Paura di morire – 1

Scritto da Herbert Asch il 28 Aprile, 2014
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foto di GP

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“Non é morire che mi fa paura, mi fa paura quello che viene prima. Il corpo che se ne va per conto suo, la carne che si svuota come un materassino sgonfio, il catetere in mezzo alle cosce e la padella sotto il culo. Quello mi fa paura.

Li ho girati i reparti dei terminali, lo sai? Tutte le volte che andavo alle visite, facendo finta di andare a trovare qualcuno, mi infilavo in corsia e passavo delle ore a spiare quelli che morivano attaccati alle macchine. Ce li ho nelle orecchie i loro rantoli lenti. All’inizio non ce la fai, ti immagini che siano gli ultimi solo perché sono insopportabili.  E invece no, quella roba fatta di pelle e ossa é capace di andare avanti mesi , col sondino su per il naso e il rantolo fisso. C’é stata una donna sui cinquanta che ho seguito per un anno, sempre uguale, immobile, con gli occhi chiusi, e non ho mai visto nessuno venire a trovarla, tanto che le infermiere pensavano fossi la figlia. Una sera che ero lì da un’ora mi sono detta: basta, adesso lo faccio, stacco tutto e corro via.  Ma il coraggio non ce l’ho avuto, questa é la veritá. Sará che sono una donna, e le donne sanno sopportare piú degli uomini, e che ci vuole coraggio, anche per quello, forse di piú: peró non ho fatto niente di quello che pensavo. E l’ho lasciata lì a rantolare.

E poi c’è questa cosa, nei malati terminali: la puzza di carogna che ti si appiccica addosso quando sei ancora vivo. La conosci, sì?

C’è un lezzo di stantio che viene fuori dai corpi in ospedale, roba che traspira dalla pelle anche se gli infermieri ti lavano da cima a fondo. Hai mai visto, quando cambiano le lenzuola di un moribondo, quella specie di sindone gialla che ci resta sopra? Io quell’odore ho paura di sentirmelo addosso ogni mattina. E anche se non lo sento mi copro di aloe. Ma poi penso che quando starò in ospedale sarò come quella donna, puzzerò e non potrò farci niente. Anzi, nemmeno me ne accorgerò di puzzare, forse sarò solo contenta di essere ancora viva, perché ogni tanto mi viene anche questo dubbio: che quando sei davvero su quel letto tutto quello che ti sto dicendo me lo dimenticherò, sarò attaccata solo a quel rantolo e quel rantolo mi basterà, anche se probabilmente starò soffrendo come un cane.”

da “Sangue mio” di Davide Ferrario

Herbert Asch

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Dall’altra parte

Scritto da zarianto il 17 Aprile, 2014
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foto di RR

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Riapro gli occhi al suono decisamente familiare, ritmico e squillante dei monitor della terapia intensiva… soprattutto ritmico, nel mio caso… dopo ore di manipolazione cardiaca!

Subito, un conato di vomito, cagionato da una pressione sanguigna un po’ bassina, come leggo al monitor (che trovo rapidamente con lo sguardo), per cui richiedo gentilmente la pronta somministrazione di liquidi, puntualmente erogati.

Il volto sorridente di mia moglie e le sue mani delicate che afferrano avide la mia, mi confortano!

Un caro amico chirurgo, giunto di lontano per assistermi, mi rassicura sulla riuscita dell’intervento. Sono ancora, vivo e… vegetante!

La collega anestesista, guardia notturna, si presenta ed è semplicemente deliziosa coi pazienti.

La notte, almeno per me, scorre tranquilla.

Il trasferimento nella terapia subintensiva un po’ meno!  Le ferite sul torace e i drenaggi pleurici, a un certo punto, di notte, dolgono tanto da togliermi il fiato, ma la crisi viene affrontata e risolta prontamente dal personale in turno, sollecitato anche dalla pietà mio vicino di letto: non dimenticherò mai le parole rassicuranti dell’infermiere e le carezze amorevoli della sua collega, entrambi rimasti a vegliarmi fino a quando il sonno riesce ad avere ragione di me.

Pazienti, infermieri e medici, tutti (o quasi), non sono solo encomiabilmente gentili, ma proprio amorevoli (tranne qualcuno, ma, nel numero, si sa…) e non soltanto con me.

Possono nemesi storica, malasuerte e superstizione sottrarsi all’irresistibile tentazione di concretizzare uno dei maggiori fattori di rischio per la salute, cioè quello costituito dall’essere parte del sistema? Ovviamente no, pertanto mi complico, con alcuni problemi risolvibili nella struttura riabilitativa, presso la quale vengo inviato e dove inizia un secondo percorso terapeutico e soprattutto umano.

Conoscendo un po’ la medicina, giungo al centro abbastanza preoccupato per le mie condizioni di salute, ma presto il personale e la forma fisica dei pazienti stessi mi tranquillizzano: l’ambiente è assolutamente accogliente e familiare e il personale competente, cortese, disponibile, efficiente e divertente!

Inizia il percorso riabilitativo di tutti noi cardiopatici, sopravvissuti con consapevolezza alla cardiochirurgia, con quel senso di reducismo che presto unisce fortemente e inesorabilmente, fino alle lacrime di qualcuno, ognuno con una storia diversa da narrare, eppure simile, ricca di coltelli più o meno noti,  di corse disperate in ambulanza, di parenti dotati di inesauribile pazienza, di vuoti di memoria, di difficoltà motorie e, soprattutto, di tanta speranza, voglia di ricominciare e in special modo… di ridere!

Non sarò mai abbastanza grato a tutte le persone incontrate durante questo difficile e insidioso cammino, Paolo, Adriana, Giovanna, Chiara, Sara, Lara, Sergio, Giovanni, Dario, Mauro, Alessandra, Pancrazio, Loredana e tantissimi altri di cui rammenterò sempre il volto sorridente e così confortevole, benché non ne riesca a ricordare – ahimè – il nome, per la loro umanità, comprensione, simpatia e infinita bontà.

Un ringraziamento particolare va alla collega anestesista di sala operatoria che non potei rivedere dopo l’intervento, per il riguardo e la professionalità che ho avuto modo di cogliere.

A te, lettore, che hai sacrificato tempo prezioso per leggermi, auguro una salute infinita, ma dico che, in caso di necessità, troveresti molte persone disposte e in grado di aiutarti efficacemente, che ho l’impressione che costituiscano la maggioranza silenziosa che mantiene in vita, contro ogni probabilità statistica, questo nostro martoriatissimo sistema sanitario.

Grazie per l’attenzione e saluti a tutti… di vero cuore!

Zarianto

Il dolore e la sofferenza

Scritto da Herbert Asch il 13 Aprile, 2014
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foto di EP

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“Il principale compito dei medici è quello di curare il dolore e alleviare la sofferenza. Parliamo spesso di queste due entità come se fossero la stessa cosa. In realtà sono molto diversi:  il dolore è un’afflizione del corpo. La sofferenza è un’afflizione dell’io, uno stato specifico di stress che si verifica quando l’integrità della persona è minacciata o lesa.”

Eric Cassel

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Chissà…

Scritto da Ilarix il 06 Aprile, 2014
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foto di EP

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Nel momento in cui ti vedo hai gli occhi chiusi ma il volto contratto dal dolore… non ci rispondi… il tuo corpo è a pancia in giù in una pozzanghera
Accanto a te tanta gente, curiosa ma spaventata allo stesso tempo. Cosa sia successo non lo so e forse non lo sai neanche tu. Stavi solo andando a scuola. Chissà se puoi sentirci, chissà se senti le nostre mani che ti toccano e ti muovono, che ti bloccano con strani oggetti. Chissà se senti i “bip bip” intorno a te. Chissà se senti dolore mentre buchiamo le tue braccia per infonderti liquidi, farmaci e speranza. Chissà se senti il rumore dell’elicottero che sta atterrando a pochi metri da te.
In questo momento noi non pensiamo a cosa potresti pensare tu, per quello ci sarà tempo dopo, quando tutto sarà fermo.
Cominci ad aprire gli occhi mentre da un furgone bianco con le luci blu ti stiamo adagiando dentro un furgone giallo con le pale sul tetto. Proviamo a comunicare con te ma forse non ci capisci, chissà se parli la nostra lingua. Forse per te siamo solo dei marziani, dei tizi vestiti con colori accesi che fanno cose strane.
Forse hai paura di noi, accanto a te non hai la tua mamma, non hai il tuo papà o i tuoi fratelli.
Uno dei marziani cerca di farti capire che stai per volare come gli uccelli o gli aquiloni, sarai sdraiato e non potrai vedere il mondo dall’alto, ma accanto a te ci sarà uno dei marziani che ti racconterà tutto.
Sta cercando di dirtelo, chissà se lo capisci.
Dopo aver volato incontrerai altri marziani, ma stavolta vestiti di bianco; anche loro sono li per te, ti aiuteranno, stai tranquillo piccolo, siamo insieme a te.

 

Ilarix

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Giovani d’oggi

Scritto da Ultiva il 27 Marzo, 2014
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foto di HA

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Mi fa imbufalire.
Si incazza come una bestia per questioni di principio.
Non sa ancora che nel nostro lavoro il principio va messo da parte…. non tanto perchè non esiste, ma perchè al sistema non importa del “principio”.

Mi fa venire le lacrime agli occhi quando vola e mette il braccialetto che gli regalò la madre di un giovane Paziente deceduto.

Gli attorciglierei le giugulari quando fa lo stizzoso perchè trova lo zaino in disordine o qualcosa che non è al suo posto, come se fossi io il responsabile del disordine degli altri.

Mi lascia spiazzato quando vedo quanto è preciso nel lavorare, come fa andare le mani, come pensa.

Ho istinti omicidi quando, mentre mettiamo in ECMO un Paziente, lui cazzeggia con l’Infermiere.

Ma lui è il futuro, e se ce ne sono tanti come lui, forse non siamo messi così male.

Ultiva

Medicina che racconta – 2

Scritto da Herbert Asch il 19 Marzo, 2014
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foto di NC

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“In fondo, la medicina non può consolare, ma aiuta a raccontare la storia definitiva di una vita. Sapere come una persona è morta rende più facile ricordare com’è vissuta. E una volta che la medicina ha finito di fare quanto può, sono le storie che vogliamo e, da ultimo, tutto quello che abbiamo.”

Lisa Sanders -“Ogni Paziente Racconta la sua Storia – L’Arte della Diagnosi” Einaudi ed., 2009

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Labirinto

Scritto da Gio il 10 Marzo, 2014
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foto di GP

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Nella vita io non sono mai stata molto coraggiosa.

Ero la tipica bambina che non si buttava dagli scogli troppo alti, che non saliva sulle montagne russe, insomma una fifona.

È quindi con molta sorpresa che mi sono scoperta a reagire con prontezza di fronte all´urgenza in medicina.

Soprattutto durante la specialità, quando avevo poca esperienza, mi è successo più volte di sentire quella doppia chiamata in reparto (quella che segnala l´allarme per un´emergenza) e di precipitarmi nella camera del paziente.

Riuscivo a gestire la situazione.

Tutto secondo algoritmo, tutto fatto a dovere.

È cosi che ho capito, che l´anima gioca brutti scherzi.

Giorni dopo l´emergenza, mi trovavo a lacrimare senza ragione sulle scale che portavano al reparto, settimane dopo la morte di un paziente, a tremare quando sentivo il suono del campanello provenire dalla stanza in cui si era spento.

Strano come la mente comandi anche le emozioni urgenti, quanto la lucidità del momento e la necessità di essere efficienti sopiscano la paura, e poi la facciano riapparire in altre vesti.

Essere medico è anche un viaggio dentro a se stessi, è un labirinto nel proprio subconscio che si percorre a tentoni.

Chissà quanti anni mi ci vorranno per raggiungerne il centro…

Giò

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Medicina che racconta – 1

Scritto da Herbert Asch il 05 Marzo, 2014
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foto di GP

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“… in medicina, il paziente racconta la storia della sua malattia al dottore, che ne rimodella gli elementi in forma medica, nel linguaggio della medicina. Il dottore di solito farà delle aggiunte, inserendovi informazioni raccolte mediante domande, esami e analisi. Il risultato dovrebbe essere una storia sensata in cui alla fine tutti i pezzi combaciano a formare una diagnosi univoca.

La storia della malattia, però, non può finire lì. Una volta fatta la diagnosi, il medico deve rimodellare di nuovo la storia che ha creato – la storia che l’ha aiutato ad arrivare a una diagnosi – in una storia che può restituire al paziente. Insomma, deve ritradurla nel linguaggio e nel contesto esistenziale del malato, cosicchè questo possa capire cosa gli è successo e trovargli un posto nella storia più ampia della sua vita. Soltanto quando un paziente capisce la malattia, le sue cause, la sua cura e il suo senso, ci si può aspettare che faccia il necessario per guarire.

(…) Ecco a cosa serve una buona anamnesi. Se fornisce al medico indicazioni sul paziente e sui suoi sentimenti circa la sua malattia, la sua vita e la terapia propostagli, può veramente essere proficua.

(…) Uno degli strumenti più importanti ed efficaci di cui il medico dispone è la capacità di restituire al paziente la sua storia in una forma che gli permetta di capire che cos’è la sua malattia e ciò che significa. Se ci riesce, offre al paziente un dono che lo aiuta ad integrare questa conoscenza nella storia più ampia della sua vita. Attraverso la comprensione il paziente può riacquistare un certo controllo su ciò che l’affligge. Se non può controllare la malattia può controllare almeno in qualche misura la sua reazione ad essa. Una storia che aiuti il paziente a dare un senso a una malattia anche devastante è una storia che può sanare. “

Lisa Sanders -“Ogni Paziente Racconta la sua Storia – L’Arte della Diagnosi” Einaudi ed., 2009

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Black-out

Scritto da Gio il 01 Marzo, 2014
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A volte ho paura del mio lavoro.

A volte penso che esponga la mia anima, e la lasci nuda di fronte a tutte le emozioni, belle e brutte, della vita.

Succede in 1000 modi diversi e sempre avverto quel colpo all´anima, che fa male.

Può essere durante una notte, quando l´adrenalina di un caso difficile ben risolto lascia lo spazio all´inadeguatezza totale di fronte a un altro paziente, di cui non capisco il problema.

Succede quando mi accorgo che, non importa quanti passi avanti ho fatto e quanta esperienza ho accumulato, non basta ancora, devo imparare, imparare ed imparare, perchè la medicina non è mai finita.

Succede quando sono stanca, svuotata, quando ho semplicemente l´impressione di aver dato tutto quello che avevo, fino al punto che ho la nausea, fino al punto che non so più cosa sia la mia vita fuori dal reparto e vorrei solo dormire, un lungo sonno riposante.

E in quel sonno mi vengono a trovare i miei pazienti, quelli che non ho potuto aiutare, quelli che ho lasciato andare. E loro mi rimproverano perchè io mi sento stanca. Che diritto ho di sentirmi stanca in una vita che loro non possono avere, ma desidererebbero? Una vita della quale loro vivrebbero ogni attimo appieno, invece di spegnersi tra la fine di un turno e l´inizio del successivo, come faccio io a volte.

E succede quando vorrei piangere ma non mi vengono le lacrime, quando non mi ricordo il nome di un paziente che non è più qui, quando sono cosi satura di cattive notizie che ascolto quella più recente mangiando uno snack, e neppure smetto di masticare.

Che persone siamo noi medici?

A volte penso che siamo persone terribili.

Perchè nessuno permette alla propria anima di essere cosi frustata e maltrattata.

Con che coraggio ogni giorno comunichiamo diagnosi terribili ai nostri pazienti, alle loro famiglie, per poi impacchettare il dolore, portarlo in fondo allo stomaco, e domani ricominciare di nuovo, ancora, e ancora, e ancora.

Chi sceglierebbe un lavoro del genere?

Chi continuerebbe ad amarlo, e a mettere in scacco tutto il resto, per qualcosa di simile?

Giò

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Il segreto del poeta

Scritto da Ungiovanequasiinfermiere il 22 Febbraio, 2014
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foto di DB

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A volte apprezzi la letteratura che hai studiato solo quando quelle parole le vivi, in pieno.

Dedicata ai poeti che vegliano nelle corsie.

” Il Segreto del Poeta

Solo ho amica la notte.
Sempre potrò trascorrere con essa
D’attimo in attimo, non ore vane;
Ma tempo cui il mio palpito trasmetto
Come m’aggrada, senza mai
distrarmene.

Avviene quando sento,
Mentre riprende a distaccarsi da ombre,
La speranza immutabile
In me che fuoco nuovamente scova
E nel silenzio restituendo va,
A gesti tuoi terreni
Talmente amati che immortali parvero,
Luce.”

Giuseppe Ungaretti

Ungiovanequasiinfermiere

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