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Chissà…

Posted by Ilarix on aprile 06, 2014
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foto di EP

foto di EP

 

Nel momento in cui ti vedo hai gli occhi chiusi ma il volto contratto dal dolore… non ci rispondi… il tuo corpo è a pancia in giù in una pozzanghera
Accanto a te tanta gente, curiosa ma spaventata allo stesso tempo. Cosa sia successo non lo so e forse non lo sai neanche tu. Stavi solo andando a scuola. Chissà se puoi sentirci, chissà se senti le nostre mani che ti toccano e ti muovono, che ti bloccano con strani oggetti. Chissà se senti i “bip bip” intorno a te. Chissà se senti dolore mentre buchiamo le tue braccia per infonderti liquidi, farmaci e speranza. Chissà se senti il rumore dell’elicottero che sta atterrando a pochi metri da te.
In questo momento noi non pensiamo a cosa potresti pensare tu, per quello ci sarà tempo dopo, quando tutto sarà fermo.
Cominci ad aprire gli occhi mentre da un furgone bianco con le luci blu ti stiamo adagiando dentro un furgone giallo con le pale sul tetto. Proviamo a comunicare con te ma forse non ci capisci, chissà se parli la nostra lingua. Forse per te siamo solo dei marziani, dei tizi vestiti con colori accesi che fanno cose strane.
Forse hai paura di noi, accanto a te non hai la tua mamma, non hai il tuo papà o i tuoi fratelli.
Uno dei marziani cerca di farti capire che stai per volare come gli uccelli o gli aquiloni, sarai sdraiato e non potrai vedere il mondo dall’alto, ma accanto a te ci sarà uno dei marziani che ti racconterà tutto.
Sta cercando di dirtelo, chissà se lo capisci.
Dopo aver volato incontrerai altri marziani, ma stavolta vestiti di bianco; anche loro sono li per te, ti aiuteranno, stai tranquillo piccolo, siamo insieme a te.

 

Ilarix

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Fine turno

Posted by Gio on febbraio 19, 2014
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foto di GP

foto di GP

Smonto dopo ventiquattro, dico ventiquattro ore di guardia, in tedesco… sono uno zombie!
Cammino verso casa, aria fresca, cielo limpido.
Ho freddo, il freddo della stanchezza.
Ho fame, la fame chimica dello smonto.
Mi sento di nuovo viva, a volte è una specie di corso di sopravvivenza…
Mi gusto il viavai della gente che sta andando a lavorare con la felicità di chi ha finito.
Mi infilo nella prima panetteria e mi concedo qualsiasi cosa la gola mi suggerisca, come premio per chi è sopravvissuto a una battaglia, senza riportare troppe ferite.
Mi ricordo che il mio frigo langue, ed entro al supermercato in cerca di qualcosa…
Ricerca impossibile, vago tra gli scaffali senza meta, cosi obnubilata che non trovrei nemmeno gli spaghetti in uno stabilimento Barilla; figuriamoci al supermercato tedesco….
Agguanto quattro cose e mi metto in fila alla cassa.
La cassiera si innervosisce perché sono un po’ lenta a cercare le monete nel portafoglio… “ehi tipa”, penso tra me e me, “io ho smontato dopo ventiquattro ore di lavoro, sono una specie di highlander per le prossime dodici ore, quindi porta rispetto ok?”
Ho bisogno una doccia; per la verità avrei bisogno una seduta alla beauty farm, perché porca miseria se le zampe di gallina peggiorano dopo il turno lungo….
Arrivo a casa, apro la cassetta della posta: l´ufficio delle tasse mi manda una lettera di richiamo? Come osa proprio oggi?!
Odio la burocrazia tedesca, che è ben peggio di quella italiana.
Saranno i soliti problemi che fanno con gli stranieri.
Ma ora salgo, mi attacco al telefono e mi sentono. Non certo perchè non sono a casa mia, possono fare ciò che vogliono!. Ora gliene dico quattro! Non gliele manderò a dire! ….magari dopo la doccia….magari dopo qualche minuto sul divano…forse rimando tutto a domani…
in fin dei conti cosa c’é di meglio di una bella dormitina?.

Gio

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A Nawaf, il guerriero coraggioso.

Posted by Gio on febbraio 07, 2014
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foto di NC

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Chiamata dalle infermiere, apro la porta della stanza 117 e mi trovo catapultata in un altro mondo.
A tutto volume, da qualche iPhone, un muezzin chiama alla preghiera.
Una donna, di cui conosco solo gli occhi, dorme per terra, per lasciar posto a suo marito sul letto.
Il loro figlio sedicenne sta morendo nel letto accanto.
Nessuno può capirmi quando parlo, nessuno parla nè intende una lingua europea.
Il colloquio ufficiale con l´interprete è fissato per domattina, ma il loro figlio ha iniziato ora ad avere emottisi, dispnea e panico, e io devo sedarlo ora e non posso aspettare il traduttore alle 9:00.
Nawaf non ha più forze, pesa si e no trenta chili, è venuto in Europa perchè il suo osteosarcoma alla gamba era così grosso che i medici in Iran volevano amputagliela.
La famiglia non poteva vivere col pensiero del figlio maschio mutilato.
L´ottenimento del permesso per venire in Europa ha tardato così tanto che il tumore nel frattempo si è preso anche i polmoni di Nawaf, e persino un pezzetto del suo cuore.
Quando è arrivato qui, per giunta, quella gamba abbiamo dovuto levargliela lo stesso, chiaro esempio di senso di onnipotenza occidentale…
Cosi, lui è rimasto due mesi nella 117, senza una gamba e senza comprendere la lingua nè i costumi di chi gli stava attorno. Costretto a porre domande attraverso un traduttore che veniva quando e come aveva tempo.
Ieri abbiamo detto ai genitori di Nawaf che per il loro figlio non possiamo fare più nulla, e che non c’è tempo per farli tornare a casa.
Chissà con che parole un traduttore traduce la morte.
Quando comunichi a una famiglia che il figlio sta per morire, non riesci a farlo neanche nella tua medesima lingua. Il flusso di emozioni, e il senso di inadeguatezza prendono spesso il sopravvento. E io come faccio a fidarmi di un interprete, come so cosa esattamente sta dicendo? Userà parole chiare ma empatiche?
Metterà qualche aggettivo per smorzare la violenza che sto comunicando?
tradurrà ogni dettaglio (perchè sono i dettagli che fanno la differenza) delle domande dei genitori?
In questo caso il tutto è ancora più difficile, perchè non posso neanche vedere il volto di questa madre, il suo dolore, e non ho idea di cosa mi voglia dire, perchè lei non può parlare direttamente con il traduttore, ma solo tramite il marito.
Possibile che anche nelle ultime ore di vita del figlio certe cose non possano essere diverse?
A Nawaf ieri il traduttore ha chiesto se aveva domande, se voleva dirci qualcosa, qualsiasi cosa per uscire dal quel suo silenzio forzato.
Lui ci ha chiesto se potevamo fare qualcosa per farlo smettere di tossire…
Ora è dispnoico, satura 84% con 6 litri di ossigeno, rantola ovunque, non ho tempo di provare a spiegare ai genitori: il cocktail è già pronto: Morfina, Levopromazina e Midazolam. Cerco gli occhi della madre sotto il burqa, trovo quelli di Nawaf che hanno solo paura.
Pochi, lunghissimi minuti, e vedo gli effetti della sedazione.
Il viso si distende, il respiro resta irregolare ma la paura è andata, l´infermiere lo sistema sui cuscini, gli pulisce il volto segnato dall´emottisi.
La madre guarda il monitor con i parametri vitali per capire se il figlio è ancora li, tra qualche ora probabilmente inizierà ad ascoltare con paura se a un respiro ne seguirà uno nuovo.
Chissà se domattina alle 9:00 la madre chiederà al padre, di chiedere al traduttore, di chiedere al medico perchè non le ho chiesto se voleva dire ancora qualcosa a suo figlio prima di sedarlo definitivamente?

Gio

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Storie di ordinaria medicina e di straordinaria vita – tre

Posted by Magu on dicembre 29, 2013
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Foto di HA

Foto di HA

Stamattina ore 8.35 circa. In P.S. giunge Loredana 58 anni insegnante di scuola primaria ed attivista di Greenpeace. Caduta al suolo (banale sciuliata sullo zerbino di casa), deformità del braccio destro. Non si lascia neanche sfiorare dal chirurgo per valutare il sospetto di frattura. Un rapido sguardo negli occhi tra me e Giancarlo come per dire…”Giancà amma pruvà?!”. Pieno assenso (con colleghi come lui e gli amici infermieri Procolo, Amelia, Peppe, Mario… è facile).

NRS* 10 monitoraggio pressione e saturazione tutto bene, corro nella stanza a prendere la bombola e via…. subito un po’ di Protossido. Tempo cinque minuti e tante chiacchiere con Loredana sulle attività di Greenpeace, la protezione dei cetacei (guarda con tenerezza Procolo) in Antartide (ah in Russia è stato arrestato un napoletano attivista per la lotta alle trivellazioni del mar Artico e la stampa non dice nulla)

NRS 5, Paracetamolo un grammo EV (costa tanto ma abbiamo solo quello). Ora Loredana si lascia visitare sembra una lussazione completa di gomito.

NRS 2 e tanto “benessere (Loredana dice che ha anche un buon odore anche se dovrebbe essere inodore). In previsione del dolore provocato dalle varie proiezioni delle RX, Fentanyl 100 mcg in fisiologica 100 ml (sguardo alla pressione che regge bene) Midazolam 2 mg EV (poco ma è sufficiente a raggiungere una Ramsay** di 3 che ci basta per la radiologia). Conferma della lussazione. L’ortopedico venuto in consulenza è bravo ma un pò manesco, allora in previsione della procedura altri 2 mg di Midazolam. Riduzione parziale, lastra di controllo e nuova procedura. Nel frattempo spiego tutto, compreso il video che stiamo girando, al marito.

Recupero completo, lastra di controllo, bendaggio in Dynacast e dimissione dopo un’ora circa. Loredana: “che bella sensazione se ne potrebbe avere un pò da utilizzare quando sono in classe con trenta satanassi?” Ci ringraziano affettuosamente Loredana ed il marito e ci fanno i complimenti per la presa in carico. Nel frattempo la caposala Letizia cazzia Procolo per non so bene cosa. Sull’uscio un ultimo sguardo di Loredana; leggo nei suoi pensieri: beh non bisogna sfidare il mar Artico a bordo di un gommone per difendere un cetaceo! Ciao Lory

*NRS: scala di valutazione del dolore

**Ramsay: scala di valutazione della reattività dl paziente

Magu

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Come eravamo…

Posted by Herbert Asch on dicembre 21, 2013
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Foto di HA

Foto di HA

Ho ritrovato questo ritaglio di un articolo, di vent’anni fa o giù di lì. Purtroppo non ricordo più su quale giornale o rivista fosse stato pubblicato.
Lo avevo tenuto perchè dava molto bene l’idea di come si siano evolute le cure al paziente negli ultimi cinquanta anni. Lo ripropongo adesso, lasciandovi all’ultimo la rivelazione del personaggio cui si riferisce…

Al primo esame del malato è stato accertato quanto segue: il malato sta disteso sul divano, sulla schiena, la testa volta a sinistra, gli occhi chiusi, c’è stata una urinazione spontanea (il vestito è bagnato di urina). Al tentativo del medico di sentire il polso sinistro si è registrato un movimento della mano sinistra e della gamba sinistra. Polso: 78 battiti al minuto. Pressione: 190/110. Il malato è privo di sensi. I movimenti degli arti nella metà destra del corpo sono assenti. In quella sinistra si notano brevi movimenti. Diagnosi: pressione alta, arteriosclerosi generale con prevalente lesione dei vasi sanguigni dell’encefalo, emiplegia nella metà destra del corpo a causa dell’emorragia nel bacino dell’arteria media sinistra, cardiosclerosi, nefrosclerosi. Le condizioni del malato sono estremamente gravi. Indicazioni: regime di degenza e di riposo assoluto. Lasciare il malato sul divano. Applicare mignatte dietro le orecchie, un micoclisma ipertonico (un bicchiere di soluzione di solfato di magnesio al 10 %) Togliere la dentiera. Nessuna alimentazione per oggi. Provvedere a stabilire turni continui, giorno e notte, di un neuropatologo, un terapeuta ed un infermiera. Inoltre, con molta cautela, con un cucchiaino, liquidi, senza che gli vadano per traverso.

Perizia medica sullo stato di salute del compagno Stalin.
Il consiglio dei medici, di cui fanno parte Kuperin, Lukomskij, Glazunov, Tkaciov, Ivanov-Nezmanov, ha condotto alle ore 7,00 del 2 marzo, una perizia medica sullo stato di salute del compagno Stalin.

Stalin è morto il 5 marzo 1953

Herbert Asch

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Storie di ordinaria medicina e di straordinaria vita – due

Posted by Magu on dicembre 16, 2013
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Foto di BDV

Foto di BDV

Un sabato alle 2.00, durante il turno in 118, codice rosso: lipotimia in terminale (in questa maniera barbara si esprime la mia centrale!). 62 anni, tumore laringeo con metastasi in ogni dove. Circa trenta chili di ossa e cute. Nessun lamento verbale (era laringectomizzato) ma tanto dolore si leggeva negli occhioni lucidi che sembravano ancora più grandi rapportati al corpo anchilosato. I due figli mi fanno:

“dottore sappiamo che sta morendo ma non possiamo vederlo finire così”,

ed io: “ma è seguito dall’oncologo oppure dal servizio per la terapia del dolore?”.

La figlia, voltando lo sguardo alla finestra come in segno di malcelato rancore,

“quando non guarisci oppure non servi più per le chemio, i protocolli e gli studi multicentrici, chi se ne frega di te…Vi prego portiamolo in ospedale per fare qualcosa, noi non ce la facciamo ad assistere a questo scempio inumano”.

Una coltellata nella mia dignità di medico. “Ok dove possiamo sederci per parlare un pò?” Mi vengono in mente le raccomandazioni della mia maestra in tema di comunicazione, Fiorella Paladino, tutti seduti alla stessa altezza, sguardo negli occhi, mano sulla spalla per creare contatto ed empatia.

Spiego che il solo atto di metterlo sulla barella dell’ambulanza determinerebbe dolori INUTILI. Allora descrivo la sedazione del morente di cui ci ha parlato Carlo, il nostro docente al corso. Un cocktail di sedazione ed analgesia che accompagna il malato nel suo naturale percorso ma senza dolore e senza indurre la morte.

Ma il mio bravissimo infermiere mi dice “ma non ha la vena e, a lume di naso, non sarà tanto facile”. Evita persino di toccargli le braccia per non fargli male. Insomma un vero delirio di impotenza davanti al nostro nemico dolore.

Idea! L’intranasale con midazolam e morfina ad alte dosi. Spiego la “strana tecnica” ai familiari ed iniziamo: Grande cautela nel cercare di iniettare il farmaco nel naso senza muovere il capo. Dopo circa quindici minuti, quei grandi occhioni si chiudono in un sonno ristoratore. Giusto il saturimetro (ma solo per dimostrare ai figli che sta dormendo). Comunico agli stolti della centrale che sono ancora a casa del paziente e di allertarmi in caso di necessità e restiamo circa un’ora a “far compagnia” ai figli. Lascio dei MAD300* con due fiale di Midazolam da 15 mg già caricato ed istruisco su come fare in caso di risveglio. Lascio il numero di telefono del P.S. (dove c’è la nostra postazione) per eventuali problemi. Alle 6.00 la figlia mi telefona per dirmi che Gaetano (il padre) è morto dicendo queste parole “SENZA SOFFRIRE!”

Musica per le mie orecchie. Addio Gaetano e grazie Carlo!

* Mucosal Atomization Device è una siringa con un atomizzatore per la somministrazione di farmaci attraverso le mucose nasali (NdR)

Magu

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Back to life

Posted by Ultiva on dicembre 11, 2013
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Foto di BDV

Foto di BDV

E’ appena finita la settimana “Viva 2013″, per diffondere la cultura della rianimazione cardiopolmonare tra la popolazione. Settimana faticosa, numerose iniziative con un pubblico mai sufficiente alle aspettative.
Sono le 4 di un uggioso pomeriggio di ottobre. Vengo attivato per un sessantenne con dolore toracico fuori da un bar. Sono con Marco e Cinzia, quest’ultima alle prime armi. E’ l’ennesimo servizio di una giornata particolarmente impegnativa (un ustionato grave al mattino) e di qualche uscita che, come si suol dire, meritava. Poco convinti che la sfiga possa accanirsi su di noi, raggiungiamo con la consueta tempestività il luogo dell’evento. Marco guida benissimo, va piano, non ti mette mai in pericolo e pur non essendo un sanitario ha delle performances che vanno ben oltre quelle di un normale soccorritore. Insomma, come direbbe il mio amico P., “un burro”.
Arrivati sul posto, gli astanti sono abbastanza agitati, qualcuno ha sicuramente alzato il gomito, e ci fanno segno di fare in fretta. “Ha avuto un’altra crisi”, dicono.
Mi faccio spazio, allontano le persone… il fido Lifepak 12 a tracolla. Non ci vuole molto a capire che E. è in arresto. Cianotico, rantolante.
“Marco, DAE” dico. Chiedo a Cinzia le forbici per esporre il torace. Inizio a massaggiare. Mi succede quello che vedo in qualche video su YouTube: E., massaggiato, muove le braccia, le porta al petto. Le piastre, già posizionate, mostrano una fibrillazione ventricolare dal voltaggio così alto che esce dal monitor. Scarichiamo. Riprendiamo il massaggio. Compressioni toraciche e ventilazioni. Durante il massaggio, E. sembra vivo. Si muove, contrasta la ventilazione. Al monitor sempre fibrillazione.
Siccome sono già rimasto fregato una volta dalle placche, chiedo un monitoraggio con le periferiche, che conferma la diagnosi. E’ il momento del secondo shock: ritorna in ritmo. E che ritorno: polso periferico, BAV I° con 50 di frequenza e 120 di sistolica. Temporeggiavo a farlo caricare in barella, avrei pensato che il prossimo step sarebbe stato il tubo. Continuo ad assisterlo in maschera. Il mio equipaggio è un’orchestra con minime sbavature. Sembra uno scenario ACLS. E. riprende a respirare benissimo da solo, lo passo in reservoire. Un ECG a 12 derivazioni rivela un infarto inferiore. Incredulo, lo chiamo: mi risponde, apre gli occhi, mi dice che gli fa male il torace.
Voliamo in emodinamica, senza variazioni cliniche di rilievo. Passa dalla barella al tavolo operatorio da solo.
In dieci anni di territorio, mai successo. Prestazione da BLS, ma con che risultato!
Sono passate quarantott’ore ore, e sta bene.
Bentornato, E.

Ultiva

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Storie di ordinaria medicina e di straordinaria vita – uno

Posted by Magu on dicembre 04, 2013
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Foto di DB

Foto di DB

Giovedì notte in 118. Grande team di bravi amici-colleghi, Tonino il maresciallo alla consolle e Mimmo maestro delle vene e dei farmaci: due veri amiconi, gente che si diverte a fare questo lavoro.
Non ho ancora finito di vestirmi che la centrale chiama: codice rosso per un paziente non cosciente sulla panchina di una delle zone “in” di Napoli. Il luogo dista abbastanza dalla nostra zona, ma non ci sono ambulanze disponibili e… Il maresciallo innesca la sirena, ci inoltriamo verso piazza dei martiri zigzagando con la maestria della guida di Tonino.
Arriviamo sul posto e ci rendiamo subito conto che si tratta del solito homeless che dorme in sana alcolica beatitudine sulle doghe della panchina. Ci avviciniamo e come per miracolo ci risponde (insomma è molto cosciente).

Maschio di razza bianca dell’apparente età di 45-50 anni…

In TV si sarebbero espressi così. Ma noi non siamo in una soap americana e, guardandoci tutti e tre, si legge sui nostri volti che si tratta di un povero Dio di certo maschio ma con difficoltà a mostrasi uomo. Si la dignità dell’essere uomo si perde nei gradi dell’alcol. L’età sembra quella ma non ci giurerei.
Cerchiamo di capirci di più anche se la storia è chiara; la bottiglia vuota di pessimo vino bianco gocciola ai suoi piedi.
“Come ti chiami?” “Pasquale, Pasquale Esposito”, l’alito fa barcollare anche le vocali di Esposito. “Hai bevuto vero?!” A quel punto i suoi occhi vispi e si illuminano con un sorriso che fa capolino tra i peli ispidi della barba incolta. “No!” “Ah ho capito ci vuoi prendere in giro?!” esclama il maresciallo. “Ma pecchè se tu mi fai questa domanda nun me staje sfuttenno? Ce l’hai un poco di pane che mi sto puzzando di fame?”. Io ribatto “ma sei conosciuto in zona?” “Certo, a me mi sanno tutti qua” “e allora chiedi una pizzetta oppure un panino alla rosticceria all’angolo”. Ecco nuovamente la luce farsi strada tra le rughe profonde come mulattiere “pure tu me vuò sfottere? E secondo te io vado nella rosticceria così combinato e quello prende un panino e me lo regala?” Manco il tempo di pensare che non ho portato con me il portamonete che Tonino e Mimmo raccolgono dalle loro tasche tre o quattro euro e all’unisono: “tieni così te lo compri il panino e quello della rosticceria non potrà dirti niente”.

Chiamo la centrale per avvertire che è tutto ok e che si è trattato del solito buon samaritano che allerta la centrale senza neanche avvicinarsi per vedere se è vivo oppure morto. la telefonata (gratuita) si, la puzza di alcol e vomito no! Nel frattempo si avvicinano due vigilantes in moto “sono stato io a chiamare” dice uno dei due “sembrava non respirasse e i passanti si preoccupavano, i clienti della gioielleria che controllo si lamentavano e…”. Tranquillizzo anche loro dicendo che hanno fatto bene a chiamare ma che, forse, se avessero provato ad avvinarsi e l’avessero chiamato…

A questo punto Pasquale si alza per andare a comprare il panino, barcolla un poco ma più per i pantaloni cadenti che per l’ubriachezza. Si gira, ci saluta e fa: “ah io mi chiamo Mimì, Pasquale è mio fratello e lascio parlare lui con le autorità. Ma voi mi siete simpatici e allora con voi parlo io”. Si allontana verso l’ingresso della chiesa di Santa Caterina a Chiaia, una genuflessione appena accennata per non cascare e poi a sinistra verso la vetrina ad angolo della gioielleria; una manovra nota e via a fare la pipì.
Rimettiamo le borse e la barella in ambulanza, mi volto per dare un ultimo sguardo a Mimì e con l’angolo dell’occhio guardo la statua di Santa Caterina; immediato un pensiero “Santa Caterì, stanotte guardalo tu a Mimì”.
Torniamo in postazione un po’mogi, anche i girevoli sembrano essere fiacchi. Ma la notte continua.

Magu

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Muscoli e cuore

Posted by Gio on novembre 20, 2013
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Foto di NC

Foto di NC

Affretto il passo su per le scale dal Pronto Soccorso al Centro Trapianti, sono le 6 del mattino, lavoro da 22 ore, mal di gambe mentre salgo i gradini.

Entro in reparto, la mia seconda casa.

Le infermiere sanno che i turni di guardia sono lunghi e non mancano mai di lasciare su un tavolino comune qualcosa da bere e da sgranocchiare, è lì per tutti, si prende senza chiedere, in quella famiglia che diventa il tuo reparto.

Qui i bambini di notte sono da soli, coraggiosi combattono la loro battaglia che dura ben più di 22 ore e stanca molto più di una guardia a mangiar male.

Loro combattono per arrivare a un trapianto di midollo e combattono dal giorno del trapianto ogni ora di più.  Imparano a conoscere nemici dai nomi impronunciabili: adenovirus, graft versus host disease, capillary leak syndrome, e li combattono anche nel sonno stretti al loro peluche o alla bambola preferita.

Non sono più bambini quando escono da queste stanze, hanno fatto un balzo avanti di 1000 anni e acquisito una saggezza con la quale non mancheranno di renderti pan per focaccia ogni volta che proverai a dissimulare.

Come Robin, 6 anni, che è al secondo trapianto, lui la lezione la ha imparata a memoria, lui al giorno -2 mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: lo dirò solo una volta e poi piú, quello che fate non funziona con me, non serve a nulla.

Come Tommaso che ha 3 anni e oggi ha raccontato di aver sognato un posto meraviglioso, dove ci sono tutti gli animali che lui vorrebbe vedere, ma è un posto dove lui andrà da solo, noi non possiamo andare con lui.

Non ho mai lavorato con gli adulti, ma fare la pediatra in emato oncologia mi ha fatto pensare che tutti sanno quando stanno per morire, più spesso però gli adulti lo ritengono un pensiero inconfessabile, per se stessi e per gli altri, mentre i bambini, in alcuni casi, no.

E tu stai lì, con i loro occhi piantati addosso, deglutisci 1000 volte sperando di mandare giù anche le lacrime. Sai che hanno ragione perchè conosci la loro storia e i loro esami, hai cercato ogni possibile diagnosi differenziale per nascondere a te stessa la verità, che la battaglia è persa, che i muscoli sono stanchi, che il cuore ha galoppato abbastanza, che hanno bisogno di essere lasciati andare ed essere liberi da quelle stanze, da quei letti finti per bambini, che sarebbero troppo per qualunque adulto.

Ma stamattina le infermiere mi chiamano perchè Luca compie oggi 5 anni e proprio oggi potrà essere dimesso.

La stanza è stata decorata durante la notte, al suo risveglio ci sarà una festa. Ora firmo il biglietto di auguri che accompagna un regalo tanto desiderato: una nuova costruzione Lego della serie Star Wars.

Luca è qui da 230 giorni.

Vai a casa Luca, corri, corri a riprenderti i tuoi 5 anni e cancella questi 230 infiniti giorni!

E non girarti mai indietro.

Gio

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Hänsel & Gretel

Posted by Labile on settembre 29, 2013
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Foto di  GN

Foto di GN

Compaiono e scompaiono come figure che escono dai sogni.

Arrivano a sorpresa nelle ore più impensate, non guidano e prendono solo autobus a orari impossibili, quelli da trasporto notturno o quelli della pausa pranzo infinita dei pomeriggi d’estate.

Arrivano sempre accompagnati dai loro abituali problemi, inconfondibili e ormai conosciutissimi.

Di quelli che non capisci mai bene se riguardano la salute del corpo fisico, o di quello mentale o unicamente di quello sociale.

Come Hänsel e Gretel, li immagino così, mano nella mano affiancati nella vita da una fratellanza necessaria e indivisibile, che li porta in Pronto Soccorso con i loro problemi.

Bella allegoria dell’esistenza, povera economicamente ma dignitosa di quella cultura ormai scomparsa, contadini incrollabili di un mondo trascorso che non sopravvive ormai più nemmeno nei film.

Fibrillanti, diabetici e ipertesi, si barcamenano nelle loro giornate piegati alla raccolta di frutti della terra con cui si sostentano, magramente integrati da due misere pensioni sociali.

Di quelle che servono per comprare lampadine da pochi watt, niente frigorifero (“a che serve?”), un solo paio di scarpe, qualche maglietta e pantaloni solo per cambiarsi quando si fa il bucato, casa con poca acqua corrente di quella che basta a lavarsi la faccia.

Il viso che mostrano è quello che confondi spesso, sembrano due gemelli siamesi separati solo nel sesso e da un magro anno di attesa. Oggi quasi identici quando si scambiano i vestiti, o quando li incontro nei pressi della loro casa sul ponte, mentre vado al lavoro e li vedo spingere una  carriola  carica di improbabili cose raccolte qua e la.

Eppure gentili come sanno essere gentili solamente loro,  persone semplici e perfette,  di una condizione mentale ormai rara, la tranquilla pazienza del vivere con quello che si è, immersi nel sole, nell’aria e nella pioggia quando arriva.

Senza lamentazioni da inviare e nessun dio da invocare o da maledire.

Solo a chiedere, quando qualcosa vacilla, un aiuto, “Magari piccolo  per farci passare questo cuore pazzo e questo  rumore nelle orecchie che non ci da pace”.

E poi vanno via, desiderando di andar via, di fuggire quasi furtivi così come sono arrivati.

Svignarsela da questo Pronto Soccorso, per dimenticare di aver bisogno di noi, ringraziando a piene mani, salutandoci come vecchi parenti o almeno sinceri amici e di nuovo avviarsi mano nella mano come i due leggendari fratellini dei Grimm.

“Ah,

cara anatrina,

prendici

sul tuo dorso.”

Udite queste parole, l’anatrina si avvicinò nuotando e trasportò prima Gretel e poi Hänsel dall’altra parte del fiume.

Labile

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