ubriachi

Storie di ordinaria medicina e di straordinaria vita – uno

Posted by Magu on dicembre 04, 2013
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Foto di DB

Foto di DB

Giovedì notte in 118. Grande team di bravi amici-colleghi, Tonino il maresciallo alla consolle e Mimmo maestro delle vene e dei farmaci: due veri amiconi, gente che si diverte a fare questo lavoro.
Non ho ancora finito di vestirmi che la centrale chiama: codice rosso per un paziente non cosciente sulla panchina di una delle zone “in” di Napoli. Il luogo dista abbastanza dalla nostra zona, ma non ci sono ambulanze disponibili e… Il maresciallo innesca la sirena, ci inoltriamo verso piazza dei martiri zigzagando con la maestria della guida di Tonino.
Arriviamo sul posto e ci rendiamo subito conto che si tratta del solito homeless che dorme in sana alcolica beatitudine sulle doghe della panchina. Ci avviciniamo e come per miracolo ci risponde (insomma è molto cosciente).

Maschio di razza bianca dell’apparente età di 45-50 anni…

In TV si sarebbero espressi così. Ma noi non siamo in una soap americana e, guardandoci tutti e tre, si legge sui nostri volti che si tratta di un povero Dio di certo maschio ma con difficoltà a mostrasi uomo. Si la dignità dell’essere uomo si perde nei gradi dell’alcol. L’età sembra quella ma non ci giurerei.
Cerchiamo di capirci di più anche se la storia è chiara; la bottiglia vuota di pessimo vino bianco gocciola ai suoi piedi.
“Come ti chiami?” “Pasquale, Pasquale Esposito”, l’alito fa barcollare anche le vocali di Esposito. “Hai bevuto vero?!” A quel punto i suoi occhi vispi e si illuminano con un sorriso che fa capolino tra i peli ispidi della barba incolta. “No!” “Ah ho capito ci vuoi prendere in giro?!” esclama il maresciallo. “Ma pecchè se tu mi fai questa domanda nun me staje sfuttenno? Ce l’hai un poco di pane che mi sto puzzando di fame?”. Io ribatto “ma sei conosciuto in zona?” “Certo, a me mi sanno tutti qua” “e allora chiedi una pizzetta oppure un panino alla rosticceria all’angolo”. Ecco nuovamente la luce farsi strada tra le rughe profonde come mulattiere “pure tu me vuò sfottere? E secondo te io vado nella rosticceria così combinato e quello prende un panino e me lo regala?” Manco il tempo di pensare che non ho portato con me il portamonete che Tonino e Mimmo raccolgono dalle loro tasche tre o quattro euro e all’unisono: “tieni così te lo compri il panino e quello della rosticceria non potrà dirti niente”.

Chiamo la centrale per avvertire che è tutto ok e che si è trattato del solito buon samaritano che allerta la centrale senza neanche avvicinarsi per vedere se è vivo oppure morto. la telefonata (gratuita) si, la puzza di alcol e vomito no! Nel frattempo si avvicinano due vigilantes in moto “sono stato io a chiamare” dice uno dei due “sembrava non respirasse e i passanti si preoccupavano, i clienti della gioielleria che controllo si lamentavano e…”. Tranquillizzo anche loro dicendo che hanno fatto bene a chiamare ma che, forse, se avessero provato ad avvinarsi e l’avessero chiamato…

A questo punto Pasquale si alza per andare a comprare il panino, barcolla un poco ma più per i pantaloni cadenti che per l’ubriachezza. Si gira, ci saluta e fa: “ah io mi chiamo Mimì, Pasquale è mio fratello e lascio parlare lui con le autorità. Ma voi mi siete simpatici e allora con voi parlo io”. Si allontana verso l’ingresso della chiesa di Santa Caterina a Chiaia, una genuflessione appena accennata per non cascare e poi a sinistra verso la vetrina ad angolo della gioielleria; una manovra nota e via a fare la pipì.
Rimettiamo le borse e la barella in ambulanza, mi volto per dare un ultimo sguardo a Mimì e con l’angolo dell’occhio guardo la statua di Santa Caterina; immediato un pensiero “Santa Caterì, stanotte guardalo tu a Mimì”.
Torniamo in postazione un po’mogi, anche i girevoli sembrano essere fiacchi. Ma la notte continua.

Magu

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non alzare il gomito

Posted by manuele on novembre 01, 2010
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Amo il mio mestiere. Desideravo già da bambino diventare medico. Dentro di me desideravo sempre stare dalla parte del più debole, forse perché debole e timido sono sempre stato anch’io. Finché un bel giorno eccomi Medico Rianimatore-Anestesista. Questo mestiere mi ha plasmato, ha modificato il mio carattere, ha infuso pian piano, giorno per giorno, in me il modo di controllare la timidezza, di prendere sicurezza, di tenere a bada la tensione, di riuscire nel panico generale ad essere calmo, prendere secondi preziosi di riflessione per me stesso e successivamente agire rapidamente per il bene del paziente con la mente sgombra dalla paura di commettere errori, di non essere all’altezza, di arrecare danno e non beneficio. Insomma, ora, dopo quasi 15 anni che faccio il medico, posso dire di convivere con essa, di aver accolto i “demoni” che continuano a bisbigliare al mio orecchio e ascoltare sempre più la mia “vocina buona e ottimista”.
Fine Novembre, domenica. Turno lungo. Un freddo cane. Il mio turno in elicottero 118 quel giorno non passava mai, non eravamo ancora usciti ed erano solo le 16.00. In base le ore passavano, tra chiacchiere, battute, caffè e qualche sigaretta con gli altri componenti dell’eli, con Marco il comandante pilota, con gli infermieri simpaticissimi e veramente in gamba.
“Beh io mi butto 5 minuti sul divano ok raga?”
“Tranquillo doc, guarda che c’è Valentino oggi…”
“Azz! E’ vero! Oggi c’è il motogp!” Mi getto sul divano, faccio appena in tempo a metter la testa tra le mani e: “BIRIBIRI-BI / BIRIBIRI-BI / BANNONE, TRAUMATICO, PEDONE INVESTITO DA AUTO… RIPETO…” Le solite piccole imprecazioni, un attimo di batticuore e in 30 secondi siamo sull’elicottero. Marco ha già acceso i motori. “Allora abbiamo tutto?” Sì. Metti le cuffie, il marsupio coi farmaci ce l’ho, con me ho Paolo e Luca, sono a posto, sono bravissimi. Poi c’è Marco. Beh dai almeno tre apostoli ci sono! Ahah! Due feriti, forse, ci sarà da intubare, credo. Beh dai, vediamo sul posto. Decolliamo e poi sentiamo cosa ci dice la centrale”.
Amo vedere la mia città dall’alto che diventa sempre più piccola, le persone minuscole, guardare l’orizzonte. Col sole pieno e le giornate limpide si riescono a vedere anche le Alpi a volte. “Cinque minuti al target. Bannone 206 hai notizie dei feriti?” la radio gracchia per un istante nelle cuffie alle nostre orecchie.
“Bannone 206 a Sierra eco, un solo ferito pare in modo non grave, il pedone, cosciente, respira”
Ok, dai tra pochi minuti siamo lì. Marco vede l’ambulanza sulla strada, solito giro di 360° a 2G. Ma perché Marco deve sempre farci venire lo stomaco in gola io non lo so..
Dall’alto vedo un camioncino a lato della strada parallelo all’asse senza evidenti segni di intrusione del veicolo, un omone vestito di bianco e braghe blu che sembra agitato, in piedi, che cammina. L’altro è seduto sul ciglio della strada, giubbotto lungo verde. I vigili sono già sul posto e hanno chiuso i due sensi di marcia. Perfetto. Atterriamo, nel campo adiacente. Tutti e tre diamo a Marco indicazioni sui possibili pericoli nelle vicinanze dell’eli in atterraggio, si tocca terra, togliamo le cuffie, aspetto che Luca apra il portellone laterale e ci indichi la via da seguire mentre ho il marsupio a tracolla coi farmaci , il monitor defibrillatore, e Paolo che mi segue a ruota con lo zaino. Passi spediti arrivo sul luogo, Paolo è già ai piedi del ragazzo seduto sul ciglio della strada, ha già capito come me che è lui ad esser stato investito. Il conducente impreca come un forsennato verso il ragazzo e subito non capisco perché.
“Come ti chiami?” Non proferisce parola. Sarà lo shock. Tasto il polso periferico, è ok, respira da solo, benissimo. L’energumeno del camioncino sbraita ancora anche con fare preoccupato e mi dice: “Dottore, Come sta? S’è fatto male? Porca p…mi è sbucato fuori all’improvviso, in un secondo, l’ho appena sfiorato con la fiancata di destra, cazzo è sbucato fuori barcollando, ho sterzato ma non ho fatto a tempo a evitarlo !!!” Mi alzo un attimo e gli dico: “Sì sta bene, sta bene. Adesso lo controlliamo. Lei piuttosto s’è fatto male? Ha battuto la testa le gambe? Aveva la cintura?” “Sì sì dottore tranquillo sto bene, andavo pianissimo, non mi son fatto niente”. Gli do una rapida occhiata, il cosiddetto colpo d’occhio, lo visito un minuto. Sta bene. Ritorno dal ragazzo che è sempre con Paolo che cerca di farlo parlare, e che lo controlla col saturimetro.
In effetti c’è qualcosa di strano: l’auto non ha evidenti segni di collisione, il ragazzo muto è seduto, mi han detto che si è rialzato da solo sempre barcollando un po’ dopo che la macchina l’ha toccato con lo specchietto laterale. Quindi si è messo tranquillo a lato della strada senza un lamento. Continua con la mano destra a tenersi stretto il gomito di sinistra. Ha un impermeabile da caccia lungo, lordo.
“Come ti chiami, ti senti bene? Ti fa male il braccio?” Faccio per aprirgli il giubbotto ma lui si divincola e non me lo permette. “Senti, fammi ascoltare il torace, dai, non ti faccio niente sono il medico. Lo so che ti fa male il braccio ma o togliamo sto impermeabile o te lo devo tagliare”
Paolo mi guarda e con un gesto mi fa capire che questo è fuori come un cammello.
In effetti l’alito da cammello ce l’ha ! Lo convinco a farsi mettere il collare per il rachide e a caricarlo in ambulanza. Chiudiamo le porte. Parametri vitali tutti nella norma. “Mi fai vedere sto braccio che ti fa così male per favore?
Il ragazzo muto, dentro “le mura” protette dagli sguardi dei curiosi, lentamente si lascia aprire l’impermeabile, prima il lato destro e poi pian piano la parte di sinistra. Continua a tenere il gomito sinistro sempre un po’ vicino al torace.
“Nooooo !!” esclamo. Io e Paolo ci guardiamo…abbiamo un grosso sorriso sulle labbra, pronto a scoppiare in una fragorosa risata che tratteniamo con professionalità.
E’ il più grosso bottiglione di grappa che io abbia mai visto. Ma davvero, sarà tre litri!
Il ragazzo sta benone, neanche un graffio al gomito né al braccio. Era solo spaventato. Non voleva assolutamente far notare né al conducente né ai vigili il prezioso nettare che lo aveva colto per alcune ore tra le braccia di morfeo e che ancora con lui stava passeggiando sul ciglio della strada.
La mia “vocina buona e ottimista” aveva ragione: mi aveva bisbigliato che sarebbe andato tutto bene, era come se mi stesse dicendo “dai, facciamo un giretto tra i cieli, oggi è una giornata bellissima, rilassati.” Esco dall’ambulanza, compilo il modulo dell’eli e consegno il nettare alle forze dell’ordine. Saluto tutti, consegno il referto, all’autista energumeno dico di stare tranquillo, è tutto ok. Lascio il ragazzo ai militi con un codice 2 per il PS. Rimontiamo con le nostre selle fatte di monitor e di zaini medicali sul nostro cavallo alato quadrielica. Il nostro decollo è ammirato da tutti. Dall’alto, tutti i gomiti dei curiosi e dei più piccoli sono alzati per salutarci. Paolo salta su e in cuffia dice: “Oh, l’unico che ha ancora il gomito giù è il nostro amico muto!” Fragorosa risata generale e Marco canticchiando ha già effettuato la sua virata di 180° a 2G per portarci in base. E il tramonto è spettacolare.

manuele

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