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foto di DB

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Ieri sera mentre giravo per un noto e GRANDE centro commerciale di Roma mi sono ritrovato a passare dal ridere e scherzare con la mia ragazza e gli amici, a sudare freddo e ad assaggiare la paura vera… e dire che a questo giro ho avuto paura, ad esser sinceri, è dire poco…

Sono alcuni anni – anni che non conto più – che la sera, dopo il lavoro, spesso indosso una divisa blu con una grande croce sulle spalle e salgo su un furgoncino con tante luci e sirena. Sono sono un soccorritore volontario… che a guardarsi dentro, tra incidenti e calamità naturali, qualcosina ha visto e vissuto… ma per quanta esperienza tu possa avere c’è sempre una tipologia di soccorso che TERRORIZZA qualsiasi soccorritore: i bambini…

Ieri sera è stata una cosa istantanea.. istintiva… improvvisa. Guardavo le vetrine scherzando con la mia compagna ed amici, in mezzo a tantissima gente, quando ho sentito una donna, una mamma, urlare.

Mi son voltato e ho visto la madre inginocchiata a terra per terra con le mani tra i capelli e il padre, completamente bloccato dal panico, con un frugoletto di forse un paio d’anni se non meno in braccio svenuto o quasi con le labbra blu e in completa assenza di un respiro efficace…

…C… !

Mi è sembrato che il tempo rallentasse fino quasi a fermarsi… ho vissuto tutto come se visto da fuori… lo staccarmi dall’abbraccio della mia ragazza, il correre più forte che potessi dal padre, chiedergli di darmi il bambino e poi, vedendo che non era in sè, toglierglielo delicatamente dalle braccia dalle braccia per praticargli la manovra di disostruzione pediatrica Heimlich una, due volte, forse tre e prepararsi mentalmente a cominciare il PBLS… e poi, in un meraviglioso istante, sentiro tossire e poi piangere e strillare come un aquila… vedere quel visetto e quelle labbra tornare rosa… restituire il bimbo al padre che era fermo nella stessa posizione di pochi attimi prima… completamente in trance… e poi, finalmente, dopo lunghi, lunghissimi, minuti, rendermi conto anche io di quello ch’era appena successo…

Non ero io… non ero l’io cosciente… e quando i monitori e colleghi anziani di croce rossa mi ripetevano sempre (e come io spesso ripeto alle matricole a cui sto insegnando) “continua ad addestrarti… quando sarà il momento agirai quasi inconsapevolmente… il panico ti blocca quando l’istinto non sa che fare…”… ecco… ora so a cosa si riferivano…

È da ieri sera che ci penso e ripenso… come penso al fatto che sia assurdo e inacettabile che una struttura del genere non ci sia un medico o una squadra di soccorritori pronta a intervenire… l’ambulanza è arrivata in trenta minuti e solo perchè doveva intervenire su un’altro caso, qui nessuno aveva fatto in tempo, tutti bloccati in stato di shock… quel bimbo, il piccolo Simone (nome di fantasia), stamattina, poteva non esserci più… o riportare danni cerebrali permanenti per ipossia…

Ringrazio i miei istruttori di croce rossa per avermi dato gli strumenti per intervenire, ringrazio la costanza e il tempo “sacrificato”, anzi, investito per tenermi aggiornato e allenato e il fato che ha fatto sì che succedesse a pochi passi da un soccorritore che si trovava lì per caso…

Oggi più di ieri vorrei tanto che ogni mamma o neomamma frequentasse uno “stupido” corso di disostruzione pediatrica delle vie aeree di appena tre ore per SAPERE cosa fare in questi casi… ma no… si pensa che tanto succederà sempre a qualcun’altro…

Si, ho avuto paura… e tanta… ma ero lì con la possibilità di fare qualcosa, di fare la differenza… e questo ripaga ogni singolo istante speso e sudato con quella divisa blu e la grande croce rossa addosso…

Icy24

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Visione verde

Scritto da slowlyslowly il 14 Dicembre, 2012
poesie / 2 Commenti
foto di MV

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C’è musica
e cibo
un vero buffet,
c’è una festa oggi
qui all’Hospice –
nella sua stanza l’uomo la ignora,
è tutto preso dalla sua visione verde –
” ci provo”, dice –
c’è il verde nella tela
e penso sia il verde
di questa primavera
piena di pioggia a sole –
non vuole i pasticcini
non vuole il thè
vuole la sua visione verde,
così la fa

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Centodue o centoquattro

Scritto da Labile il 08 Dicembre, 2012
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foto di SC

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centodue o centoquattro…” mi dice, così di colpo, appena mi avvicino per sistemare le barelle  dell’attesa.

centodue o centoquattro …” mi ripete indicandomi con un dito puntato.

Non capisco e li per li penso “ Ecco, la solita …”. Invece afferro il suo sguardo interessato, guarda proprio  alla mia persona, a qualcosa di fisico che l’ha colpita da quando lei è qui e  si può dire ormai già da qualche ora, mentre se ne sta sdraiata su una delle barelle dell’attesa.

All’improvviso capisco e rispondo “centonove, sono centonove grani”.

Per lei il rosario tibetano che porto al collo, più per vezzo che per altro, la deve aver colpita fin da subito e questo le ha dato modo di rivolgermi la parola e di catturare, lei,  la mia attenzione.

Ora che la guardo meglio mi accorgo di non averla nemmeno notata nel trambusto generale che regna sempre in questo pronto soccorso e stranamente non ha colpito neanche l’altro collega che ha lavorato con lei.

Se ne sta sdraiata su una barella come una paolina borghese di periferia,  in jeans e maglietta ordinari,  una bella faccia in decadimento, resto di una bellezza giovanile nemmeno poi tanto lontana.

Da subito mi dice che la sua crisi d’ansia ormai sta scemando e che qui in pronto soccorso trova sempre un posto dove venire. Ci vuole solo restare qualche ora e passarci un po’ più di tempo anche se dimessa , la fa rimanere calma e così affrontare meglio le prossime giornate.

Intanto ha riconosciuto il rosario e mi dice che anche lei è molto interessata alla religione buddista perché le sembra l’unica che la lascia respirare.

Si dice proprio così “respirare quello che ad oggi le manca di più: il respiro”.

Mi racconta con parole precise di essere da un decennio fuggita da una brutta periferia romana e di essersi innamorata di una casetta con un pezzetto di terra qui in campagna.

Le è sembrato immediatamente il suo piccolo e grande paradiso e solo l’idea di essere tornata alla terra l’ha fatta   prestissimo sentire di star bene.

Mi racconta che era da tempo che non riusciva a prendere una decisione, andar via dalla città, dalla vita convulsa e disordinata,dagli orari stretti, ma più di ogni altra cosa dal senso di solitudine che nonostante l’affollamento di persone non riusciva adattraversare.

Invece la “campagna”, così come lei da definisce, la ha restituita in qualche modo a se stessa e ha di nuovo poggiato i piedi per terra.

Così con entusiasmo si è caricata del solito mutuo e della fatica di lavorare duro per poterlo pagare e così starci  dentro fino alla fine del mese, magari con difficoltà ma felice del suo piccolo e grande paradiso.

Tutto è filato liscio per più di dieci anni sentendosi quasi a metà del guado, finalmente felice della propria vita e della sua casetta finché,  mi racconta, la perdita del lavoro.

A raffica mi dice di aver perso il lavoro e di non riuscire più a pagare il mutuo, si la cassa integrazione, si il blocco annuale del pagamento, si la ricontrattazione del debito, una infinità di problemi che la hanno condotta qui su questa scomoda ma rassicurante barella, dove qualche goccia e le nostre chiacchiere la svuotano di quel senso di perdita infinita che non riesce più a contenere.

Allora smette di respirare, magari così la invade completamente la vertigine che la divora ogni giorno, quella che la conduce a vestirsi di abiti comprati  sui banchi dell’usato o a mangiare i cibi scadenti del discount.

Tutto così, tanto per stare ancora dentro la propria persona e non perdersi, mi dice,  in un orizzonte che non ha più luce.

È per questo che è qui, col suo senso di panico che anche in questo tardo pomeriggio trova apertura e voglia di parole, un po’ di più dei miei centonove grani di rosario.

Labile

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Ieri all’Hospice

Scritto da slowlyslowly il 06 Dicembre, 2012
poesie / 2 Commenti

foto di MV

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Solo all’Hospice

appena esco dall’ascensore

e vedo la nostra stanza

la tisaneria – salotto

entro senza neanche saperlo

nel Qui e Ora –

i tavoli da sistemare

sono solo tavoli da sistemare –

e la bella tovaglia fiorita

è solo la bella tovaglia fiorita –

e i bicchieri e i piatti

sono solo bicchieri e piatti –

e salutare infermieri e dottori

viene spontaneo

e senza altri pensieri –

qui il cielo fuori dalla finestra

è solo cielo

cose e persone

sono solo cose e persone

senza aggettivi – giudizi -opinioni

senza fretta, ansia –

porte chiuse ce n’è anche qui

ma gli occhi di ieri

erano finalmente uguali ai miei

forse perché erano

chiari come i miei

e fissavano come i miei

mentre ironizzavano sulla morte

i nostri occhi si sono fissati –

quei secondi in più

che di uno sguardo fanno un discorso –

è lo stupore che dobbiamo morire

e non c’è scampo.

slowlyslowly

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Solo di notte

Scritto da massimolegnani il 01 Dicembre, 2012
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Di giorno si balbetta, ma le parole nella notte si fanno tonde e calde, piccole pagnotte dal buon odore alle narici, pietre di fiume smussate all’acqua e tiepide di sole da tenere in mano e da sgranare come grani di rosario, bocce di ferro che rotolano precise sul liscio della terra dietro l’osteria fino a raggiungere il pallino.

Di notte le parole ci fanno tutti complici, amici solidali, quasi amanti per quanto sconosciuti. Siamo le talpe semicieche che trovano nel buio sorrisi e gesti dove non potevano sapere finchè c’era la luce a nascondere emozione.

Forse solo questo ho imparato in tanti anni di lavoro. Che la notte aiuta.

Nella penombra delle stanze ti è più facile essere sereno sedendoti sul bordo di un letto sfatto di paura. Guardi negli occhi gonfi che non vedi questa mamma che boccheggia sotto il macigno di una diagnosi. Lei tace accarezzando lenta il suo bambino che finalmente dorme, miniera inesaurita di dolore, tu usi silenzio e vicinanza, parli, poco, stai in ascolto anche se tutto apparentemente tace. E con questi due strumenti che possono sembrare miseri, poco più che due cucchiai di fronte a una montagna, scavi un cunicolo fino al cuore della donna, che almeno possa respirare. E col respiro il pianto che assecondi muto, perchè occorre dare il tempo giusto ad ogni lacrima, che lenta cada come sangue sporco di terra da una ferita aperta che non devi avere fretta di richiudere. E dopo parli in bisbiglio caldo, divaghi, infili qualche fesseria accettando il rischio di essere frainteso, e infine torni al sodo, che è quello il punto da smussare. Tu non sei giudice che possa fare sconti sulla pena, ma la pena la puoi dividere per due.

E solo quando ti sei fatto carico del peso altrui, azzardi di forzare la tristezza, ti fai caronte allegro, “di qui si esce più in fretta se le tornerà il sorriso, ginnastica di labbra e di cervello”. Lei forse capisce cosa intendi perché prima ti guarda stralunata poi abbozza una smorfia complice e bambina.

Nel buio amico escono altre mamme dalle stanze, ti stanano in ambulatorio o in cucina, sensi assonnati che fiutano e reclamano il conforto della voce prima ancora dell’aiuto di una cura. Chiedono, ascoltano in piedi in corridoio e per un poco le abbandona il freddo che si portavano dentro.

Così per qualche ora oscura e chiara diventi il Cristo minimo che allevia la comunanza del dolore e riaddormenta con le dita sulla fronte.

Poi torna la luce e con la luce i capi e i bravi e i belli, quelli con il sapere in tasca e le parole in bocca da utilizzare in giro per tenere le distanze e accrescere la gloria. “Notte tranquilla, nulla di nuovo” dici, che tanto a certa gente è inutile spiegare. Ma mentre te ne vai, vedi una mamma sul limitare della stanza che incomincia con te a tessere la tela di sorrisi e di fiducia, da non disfare nella notte.

massimolegnani

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La prova interiore

Scritto da slowlyslowly il 28 Novembre, 2012
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foto di MV

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Com’è guardarsi

negli occhi nella malattia?

Temere per lui/lei

trattenere la disperazione e il pianto

gioire del suo sorriso

che scaccia la morte nera

la fa per un attimo

bianca di luce –

voglio le prove

voglio dentro di me le prove

della nostra

prossima vita

slowlyslowly

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Cure me

Scritto da Raven il 25 Novembre, 2012
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foto di NC

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Sette mesi. Questo è il periodo del suo limbo, lì, immobile in quel letto pian piano sempre più grande per lei che si fa sempre più piccola via via col passare dei giorni.

Gli occhi, fino a qualche tempo prima dello stesso colore del cielo perdono la loro luce diventando mano a mano più vitrei e opachi.

Chissà quando eri giovane quanti uomini si perdevano dentro quell’azzurro?

Mi trovo a domandarmi, mentre le passo una graza imbevuta di soluzione fisiologica sulle orbite. Non ha nemmeno più il riflesso palpebrale già da qualche giorno. Di lei è rimasto solo un corpo che fa sempre più fatica a respirare, anche con la mascherina di ossigeno sparata a tutto volume.

Arranca, sibila, rantola…Della bella signora sempre sorridente tutto ciò che è rimasto è solo questo.

E una PEG.

E una piaga da decubito che peggiora nonostante le accurate medicazioni e gli spostamenti su un fianco o sull’altro. Ormai si vede bene l’osso del coccige da quella ferita sanguinante.

Chissà se senti ancora dolore quando ti mettiamo la iodoformica?

Mi ritrovo di nuovo a pensare. Vorrei che non sentisse più nulla, imprigionata in quel limbo, compreso il rumore della pompa attaccata al sondino nasogastrico, il fischio del concentratore di ossigeno che ogni tanto reclama attenzione, la vicina di letto che ignara di tutto urla che anche lei non sta mica tanto bene…

Vorrei che non si stesse accorgendo più di quanto accade intorno a lei.

Mi accorgo che le sono rispuntati i baffetti sotto al naso e le unghie continuano imperterrite a crescere: lo so, questo può essere il tuo ultimo giorno di agonia e non sarebbe corretto che tu ti presentassi così, con le unghie lunghe ed i peletti sul viso.

Prendo la salviettina con acqua e sapone ed un po’ di colonia e ti passo le mani, talmente gonfie dai liquidi infusi da non sapere più dove metterli.

La collega mi passa la forbicina per le unghie, mentre lei si occupa dei peli superflui.

C’è ancora una cosa che non mi piace:ha i capelli troppo lunghi. Guardo la collega,lei ha capito cosa ho intenzione di fare. Stamattina, strano ma vero, siamo riuscite a guadagnare un po’ di tempo in più, e sembra che gli altri pazienti non reclamino particolari problemi, oggi. Mi fa cenno di sì con la testa. Prendo un asciugmano e, come se stessi maneggiando la testolina di un neonato, con la stessa cura le appoggio l’asciugamano sul cuscino e passo a lavarle i capelli.

La collega con la stessa attenzione le tiene la testa mentre io le passo il pettine tra i fili bianchi e sforbicio dove per me sono troppo lunghi rispetto a tutti gli altri.

Mi accorgo che di lungo ha anche le sopracciglia: incredibile come i peli possano crescere a velocità sorpendente anche su un corpo in quello stato.

La collega mi guarda di nuovo:

“Hai fatto trenta…..”

“Non la lascio così!”

I suoi parenti fondamentalmente mi stanno antipatici. Non gli ho mai potuti vedere: pretenziosi, maleducati e soprattutto, di lei, della nostra signora nel limbo, se ne sono sempre più che fregati.

Della zia importa solo il testamento che le avevano fatto firmare quando ancora quelle mani si potevamo muovere ed impugnare una penna.

Non lo sto facendo per loro.

Prendo la pinzetta e con facilità strappo le sopracciglia. Poi insieme alla collega la riposizioniamo sul letto, le cambiamo le lenzuola, controlliamo i tubi che siano tutti al posto giusto e silenziosamente entrambe speriamo di non doverla più vedere arrancare per la vita il giorno dopo.

Un ultima occhiata prima di lasciare quella stanza: così sistemata sembra un pochino più serena in quel “sonno” senza fine.

“Chissà quando saremo noi al posto suo ci sarà qualcuno che come me e te oggi avrà la stessa cura…” Mi dice la collega.

Chi lo sa, di questa grande ruota che gira? Io non posso saperlo, ma di una cosa ero certa: il giorno dopo non l’avremmo più trovata a lottare nel limbo che sembrava infinito.

Raven

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Catene d’oro

Scritto da slowlyslowly il 22 Novembre, 2012
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foto di MV

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Ho letto poesie

in una casa ammalata

dove io

egoista

trovo la pace-

allora una giovane donna

ha letto anche lei poesie

su un nido vuoto-

e un’altra donna

ha cantato

parole di musica

sacra-

aiutaci o Signore

Dio, Gesù, Buddha-

qualunque nome

t’abbiano dato-

se uno Spirito Santo

ci guida e ci porta

fuori dall’Inferno

della paura,

aiutaci-

a preservare,

rendere durevoli

questi tre momenti

di pura gioia comune-

ad entrare nella foresta

della paura

e lì trovare,

come per caso,

la gioia.

slowlyslowly

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Destino beffardo

Scritto da zarianto il 17 Novembre, 2012
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foto di HA

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Quante volte accade, nel nostro amato/odiato mestiere di custodi notturni e festivi delle  vite altrui, di imbattersi in circostanze così singolari, da giustificare il sospetto dell’esistenza di un qualche regista occulto e bizzarro, alla direzione sapiente e divertita delle drammatiche e sofferte vicende umane?  Moltissime!  Ma tra tutte quelle possibili oggetti di narrazione, mai dimenticherò lo strano caso che mi accingo a raccontare, per la sequenza di coincidenze, pure assolutamente occasionale, occorsa a tutti i protagonisti.  E se non parlassimo, aihmè, di salute e malattia, di morte e sopravvivenza, che impongono la giusta dose di rispettosa serietà, forse verrebbe addirittura…da sorridere!

E’ la notte di San Sivestro di qualche anno fa.  Terminato il giro-pazienti medico e infermieristico di una rianimazione abbastanza tranquilla, onde attenuare la frustrazione di chi spesso è costretto a lavorare durante le festività, anche quelle più importanti e sentite, mentre gli altri, “i normali”, si danno alla pazza gioia, il personale del reparto dà luogo, con impaziente e superstiziosa rapidità furtiva, preventivamente anti-catastrofista, al brindisi – minimalista, austero e assai spartano, s’intenda – da tempo programmato, di saluto agli anni vecchio e nuovo, giacchè il regista occulto di cui sopra, apparentemente lo concede.  Apparentemente…appunto!

Per il cardiochirurgo di guardia è l’ultima notte di lavoro…in assoluto: il nuovo anno reca con sé una bella finestra provvidenziale, non solo previdenziale – l’ultima? – soprattutto quando gambe sinistrate, anziane e malferme escludono da tempo dalla sala operatoria: ci voleva proprio!

Il cardiologo reperibile sconta l’ultimo turno prima dell’agognato trasferimento verso un primariato prestigioso e si gode l’euforia di un doppio festeggiamento in compagnia degli amici.

L’anestesista di guardia non è sicuramente avulso dal contesto, ma un po’ contrariato si: nonostante una certa anzianità di servizio maturata altrove, in quella rianimazione è l’ultimo arrivato e, dunque, gli tocca lavorare, perché, nella nuova realtà, non contano le innumerevoli festività già trascorse in turno, in diverso nosocomio.

E’ da poco passata l’una di notte e tutti, ma proprio tutti, avvinti da improbabili intuizioni cabalistico-statistiche di auto-convincimento propiziatorio, si crogiolano nella più totale e incrollabile certezza…di averla scampata!  Quand’eccoli sobbalzare e ammutolire d’atomico sincronismo, al ritmo…della suoneria del telefono portatile “d’ordinanza” che annuncia l’emergenza in arrivo.  E che emergenza!  Di tutte quelle possibili e immaginabili…la peggiore in assoluto!

Si tratta di una neonatina di colore, in arrivo dall’ospedale ginecologico perché affetta dalla madre di tutte le malformazioni cardiache congenite, il cuore sinistro ipoplastico!  In pratica, la sventurata è funzionalmente priva di ventricolo sinistro e di radice aortica, per cui il ventricolo destro pompa sangue per tutto l’organismo e non solo per i polmoni, come normalmente dovrebbe accadere.  Affinchè però  il sangue vi giunga dalle vene polmonari, è necessario garantire la comunicazione tra atrio sinistro e destro, destinata a chiudersi in poche ore dopo la nascita.  Pertanto si rende opportuno l’ intervento urgente di settotomia percutanea mediante cateterismo cardiaco, da eseguirsi nel laboratorio di emodinamica, ad opera del cardiologo…e dell’anestesista reperibili!

I genitori della piccola sono di nazionalità nigeriana e non parlano Italiano.  Ricorrendo allo Spaghetti-English, dimostratosi estremamente affidabile finora, forse perché ne sono – modestamente – campione mondiale in carica, riesco a illustrare comprensibilmente la complessità del caso, le procedure cui verrà sottoposta la loro unica figlia e la  prognosi, piuttosto invalidante, se non fatale, in assenza di trapianto di cuore.  La rappresentazione della cruda realtà non li scoraggia e non scalfisce la loro felicità neo-genitoriale: ancora una volta, mi inchino di fronte alla grandezza dei sentimenti di cui l’animo umano è sorprendentemente capace.
Tuttavia, il loro racconto, che, a scanso di equivoci, faccio ripetere per ben tre volte e che trova conferma nella storia clinica, …mi fa letteralmente trasalire!  Rimango sbigottito nell’apprendere che la madre è reduce da ben…sette interruzioni volontarie di gravidanza!

Ora, posso facilmente immaginare…anzi no, potrei finanche percepire distintamente il flusso e il contenuto dei pensieri di chi legge in questo momento, ma, ove necessario – e con ogni probabilità non lo è – vorrei propagare il mio umile invito alla sospensione di un accattivante giudizio, poiché nulla è più fallibile…di noi tutti!  Cionondimeno, considerazione ancora, diciamo così, politicamente corretta, potrebbe essere la seguente: accidenti!  Doveva toccare proprio all’ottavo?

Purtroppo, dopo diversi mesi di ricovero ospedaliero e tribolazioni varie, nonostante l’instancabile e commovente vicinanza di entrambi i genitori ,la piccola …muore.

Fortunatamente, per noi sopravvissuti, come solitamente  accade, giunge infine l’alba di un nuovo…giorno!  E allora: happy new year!

Zarianto

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Domani non vado.

Scritto da Bellerophontes il 12 Novembre, 2012
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Domani non vado.

Domani non vado perché posso ancora permettermelo.

Domani non vado perché questa sera mi ha ricordato chi ero, e chi sarò lo vedremo più avanti.

Domani non vado perché voglio accarezzare il mio cane sotto il glicine.

Domani non vado perché ieri volevo, dopodomani vorrò.

Domani non vado.

E sentirò gridare le sirene delle ambulanze dal mio giardino.

Coraggio ragazzi. lasciatemi un giorno, poi torno con voi.

Bellerophontes

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