notte

Porta a doppio senso

Posted by Francesca on maggio 10, 2018
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foto di FM

foto di FM

 

C’è sempre un’aria fresca quando si varca la porta d’uscita di un ospedale, quella porta che lunghe ore prima t’ha visto entrare. C’è una luce forte, un terreno solido, quella sera c’eri anche tu.

Un secondo turno di affiancamento in un reparto così definito “un posto tranquillo”. In fin dei conti stiamo parlando di Ostetricia e Ginecologia, di un’unità che da la vita.

Il mio primo post-partum, un cesareo agognato, la mia prima donna. L’abbandono della sala parto è felice, le mani care sostituiscono le estranee. Il cuore è regolare, l’ossigeno sale in semi-fowler, la minima della sala accompagna ancora la temperatura che a breve dovrebbe normalizzarsi.

Appunti frenetici su un taccuino che porta le occhiaie dell’infermiera di riferimento, la sua bravura, il suo impeccabile buon senso.

Troppi lochi, molti camici.

Si ha paura, una sensazione viva e netta. C’è sempre, è latente. Scorre come la più profonda delle cefaliche, talvolta non si vede, ma si tocca e viene punta. Ciò che punse me è un 14 gauge, un grosso calibro di paura. Si è sopraffatti da responsabilità giganti, figuranti reali della mitologia greca, alle quali bisogna tener fede.

Si tratta poi di monitorare: parametri, prelievi, trasferimenti online, lunghi passi, rubriche e reperibili.

Ma c’è dell’altro, c’è molto altro. Ed è dura farci i conti. Continuare a far girare il vinile dei dubbi sulla buon’anima che trascorrerà con te le ore successive ad un turno come questo.

È che senza un’intelaiatura non ce la si fa. Stavolta l’aria era gelida, il buio era pesto, il cemento vacillava.

Ma c’era la mia luce forte, il mio terreno solido.

 

Francesca

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Il segreto del poeta

Posted by Ungiovanequasiinfermiere on febbraio 22, 2014
citazioni, poesie / 1 Commento
foto di DB

foto di DB

A volte apprezzi la letteratura che hai studiato solo quando quelle parole le vivi, in pieno.

Dedicata ai poeti che vegliano nelle corsie.

” Il Segreto del Poeta

Solo ho amica la notte.
Sempre potrò trascorrere con essa
D’attimo in attimo, non ore vane;
Ma tempo cui il mio palpito trasmetto
Come m’aggrada, senza mai
distrarmene.

Avviene quando sento,
Mentre riprende a distaccarsi da ombre,
La speranza immutabile
In me che fuoco nuovamente scova
E nel silenzio restituendo va,
A gesti tuoi terreni
Talmente amati che immortali parvero,
Luce.”

Giuseppe Ungaretti

Ungiovanequasiinfermiere

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Fine turno

Posted by Gio on febbraio 19, 2014
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foto di GP

foto di GP

Smonto dopo ventiquattro, dico ventiquattro ore di guardia, in tedesco… sono uno zombie!
Cammino verso casa, aria fresca, cielo limpido.
Ho freddo, il freddo della stanchezza.
Ho fame, la fame chimica dello smonto.
Mi sento di nuovo viva, a volte è una specie di corso di sopravvivenza…
Mi gusto il viavai della gente che sta andando a lavorare con la felicità di chi ha finito.
Mi infilo nella prima panetteria e mi concedo qualsiasi cosa la gola mi suggerisca, come premio per chi è sopravvissuto a una battaglia, senza riportare troppe ferite.
Mi ricordo che il mio frigo langue, ed entro al supermercato in cerca di qualcosa…
Ricerca impossibile, vago tra gli scaffali senza meta, cosi obnubilata che non trovrei nemmeno gli spaghetti in uno stabilimento Barilla; figuriamoci al supermercato tedesco….
Agguanto quattro cose e mi metto in fila alla cassa.
La cassiera si innervosisce perché sono un po’ lenta a cercare le monete nel portafoglio… “ehi tipa”, penso tra me e me, “io ho smontato dopo ventiquattro ore di lavoro, sono una specie di highlander per le prossime dodici ore, quindi porta rispetto ok?”
Ho bisogno una doccia; per la verità avrei bisogno una seduta alla beauty farm, perché porca miseria se le zampe di gallina peggiorano dopo il turno lungo….
Arrivo a casa, apro la cassetta della posta: l´ufficio delle tasse mi manda una lettera di richiamo? Come osa proprio oggi?!
Odio la burocrazia tedesca, che è ben peggio di quella italiana.
Saranno i soliti problemi che fanno con gli stranieri.
Ma ora salgo, mi attacco al telefono e mi sentono. Non certo perchè non sono a casa mia, possono fare ciò che vogliono!. Ora gliene dico quattro! Non gliele manderò a dire! ….magari dopo la doccia….magari dopo qualche minuto sul divano…forse rimando tutto a domani…
in fin dei conti cosa c’é di meglio di una bella dormitina?.

Gio

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La solitudine del pediatra

Posted by massimolegnani on ottobre 06, 2013
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foto di HA

foto di HA

L’ospedale è arroccato su uno sperone roccioso che lo innalza sopra la città vecchia, come fosse un castello. Forse per questo, quando faccio il turno di notte, non mi sento diverso da una sentinella di guardia al forte. Stanotte poi, fuori è notte di baldoria. Il carnevale, la musica e le grida salgono fin quassù, a farmi sentire estraneo. Non che se fossi libero andrei in giro in maschera. No, non fa per me travestirmi una volta all’anno, non so ridere a comando e fare il pagliaccio tra la gente. Io mi maschero ogni giorno al chiuso, magliette sciocche e un pupazzo appeso al collo, che poi ai bambini non importa molto, loro il dottore lo fiutano a distanza, anche se fossi nudo con le pinne ai piedi non si farebbero fregare. Mica scemi i bambini, i genitori invece sì, nel senso che loro abboccano alla messa in scena, si sentono tranquilli con uno un po’ coglione che smitizza il ruolo.

Ruolo, collega, senso del dovere, che parole inguardabili! Puzzano di falso ed anche di carogna. Da qualche parte devo averla conservata la lettera del Direttore Sanitario che mi rammenta con un’educazione infastidita che l’unico abbigliamento ammesso in ospedale è costituito da casacca, pantaloni verdi e sopra questi il camice bianco. Bella lettera, in due righe le usa e le ripete tutte, quelle tre parole lì.
E intanto stasera ho già assistito a due parti. Ho finto di essere indispensabile, ma quelli sarebbero nati lo stesso e bene, la mia è una presenza che non aggiunge niente. Come la sentinella al nulla.
E aumentano le grida dalle strade, la città impazza e tra un po’ sarà l’ora degli ubriachi. Arriverà fin qua qualche ragazzetto ancora in età pediatrica alla prima sbronza. Vomiterà anche l’anima mandandoci a fanculo, io ripenserò a mia figlia che c’è passata e mi verrà da ridere a questo loro mostrar muscoli deboli.
Nessuno e niente che mi sappia distrarre dall’attesa, il reparto è in stallo nelle sue piccole sofferenze e ancora non arrivano gli ubriachi.

Io, un caffè, la musica ossessiva, qualche lavoro, aspetto, come la sentinella, che venga giorno.

massimolegnani

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Show a little faith, there’s magic in the night

Posted by Picu on agosto 12, 2013
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Foto di MV

Foto di MV

La notte è sinestesia. È freddo azzurro nel corridoio da camminare o correre, é il fiato duro dell’aver corso troppo rispetto alle tue possibilitá fisiche, è il battito del cuore dolce o amaro, quando comunque salta fuori dal petto, caldo. È caffè bruciato, mal di stomaco, nausea da troppe patatine. È adrenalina in scariche gialle, e ipotensione quando l’hai finita. E’ il caldo grigio del letto quando stai finalmente vasodilatandoti e abbandonandoti, e il rosso incazzato di quando risquilla di nuovo quell’accidenti di cicalino. La notte è musica calda, quella che scegli tu a farti compagnia. È luce bassa sulla scrivania bianca, tra cartelle e biscotti e tazze di caffè. È il verde dell’ecg e il rosso molesto degli allarmi. Non c’è senso tradito dalla notte, negletto. È il tocco freddo del metallo in mano, l’odore del sangue, il rumore della tua paura. È una luna accesa fuori, a giudicarti. E’ il respiro dell’alba, la luce che arriva finalmente a farti coraggio. È il freddo dei tuoi visceri, quando non termoregoli più, o il caldo della pelle sporca e appiccicosa, al mattino. È il dentifricio che fa a pugni col kebab, è la cicca che mastichi per non addormentarti, è la nausea del troppo sonno, l’emicrania tagliente del mattino. È il piccolo brivido del pensare che sei solo tu, è la soddisfazione del pensare che sei solo tu. È il viaggio al termine delle tue paure.

Picu

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La Solitudine delle Ombre

Posted by Gavino on maggio 31, 2013
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foto di GP

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Entrare in reparto e chiudersi la porta alle spalle. Pensare che la sofferenza è racchiusa in quell’ambiente asettico e denso di odore che sa di dolore e sofferenza. Ma non è cosi…

 

La notte i pensieri incalzano e speri che arrivi un’urgenza per rifugiarti tra adrenalina e contropulsatore… ma non e’ cosi… la notte guardi fuori dalla finestra del reparto, se sei fortunato ad averne una, e rimani in questa sorta di “indifferenza”. Il mondo là fuori con le sue luci, che continua imperterrito la sua corsa e tu in questo reparto così lontano da questo mondo. Quanta gente, ognuna con la propria storia da vivere e raccontare… quanta gente… che ti sembra completamente indifferente quando fa parte del mondo fuori, ma che diventa parte di te stesso, della tua vita quando diventano pazienti e sono lì… sedati… intubati; ognuno con la propria storia da vivere, raccontare.

La notte strappa i ricordi e ti fa pensare… riflettere… i rumori degli allarmi al monitor sono i tuoi compagni di viaggio. La malinconia che traspare da quelle ombre ti ingloba ed allora pensi… pensi ai tuoi sbagli, alle tue paure, ai tormenti della tua coscienza che non devono trasparire dai tuoi gesti, dal tuo viso. Ma le ombre ci sono, ti accompagnano fino alla fine del turno e quando vedi la luce della notte schiarirsi dalla finestra pensi che sei quasi alla fine del tuo turno e che forse il sonno riuscirà a darti un po’ di pace e di riposo per affrontare un’altra notte in un luogo che non può essere diviso tra quello che sei e quello che fai….

 

Gavino                      

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Solo di notte

Posted by massimolegnani on dicembre 01, 2012
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foto di DB

Di giorno si balbetta, ma le parole nella notte si fanno tonde e calde, piccole pagnotte dal buon odore alle narici, pietre di fiume smussate all’acqua e tiepide di sole da tenere in mano e da sgranare come grani di rosario, bocce di ferro che rotolano precise sul liscio della terra dietro l’osteria fino a raggiungere il pallino.

Di notte le parole ci fanno tutti complici, amici solidali, quasi amanti per quanto sconosciuti. Siamo le talpe semicieche che trovano nel buio sorrisi e gesti dove non potevano sapere finchè c’era la luce a nascondere emozione.

Forse solo questo ho imparato in tanti anni di lavoro. Che la notte aiuta.

Nella penombra delle stanze ti è più facile essere sereno sedendoti sul bordo di un letto sfatto di paura. Guardi negli occhi gonfi che non vedi questa mamma che boccheggia sotto il macigno di una diagnosi. Lei tace accarezzando lenta il suo bambino che finalmente dorme, miniera inesaurita di dolore, tu usi silenzio e vicinanza, parli, poco, stai in ascolto anche se tutto apparentemente tace. E con questi due strumenti che possono sembrare miseri, poco più che due cucchiai di fronte a una montagna, scavi un cunicolo fino al cuore della donna, che almeno possa respirare. E col respiro il pianto che assecondi muto, perchè occorre dare il tempo giusto ad ogni lacrima, che lenta cada come sangue sporco di terra da una ferita aperta che non devi avere fretta di richiudere. E dopo parli in bisbiglio caldo, divaghi, infili qualche fesseria accettando il rischio di essere frainteso, e infine torni al sodo, che è quello il punto da smussare. Tu non sei giudice che possa fare sconti sulla pena, ma la pena la puoi dividere per due.

E solo quando ti sei fatto carico del peso altrui, azzardi di forzare la tristezza, ti fai caronte allegro, “di qui si esce più in fretta se le tornerà il sorriso, ginnastica di labbra e di cervello”. Lei forse capisce cosa intendi perché prima ti guarda stralunata poi abbozza una smorfia complice e bambina.

Nel buio amico escono altre mamme dalle stanze, ti stanano in ambulatorio o in cucina, sensi assonnati che fiutano e reclamano il conforto della voce prima ancora dell’aiuto di una cura. Chiedono, ascoltano in piedi in corridoio e per un poco le abbandona il freddo che si portavano dentro.

Così per qualche ora oscura e chiara diventi il Cristo minimo che allevia la comunanza del dolore e riaddormenta con le dita sulla fronte.

Poi torna la luce e con la luce i capi e i bravi e i belli, quelli con il sapere in tasca e le parole in bocca da utilizzare in giro per tenere le distanze e accrescere la gloria. “Notte tranquilla, nulla di nuovo” dici, che tanto a certa gente è inutile spiegare. Ma mentre te ne vai, vedi una mamma sul limitare della stanza che incomincia con te a tessere la tela di sorrisi e di fiducia, da non disfare nella notte.

massimolegnani

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Solstizio d’inverno

Posted by TNT69 on maggio 15, 2012
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Che strano, leggo i vostri racconti e poi mi soffermo sulle mie notti.

Voi tutti parlate di notti in cui i campanelli suonano, di monitor accesi, di vite da salvare, di lotte infinite per poter arrivare in pronto soccorso in tempo per non morire. Se arriva una chiamata o suona un campanello l’adrenalina va alle stelle, ci si prepara per l’incognita, cosa dobbiamo fare? Chi incontreremo? Cosa troveremo? Pronti all’impossibile.

Da me invece le notti sono per lo più calme, adrenalina molto poca e spesso messa in circolo più dai parenti in ansia che non dai pazienti. Quando suona un campanello si sa quasi sempre cosa ci aspetta…e a differenza di tutti voi noi non lottiamo per salvare la vita, la accompagniamo, ci sediamo accanto, cerchiamo di dare un senso a quell’ultima fase che qualcuno deve pur seguire.

Il mio direttore, pochi giorni fa, dopo la morte di un ragazzo di 11 anni, ha detto che facciamo un lavoro contro natura, mentre tutti salvano vite noi le accompagniamo alla fine senza tentare di salvarle, lo vorremmo, quante volte vorremmo che le cose non finissero così… Quanto senso di impotenza con cui fare i conti quando finisce una notte tranquilla dove avresti voluto salvare, ma hai dovuto accompagnare e dare/ darti un senso per la morte di un figlio giovane, di una madre o di un padre che lascia i suoi bimbi, un marito o una moglie con cui si è condivisa una vita. Molti non lavorerebbero mai qui, ma dopo 10 anni io scelgo ancora di starci, perché di preciso non lo so, credo che cogliere l’ultimo respiro di un essere umano ha un qualcosa di sacro, di unico e sicuramente ha un senso che non capisco ma che sento nel profondo e che mi da motivazione a continuare…e… la Croce illuminata della Chiesa di fronte a noi ( sarà un caso? ) mentre la notte volge al termine mi conferma nel profondo del cuore che un senso c’è.

TNT69

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Notte in Hospice

Posted by TNT69 on aprile 06, 2012
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foto di MV

foto di MV

Silenzio, luci soffuse, il rumore del condizionamento.

Dopo aver finito il giro ci si sofferma davanti al computer, si abbassano le luci. Ci si scalda con un the caldo, ci si racconta un po’, la vita, le esperienze, ci si conosce o si discute degli eventi lavorativi. A volte si ricordano pazienti particolari, quelli che ci hanno insegnato qualcosa, ognuno ne ha uno diverso. Poi si gira per vedere se tutti riposano, chi dorme, chi è sedato. In qualche stanza qualche parente si ferma a fare compagnia al proprio caro.

Nel corridoio si mischiano i differenti respiri, come una musica. Poi un silenzio strano, lieve, un senso di pace. E’ tangibile, nessun campanello che suona, tutti dormono come non volessero disturbare o farsi sentire. Una presenza palpabile. E’ la Morte che aleggia, si aggira nel reparto, è tangibile, ma non fa paura, allevia le sofferenze, e sai dove potrebbe andare e vai dove pensi di trovarla e ti fermi per gli ultimi respiri del Sig…o della Sig.ra.

Assistere una persona che muore è come assistere ad un parto, testimoni di un passaggio, la fine di una vita terrena e l’inizio di qualcos’altro, ignoto, ma non temuto. Un mistero, un dono.

Grazie a voi che ho accompagnato in questi dieci anni di Hospice.

TNT69

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di notte

Posted by Woland on marzo 27, 2009
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Ogni Rianimazione è unica. Non solo è diversa dalle altre, è diversa anche da se stessa, se la osserviamo in momenti diversi, con persone diverse, o a distanza di qualche anno.
Il giorno è diverso dalla notte. Così come una notte tranquilla è diversa da una notte di tragedia, come una notte qualunque è diversa da quella di Natale o Capodanno, che ti ricordano da un lato cosa voglia dire lavorare 365 giorni all’anno 24 ore su 24, ma ti ricordano anche quanto poco basti per rendere un luogo di lavoro accogliente quasi quanto una casa.
Alcune differenze le ho notate soltanto quando ho cominciato a fotografare la Terapia Intensiva e a riguardare le fotografie a distanza di tempo. Non sono il solo a fotografare in reparto.
Se è vero che una fotografia è sempre un atto a doppio senso, in cui resta fissato non solo il soggetto ma anche lo sguardo di chi lo inquadra, così molti dettagli sono venuti alla luce passando le notti (quelle tranquille) a curiosare per la Rianimazione e i dintorni. Allo stesso modo sono emersi gli sguardi di ciascuno, di chi cerca i dettagli, chi cerca i volti, chi gli spazi vuoti.
Di giorno non sarebbe possibile, c’è troppa frenesia.
Di notte il lavoro può essere anche più pesante, ma te lo distribuisci come vuoi, basta che sia finito prima del mattino.
La notte inizia con le consegne. Di solito rapide, perché i colleghi hanno diritto di essere stanchi e di aver voglia di andare a casa. Quasi sempre dopo c’è una pizza, spesso mangiata fredda perché se la ordini troppo presto il ragazzo della pizzeria te la porta durante le consegne e la pizza si raffredda, se invece aspetti un’ora, non appena te la porta regolarmente chiamano dal pronto soccorso e quando ritorni 2 ore dopo la pizza è fredda di nuovo.
Di giorno gli allarmi quasi non li senti, di notte ti rimbombano in testa.
Di giorno le decisioni sono condivise, di notte spesso le prendi da solo, al massimo in due, per difendersi a vicenda dalle possibili osservazioni dei colleghi al giro del mattino.
Di notte in cucina è più facile assaggiare un dolce romeno, è più facile scoprire che un collega si sta per sposare o che ha avuto un lutto in famiglia.
Di notte se un parente si ferma fino quasi al mattino al letto di un paziente, la Terapia Intensiva è più aperta di quanto potrà mai esserlo di giorno.

Woland

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