soccorso

Ombre della notte

Posted by Il Barelliere on dicembre 27, 2016
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foto di EP

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Domenica notte, freddo e nebbiolina.

“codice giallo –  evento violento in strada – dinamiche non note!”

 Queste le confortanti informazioni, di quello che è ormai il terzo servizio di fila della nottata.

Il target è un po’ fuori dalle nostre classiche zone di intervento: ci vorranno tra i sette e i dieci minuti circa per raggiungerlo, minuti durante i quali confido vivamente siano già giunte sul posto le forze dell’ordine.

Sono le 02:30, le strade della periferia milanese sono praticamente deserte. La sirena rimbomba forte nell’abitacolo e i lampi blu si riflettono nella foschia creando un effetto quasi suggestivo.

Indosso la giacca della divisa, allaccio la cerniera fino al bavero, stringo i polsini e mi infilo un secondo paio di guanti.

Arriviamo nella zona indicataci dalla centrale avendo, come unico riferimento per individuare il luogo dell’evento, un grosso supermercato che si affaccia su tre vie diverse.

Da un lato la ferrovia e dall’altro un grande complesso di uffici.

In giro non c’è un anima. Sembra che il freddo oggi, abbia spinto tutte le prostitute che di solito battono la zona, a starsene a casa al caldo oppure più verosimilmente, i loro clienti, a cercare ancor più calore in questa notte fredda e malinconica.

Notiamo in lontananza un ragazzo di colore che si sporge in strada sbracciandosi per attirare la nostra attenzione. Cazzo, quando si sbracciano così tanto non è mai un buon segno !

Accanto a lui, riverso sul marciapiede, un altro ragazzo, con la testa avvolta da uno straccio completamente intriso di sangue. Che se avessi incontrato ieri avrei scambiato per un fantastico e quanto mai realistico travestimento per Halloween.

Attorno a loro niente e nessuno nel raggio di diversi metri. Sembra l’ambientazione di un horror e se c’è una cosa che ho imparato dai film, è di non andare mai a vedere da dove provengano i rumori misteriosi

L’autista accosta l’ambulanza al marciapiede, scendo con cautela mantenendomi vicino allo sportello , prima di iniziare il soccorso voglio capire se la scena è del tutto sicura o se sussistano eventualmente altri pericoli.

“Cosa è successo ?” chiedo al ragazzo

“No parlo bene italiano” Ci mancava anche questa!  Va bene, dai  proviamo con l’inglese, l’esame da  quattro crediti di “inglese medico” servirà pur a qualcosa .

“What’s happened to your friend? “

Se il mio accento e la mia pronuncia sono pessime, le sue sono ancora peggio. E’ agitato e confuso, da quel che riesco a capire, il ragazzo disteso sul marciapiede è stato colpito alla testa mentre dormivano all’addiaccio vicino alla ferrovia e lui l’ha trasportato fino alla strada e chiamato l’ambulanza.

La prima valutazione del ragazzo non è confortante. Vie aeree pervie e  meccanica respiratoria apparentemente non  compromessa. Gli occhi sono aperti, ma non ha nessun tipo di risposta, in qualsiasi lingua gli si provi a parlare. C’è però reazione allo stimolo doloroso, pupille isocoriche e normoreagenti

Ha due grosse ferite molto profonde a livello dell’arcata sopraccigliare e in regione temporale , dalle quali continua a fuoriuscire parecchio sangue, tanto da aver creato una piccola pozza alla base della testa.

Terzo e quarto predispongono il ragazzo all’immobilizzazione spinale e tentano di frenare l’emorragia. Il compagno continua a muoversi ansiosamente attorno a noi. Cerco di capire meglio l’accaduto e la dinamica dell’evento, visto che per quanto uno possa essere bravo a fare a cazzotti, non ti apre la testa in quel modo a mani nude.

Il suo racconto è confuso : a quanto pare le ferite alla testa sono state inferte con una bottiglia di vetro e non più mentre stavano dormendo, ma durante un diverbio. Ricostruire un’eventuale storia sanitaria è un’impresa ardua. L’unica cosa che continua a ripetere con insistenza è di volere la polizia. Inutile dirgli che la vorrei anch’io tanto quanto lui.

Do uno sguardo ai parametri del ragazzo, che tutto sommato potrebbero essere ben peggiori. La valutazione testa-piedi non evidenzia altre ferite, edemi o deformità. Eseguiamo il rog-roll e lo posizioniamo sulla spinale.

Il sanguinamento alla testa è nettamente diminuito, senza però essersi ancora arrestato.

Finiamo di stringere le cinghie del ragno e ricomponiamo lo zaino sanitario; mentre i rumori di un treno che passa in sottofondo e la luce del lampione che tinge di arancio l’aria, rendono la scena piuttosto inquietante.

Durante il trasporto, le condizioni del ragazzo migliorano. Recupera progressivamente lucidità, anche se appare sempre molto confuso e disorientato.

I carabinieri arrivano che lo stiamo togliendo dalla spinale, dopo che la TAC non ha evidenziato lesioni ed il chirurgo di guardia, brama dalla voglia di ricucirgli la testa.

La tentazione di soffermarmi a parlare con loro, descrivendogli con inutile dovizia di particolari tutto l’accaduto a partire dal nostro arrivo è molta, soprattutto perché fuori c’è da ripulire mezza ambulanza imbrattata di sangue.

Tuttavia  mi metto una mano sulla coscienza e penso all’ottimo lavoro di squadra appena concluso e mi immagino gli altri, indaffarati ed infreddoliti nel ripulire tutti i presidi.

In breve li raggiungo, per scoprire poi che, a quanto pare, aspettavano solo  me prima di iniziare a metter mano a scottex e disinfettante…

Il Barelliere

 

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Ultima notte di guardia

Posted by supergiovan8 on maggio 21, 2015
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Foto di PB

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Ultima notte di vita di una centrale operativa

Qui dentro sono state combattute e coordinate tante battaglie, dalle più banali alle più difficili.
Ogni operatore ci ha messo la testa, il cuore e anche la schiena per portare a termine ogni missione con professionalità, avendo sempre come obiettivo il bene per l’utenza.
Ogni tanto sarà sembrato di aver perso ma una missione andata bene cancella la tristezza di 100 negative (forse non sempre…)!
Tante persone hanno affidato completamente la loro vita, quella di un caro o di un perfetto sconosciuto a “ignoti” che dietro a un telefono avevano il potere, e l’onore, di provare a portare la vita a chi, in quel momento, ne aveva bisogno, infondendo speranza e istruendo persone digiune di qualsiasi nozione clinica a valutare il paziente per fargli poi eseguire manovre salvavita, spesso non procrastinabili.
Questi “ignoti”, poi, come per magia si materializzavano in pochi minuti e prendevano in mano le redini del soccorso, infondendo ora qualcosa di più concreto per poi scappare in tutta fretta, come se si trattasse di un rapimento.
Questi “ignoti”, ora, arriveranno ancora in tempi supersonici a soccorrerci però non risponderanno più loro al telefono, il che non è poco!
I nostri ignoti, che hanno fatto la storia del 118, non solo provinciale, veglieranno comunque sempre su di noi, nei giorni più caldi e nelle notti più lunghe.
Grazie di tutto!

supergiovan8

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Chissà…

Posted by Ilarix on aprile 06, 2014
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foto di EP

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Nel momento in cui ti vedo hai gli occhi chiusi ma il volto contratto dal dolore… non ci rispondi… il tuo corpo è a pancia in giù in una pozzanghera
Accanto a te tanta gente, curiosa ma spaventata allo stesso tempo. Cosa sia successo non lo so e forse non lo sai neanche tu. Stavi solo andando a scuola. Chissà se puoi sentirci, chissà se senti le nostre mani che ti toccano e ti muovono, che ti bloccano con strani oggetti. Chissà se senti i “bip bip” intorno a te. Chissà se senti dolore mentre buchiamo le tue braccia per infonderti liquidi, farmaci e speranza. Chissà se senti il rumore dell’elicottero che sta atterrando a pochi metri da te.
In questo momento noi non pensiamo a cosa potresti pensare tu, per quello ci sarà tempo dopo, quando tutto sarà fermo.
Cominci ad aprire gli occhi mentre da un furgone bianco con le luci blu ti stiamo adagiando dentro un furgone giallo con le pale sul tetto. Proviamo a comunicare con te ma forse non ci capisci, chissà se parli la nostra lingua. Forse per te siamo solo dei marziani, dei tizi vestiti con colori accesi che fanno cose strane.
Forse hai paura di noi, accanto a te non hai la tua mamma, non hai il tuo papà o i tuoi fratelli.
Uno dei marziani cerca di farti capire che stai per volare come gli uccelli o gli aquiloni, sarai sdraiato e non potrai vedere il mondo dall’alto, ma accanto a te ci sarà uno dei marziani che ti racconterà tutto.
Sta cercando di dirtelo, chissà se lo capisci.
Dopo aver volato incontrerai altri marziani, ma stavolta vestiti di bianco; anche loro sono li per te, ti aiuteranno, stai tranquillo piccolo, siamo insieme a te.

 

Ilarix

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Flusso di soccorso

Posted by Snoopy on gennaio 06, 2014
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foto di EP

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Piove.

Il telefono di questa piccola associazione ha finalmente smesso di suonare e la testa ciondola pesante sul tomo di Patologia, senza una reale intenzione di scovarne i segreti, almeno per stanotte.

Ripenso a questa prima settimana di tirocinio: pochi giorni, tantissimi volti, troppi morti. Non pensavo davvero che l’impatto sarebbe stato così emotivamente duro. In fondo, come soccorritore, ho già avuto a che fare con la morte.

In Clinica Medica è diverso, però. E’ tutto più lento, pacato, preciso e ponderato. Le diagnosi più pesanti diventano parole scritte a tratto leggero, che noi studenti scrutiamo, ansiosi. La terapia si progetta sul lungo termine, i miglioramenti sono lenti. I peggioramenti, invece, non si fanno attendere e spesso colgono tutti impreparati: penso al signor Angelo, ricoverato pochi giorni fa per la sepsi dovuta al suo drenaggio toracico: mi ha raccontato tutto, in un pomeriggio…i figli, la guerra, la malattia.

Angelo non sta male solo per la sepsi. Angelo sta morendo, e con lui, tutte le sue metastasi.

Nessuno gliel’ha ancora detto. Forse nessuno avrà il tempo e il cuore di dirglielo.

“No, non venire Lunedì. Vedrai che mi dimettono Domenica! Passa prima, che ti voglio salutare bene.”

Non ho saputo trattenere una lacrima.

Non starò a chiedermi il perché.

Non lo chiederò neanche a loro, medici esperti e navigati, che contro la morte combattono ogni giorno e ogni notte. Perché ho paura della risposta che mi potrebbero dare. Ho paura del vuoto che scorgo dentro agli occhi di molti, mentre prescrivono qualche cura palliativa.

Per fortuna, una notte a settimana, almeno fino alla laurea, mi sarà ancora concesso di vestire d’arancione, insieme ad alcuni compagni di studio, tutti ansiosi d’imparare l’impossibile sul paziente critico, chi per un motivo, chi per un altro.

Il telefono torna a disturbare questo apatico pensare: un codice rosso.

Ora.

Sarà la sirena.

Sarà confusione.

Sarà veloce, frenetico e preciso.

Mentre accendo la radio, scrutando gli occhi assonnati del mio autista, capisco quanto incredibile sia la strada che ho davanti, la strada che ho scelto e, scendendo dall’ambulanza, mi accorgo di essere già completo, un giovane stereotipo di un futuro me stesso che si tuffa nel suo presente: la vita di una persona nelle mie mani, i compagni di viaggio al mio fianco e, nei miei pensieri, lei.

Snoopy


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Storie di ordinaria medicina e di straordinaria vita – uno

Posted by Magu on dicembre 04, 2013
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Foto di DB

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Giovedì notte in 118. Grande team di bravi amici-colleghi, Tonino il maresciallo alla consolle e Mimmo maestro delle vene e dei farmaci: due veri amiconi, gente che si diverte a fare questo lavoro.
Non ho ancora finito di vestirmi che la centrale chiama: codice rosso per un paziente non cosciente sulla panchina di una delle zone “in” di Napoli. Il luogo dista abbastanza dalla nostra zona, ma non ci sono ambulanze disponibili e… Il maresciallo innesca la sirena, ci inoltriamo verso piazza dei martiri zigzagando con la maestria della guida di Tonino.
Arriviamo sul posto e ci rendiamo subito conto che si tratta del solito homeless che dorme in sana alcolica beatitudine sulle doghe della panchina. Ci avviciniamo e come per miracolo ci risponde (insomma è molto cosciente).

Maschio di razza bianca dell’apparente età di 45-50 anni…

In TV si sarebbero espressi così. Ma noi non siamo in una soap americana e, guardandoci tutti e tre, si legge sui nostri volti che si tratta di un povero Dio di certo maschio ma con difficoltà a mostrasi uomo. Si la dignità dell’essere uomo si perde nei gradi dell’alcol. L’età sembra quella ma non ci giurerei.
Cerchiamo di capirci di più anche se la storia è chiara; la bottiglia vuota di pessimo vino bianco gocciola ai suoi piedi.
“Come ti chiami?” “Pasquale, Pasquale Esposito”, l’alito fa barcollare anche le vocali di Esposito. “Hai bevuto vero?!” A quel punto i suoi occhi vispi e si illuminano con un sorriso che fa capolino tra i peli ispidi della barba incolta. “No!” “Ah ho capito ci vuoi prendere in giro?!” esclama il maresciallo. “Ma pecchè se tu mi fai questa domanda nun me staje sfuttenno? Ce l’hai un poco di pane che mi sto puzzando di fame?”. Io ribatto “ma sei conosciuto in zona?” “Certo, a me mi sanno tutti qua” “e allora chiedi una pizzetta oppure un panino alla rosticceria all’angolo”. Ecco nuovamente la luce farsi strada tra le rughe profonde come mulattiere “pure tu me vuò sfottere? E secondo te io vado nella rosticceria così combinato e quello prende un panino e me lo regala?” Manco il tempo di pensare che non ho portato con me il portamonete che Tonino e Mimmo raccolgono dalle loro tasche tre o quattro euro e all’unisono: “tieni così te lo compri il panino e quello della rosticceria non potrà dirti niente”.

Chiamo la centrale per avvertire che è tutto ok e che si è trattato del solito buon samaritano che allerta la centrale senza neanche avvicinarsi per vedere se è vivo oppure morto. la telefonata (gratuita) si, la puzza di alcol e vomito no! Nel frattempo si avvicinano due vigilantes in moto “sono stato io a chiamare” dice uno dei due “sembrava non respirasse e i passanti si preoccupavano, i clienti della gioielleria che controllo si lamentavano e…”. Tranquillizzo anche loro dicendo che hanno fatto bene a chiamare ma che, forse, se avessero provato ad avvinarsi e l’avessero chiamato…

A questo punto Pasquale si alza per andare a comprare il panino, barcolla un poco ma più per i pantaloni cadenti che per l’ubriachezza. Si gira, ci saluta e fa: “ah io mi chiamo Mimì, Pasquale è mio fratello e lascio parlare lui con le autorità. Ma voi mi siete simpatici e allora con voi parlo io”. Si allontana verso l’ingresso della chiesa di Santa Caterina a Chiaia, una genuflessione appena accennata per non cascare e poi a sinistra verso la vetrina ad angolo della gioielleria; una manovra nota e via a fare la pipì.
Rimettiamo le borse e la barella in ambulanza, mi volto per dare un ultimo sguardo a Mimì e con l’angolo dell’occhio guardo la statua di Santa Caterina; immediato un pensiero “Santa Caterì, stanotte guardalo tu a Mimì”.
Torniamo in postazione un po’mogi, anche i girevoli sembrano essere fiacchi. Ma la notte continua.

Magu

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Se rinasco un’altra volta faccio il rianimatore

Posted by diprivan on ottobre 14, 2013
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foto di EP

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Il mio lavoro è il lavoro più bello del mondo.

No. Non è vero.

Il lavoro più bello del mondo è quello che ti fa vivere sereno facendo la cosa che più ti piace e facendoti pagare per farla e lasciandoti tanto libero per fare ciò che ti piace in egual modo.

Forse sì. Il mio lavoro è il lavoro più bello del mondo…se non fosse per quel piccolo dettaglio del farti vivere sereno.

Ci lamentiamo sempre di essere sottopagati…di meritare più di quanto spendiamo in energie mentali e fisiche e in responsabilità.

Ormai non faccio più il rianimatore “da strada” e mi manca l’ossigeno. Mi manca non potermi sporcare le mani. Mi manca il suono delle sirene. Mi manca non poter più condividere con chi sale con me in macchina di essere lì sul posto e di sentire che puoi fare la differenza. Quando sei per strada ci sei tu…e solo tu…e se non fai tu devi fare per forza tu.

Ormai faccio il rianimatore “di centrale” e sto risparmiando un sacco di soldi in benzina che investo puntualmente in pantoprazolo. Devi fare la magia e trasformare il tuo orecchio in un occhio e guardare attraverso la cuffia del telefono cercando, per quanto possibile, di non litigare, di fidarti, di organizzare, di far finta di essere lì anche tu e l’unica cosa che pensi è che vorresti con tutto il cuore sporcarti le mani.

Ormai faccio il rianimatore che porta notizie dal “fronte” pronto soccorso e quando sei lì ci sei tu, il collega più esperto (Dio sia lodato sempre sia lodato), il consulente, l’altro consulente, il tecnico, lo specializzando, l’internista, il medico accettante, ….vado avanti?

Ho capito perché lo faccio…non è vero che siamo sottopagati…sono tutte fregnacce…non c’è prezzo per un lavoro così.

L’unico motivo che mi spinge a farlo è perché lo amo alla follia. Non potrebbe essere altrimenti.

diprivan

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Volevo scendere…

Posted by Ultiva on settembre 15, 2013
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Foto di GN

Foto di GN

Ciao M, ciao L,

in voi rivedo me appena approdato all’emergenza-urgenza.

Prima della laurea, come voi due, facevo il volontario in ambulanza. Come voi.

Vedevo il 118 come il premio dei miei sforzi, come la destinazione finale, la sublimazione di un desiderio. Ai miei tempi, 10 anni fa, c’era Siro che drenava toraci, si destreggiava tra il betabloccante ed il calcioantagonista. C’era Giorgio, che intubava a testa in giù e senza laringoscopio. C’era Johnny (non mi ricordo mai come si scrive), che dietro al sorriso a 42 denti nascondeva l’Harrison. C’erano Maurizio, Carlo, Lorenza…. che trattavano i Pazienti per quello che avevano bisogno: non avevano paura di accedere chirurgicamente alla via aerea, non avevano paura di un alti flussi e quando si usciva in automedica o in elicottero si era sicuri del risultato. Sembrava un’orchestra, magistralmente condotta.

Quando è arrivato il mio momento, la mia possibilità di salire sull’elicottero e di fare territorio non stavo più nella pelle: si avverava un sogno.

Poi, il tempo.

I protocolli, la standardizzazione (sarebbe meglio dire la spianata verso il basso). La rabbia di non poter fare. Lo zaino che si svuota (sempre meno farmaci, sempre meno presidi: quando si vola bisogna stare leggeri), le uscite sempre meno meritevoli di una medicalizzazione. Le manovre che si riducono (il 20 di frequenza è meglio che lo veda il cardiologo, se l’emodinamica è stabile…).

La medicina non può essere ridotta ad un libro di ricette di Nonna Papera. La medicina non è matematica, è variabile, è fiuto, è conoscenza, è interpretazione.

Gli infermieri che prima intubavano, adesso usano per forza la maschera laringea. Non è quello che serve al Paziente ma è quello che passa il sistema (sia chiaro, intubando 20 volte in sala ORL impara chiunque).

E adesso, voi, poco più che girata la boa dei 27, volete andare sul territorio, ancora convinti che sia stimolante, che sia formativo, che serva a qualcosa.

Ed io che vi guardo, non parlo, non voglio tarpare le vostre ali e il vostro desiderio, dovete essere liberi di scegliere…. Ma no, non ce la faccio, non posso stare zitto. Almeno qualcosa, almeno su un blog lo devo dire.

Rimanete dove siete, continuate a fare quello che fate. Siete speciali, siete mitici. Sapete essere duri come l’acciaio e teneri come nessun altro. Siete due ottimi professionisti.

VI ho allevati entrambi da quando vi siete laureati, non standardizzatevi, non appiattitevi. Sul territorio non c’è più spazio, non si impara più, non si può più dare tutto. Non si può tornare a casa la sera con la consapevolezza di avere fatto tutto ciò che si poteva e che era necessario.

Non voglio, non vorrei, che questo tarlo divorasse anche voi. Vorrei proteggervi, ma non so da che parte iniziare.

Quando sono salito sull’elicottero la prima volta mi sembrava un sogno, una cosa meravigliosa, quanto di meglio mi sarei potuto aspettare dalla vita professionale. Ed era così. Ma era dieci anni fa.

Ieri, volevo scendere.

Vi auguro tutta la felicità e di trovare la vostra strada.

Con affetto

Ultiva

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Fluttuando a mezz’aria

Posted by Osyride on maggio 07, 2013
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foto di MFR

La Centrale 118 ci invia in codice rosso in una via poco distante dalla nostra sede per un problema di tipo cardiocircolatorio, è in arrivo anche l’automedica.

Guardo sulla mappa qual è la via, esco ad avviso il mio autista che dobbiamo uscire per un codice rosso.

Sinceramente non ho pensato al peggio, credevo che fosse la classica perdita di coscienza – magari già risolta al nostro arrivo.

Neanche il tempo di accendere le sirene e siamo sul posto.

Portiamo giù tutto il materiale: zaino, ossigeno e DAE; entriamo nella casa, saliamo le anguste scale ed arriviamo nell’appartamento. Troviamo un signore seduto su una sedia, in evidente arresto cardiaco. I parenti presenti ci riferiscono che si è accasciato da pochi minuti, non è cardiopatico e non aveva lamentato dolori o malesseri particolari.

Lo sdraiamo sul pavimento, scopro il torace e, finché avviso la Centrale 118 dell’arresto cardiaco, il mio autista inizia il massaggio cardiaco. Appena rientro, gli do il cambio alle compressioni toraciche, mentre lui posiziona le piastre del DAE. L’analisi parte subito “Scarica consigliata! Allontanarsi dal paziente!” Defibrilliamo e ricominciamo con la rianimazione, “30 compressioni:2 ventilazioni” per 2 minuti. Si avvia di nuovo il DAE e defibrilliamo nuovamente.

Finalmente arriva l’automedica, continuiamo con la rianimazione, l’infermiere prende un accesso venoso, il medico intuba. Dopo poco iniziano a comparire segni di circolo e un respiro spontaneo!

Con l’autista dell’automedica vado a preparare la barella, apro l’ossigeno in ambulanza e ci prepariamo per il trasporto.

Quando ritorniamo in casa il signore va però nuovamente in arresto cardiaco. Ricominciamo quindi nuovamente con la rianimazione, medico e infermiere somministrano i farmaci del caso e dopo 2-3 minuti compaiono nuovamente i segni vitali.

Lo posizioniamo velocemente sul telo portaferiti e ci prepariamo per scendere le terribili scale che ci aspettano: ripide, strette e scivolose…

Lo carichiamo in ambulanza. Oggi tocca a me guidare, sto finendo il corso per diventare autista, e questa è l’occasione per guidare in emergenza. Il mio autista mi chiede se voglio far guidare lui, ma io mi sento sicura e gli dico che me la sento.

Accendo i lampeggianti, percorro tutto il vicolo in retromarcia perché non c’è posto per girarsi e, appena mi immetto sulla strada principale accendo le sirene e seguo l’automedica che mi fa strada.

Ancora una volta nessuna emozione, solo concentrazione, penso solo al traffico ed a guidare il più fluidamente possibile per non scuotere troppo chi è nel vano sanitario con il paziente. In 2 minuti siamo in ospedale; il personale della rianimazione e gli infermieri del pronto soccorso ci aspettano direttamente in shock-room.

Spostiamo il signore sulla barella del pronto soccorso e sistemiamo il materiale prima di allontanarci.

 

Ancora una volta quella sensazione – indescrivibile – di quando ti trovi davanti ad una persona “tecnicamente” morta e poi la vedi riprende i segni vitali sotto i tuoi occhi o tra le tue mani. Solo provandolo di persona si può capire quanto forte sia l’emozione!

 

Certo, dopo anni che salgo in ambulanza, sono diventata abbastanza fatalista: se quella persona sopravviverà è perché non era il suo momento e non per la nostra particolare bravura; ma noi siamo stati le persone giuste al momento giusto, gli strumenti attraverso cui Dio, il fato o il destino ha fatto sì che quella persona non morisse.

Questo vale anche al contrario, quando, per quanto tempestivamente arriviamo sul posto e per quanto corrette siano le manovre che compiamo, la persona muore. Sono convinta che in questo caso anche il medico rianimatore più bravo di questo mondo non potrebbe fare nulla. Semplicemente era la sua ora…

 

Forse solo il sorriso che avevo quando sono uscita dalla sede per tornare a casa, riusciva ad esprimere quanto grande fosse comunque la mia soddisfazione!

 

 

osyride

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Lei

Posted by Pills on marzo 15, 2013
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Foto di MV

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Hai passato momenti bui e difficili, di cambiamento e di rinnovo.

C’è stata la “grande fuga” dei dipendenti, ci sono stati anni di magra, ci sono stati periodi di aumento impressionante di quote rosa (in arancione) con il successivo problema: “E mo’ le spinali chi le tira giù dalle scale?”.

Ora il trend pare essersi ripreso, sia in numero che in parità dei sessi.

Gente è entrata ed è rimasta, altri sono andati via per studiare e lavorare. Altri sono usciti e ora sono sposati. Il loro matrimonio è stato privato. Non una sola nota di arancione tra i banchi, neanche virtualmente sotto la giacca o l’abito elegante.

E’ aumentata la famiglia allargata grazie alle nascite di bambini molto voluti e travagliati. Non è stato semplice ma ora la felicità sprizza furiosa dagli sguardi dei miei compagni. Fuoriesce violenta dalle foto e video che fanno alle loro creature. Invade tutti senza pietà quando i pupi vengono a trovarci.

Dei “nuovi” c’è che si interessa, chi vivacchia, chi è sbruffone, chi è curioso e fa delle domande il suo pane, chi si esalta, chi ha un passato importante ma lo gestisce bene, chi sembra messo lì per caso, chi flirta, chi ride e basta, chi medita, chi ha una vita scombinata e tenta di ricucirla con la nostra attività.
Mi impensieriscono queste persone, perché Lei è impietosa con chi non ha proprio idea di dove inizi la sua esistenza. Porti i il valigione (ma basta anche una borsetta) di tuoi problemi alla guardia e Lei farà in modo che in serata ti si rovesci sulla testa con una violenza inaudita. E’ matematico. Crudele ma matematico.

Il tacito contratto recita:
“Non verrai in guardia coi cacchi tuoi ad occupare la tua mente. Tu servi focalizzato e sgombro da rimuginamenti.
Nel caso li avessi la cura è camerata con porta chiusa o garage o cucina. 10 respiri profondi, pensieri zen e si ricomincia in pieno stile Hakuna Matata ”

Mi è capitato di trasgredire, come capita a tutti prima o poi. A volte hai così tanti pensieri che ti sembra che la testa voglia scoppiare e non riesci nel tuo intento di astrazione.

Il duro suolo di cemento del garage, il piano d’acciaio della cucina, il sintetico arancio fluo e la pelle di viso, collo e mani accolgono bene le lacrime per poi farle scivolare via ed essere puliti come prima, solo un po’ più salati. Garantito al limone. Ho parlato troppo di Noi, torniamo a Lei (che in fondo è Noi).

Sta passando una durissima transizione. Ha qualche ematoma qui e là, ma guariscono per poi riformarsi per poi guarire ancora una volta. Ci sta lavorando su con qualche protezione di fortuna. E’ come se fosse un Irish coffee: è buona complessivamente ma è bifasica.

In superficie è trasparente, limpida, quieta anche durante movimenti bruschi e soprattutto omogenea. In profondità è opaca, torbida, scura, puoi vederci le onde se crei turbolenza e la sulla sua omogeneità ci sarebbe da argomentare.
Per quanto uno mischi, le due fasi a periodi tendono a tornare divise.

Lei sta solo aspettando che più di qualcuno si stufi di essere Irish Coffee e voglia diventare Bicerin: bifasico in origine ma mixabile con estrema facilità ed efficacia.
Ma se l’alcol che sta sopra al caffè, che è l’ingrediente maggiore, non ha alcuna volta di evaporare e di trasformarsi in panna liquida rinunciando ad un po’ della sua massa per guadagnarne in densità, palatabilità e omogeneità…se l’alcol non vuole saperne io da umile Bicerin non posso fare altro che dispiacermi un po’.

Mi dispiaccio perché Lei in fondo è una bella entità. Plasma i suoi componenti secondo l’indole di ognuno. Che tu tenda alla leadership moderata od estrema, che tu tenda a seguire le correnti maggiori e ad essere sbatacchiato da un fronte all’altro a seconda del vento, che tu tenda ad essere un outsider chiuso nel suo guscio ai più ma libro aperto per alcuni, che tu sia gasato, che tu sia non tagliato per l’attività, che tu abbia sete di sapere ed imparare…chiunque tu sia e che tu so sappia già o ne sia ancora all’oscuro, Lei ti farà sbocciare. Fiore o rovo, dipende da te e dalle tue motivazioni. Lei non nega nulla a quasi nessuno. Solo chi non sa chi è rimarrà in boccio ed uscirà in boccio. Lei non è il luogo per trovarsi, ma il luogo per scoprirsi.

La Squadra, se sai e vuoi viverla, ti dona splendide amicizie, furiose litigate, grandi pensieri, chili di senso di responsabilità, difficile vita di comunità se uno non è già abituato e molto altro che è meglio scoprire che elencare.

Mai precludersi niente una volta entrati. “Never say never”.
Ho iniziato con dei dubbi, sono cresciuta con delle certezze, ho continuato a crescere con degli amici (adesso anche fuori guardia), continuo il mio percorso cambiamenti di opinioni e e qualche scazzo, ho trovato il nirvana in borghese con un compagno arancione.

Un’estate di una notte ogni nove a parlare in garage o in postazione, ad aprirsi in ambulanza durante le check list, a dare piccoli segnali e ad instillarsi leggeri sospetti. E’ iniziata in arancione senza che nessuno dei due lo sapesse, scintillando coi catarifrangenti alla luce dei fari nella notte.
E’ finita dopo la cena di squadra con un bacio, tutti e due finalmente consapevoli dopo una rapida somma degli eventi. Ora risplendiamo anche senza fluo e catarifrangenti.
E Lei, alla fine, ad essere stata la nostra madrina, guardiana, chaperone.

Dunque, grazie Squadra, madre e matrigna. Grazie per tutto.

Pills

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